La servitizzazione della manifattura in Italia, una rivoluzione soltanto annunciata: la consapevolezza c’è, mancano strumenti e competenze

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Con “servitizzazione” si intende la trasformazione del modello di business delle aziende industriali, il cui focus passa dalla fornitura di beni alla creazione di valore tramite soluzioni integrate e servizi avanzati.

Questo cambiamento è in atto in ogni settore della manifattura, ma anche nelle costruzioni, nel settore dell’energia, dei trasporti, nella finanza.

L’elemento visibile è la graduale ma costante crescita del fatturato dalla vendita di servizi – in particolare quelli a valore aggiunto – rispetto alla vendita di nuovi prodotti.

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Tra i servizi a valore aggiunto rientrano in primis i contratti di manutenzione multi-year, i contratti full-service/full-risk (che in genere sono all-inclusive e garantiscono determinati livelli di produttività, disponibilità operativa, volumi, etc.), le soluzioni integrate che includono anche sottoscrizioni, noleggi operativi o – nel caso di più beni – il fleet management.

Seppur ogni settore abbia coniato la propria terminologia (Equipment-as-a-Service, Heat-as-a-service, Mobility-as-a-service, Packaging-as-a-Service, etc.), si tratta quasi sempre di formule pay-per-use e/o per-per-outcome.

I benefici della servitizzazione

I benefici connessi allo sviluppo di un modello di business “servitizzato” sono numerosi, e li abbiamo discussi in modo approfondito in precedenti articoli.

In massima sintesi, con la servitizzazione si possono conseguire benefici economico-finanziari (crescita più sostenuta e profitti più alti), strategici (differenziazione dai concorrenti, riposizionamento in mercati maturi di prodotti e tecnologie commoditizzate), commerciali (ad esempio, il lock-in del cliente tramite contratti di noleggio operativo).

Altri vantaggi sono di natura ambientale. Infatti, tramite servizi di monitoraggio, controllo e ottimizzazione da remoto, si possono ridurre sprechi, consumi, emissioni di inquinanti. Infine, la servitizzazione ha anche un impatto sociale positivo.

Infatti, la capacità di creazione di valore tramite servizi ad alta intensità di conoscenza crea barriere alla delocalizzazione delle attività produttive, ed è naturale che i servizi siano di fatto più labour intensive dei processi industriali.

La servitizzazione è quindi anche inquadrabile come strategia di business compatibile con gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG’s) delle Nazioni Unite (Agenda 2030), e con le politiche dell’European Green Deal.

La servitizzazione nelle PMI

Il nostro centro interuniversitario di ricerca ASAP conduce ricerche e osservazioni da oltre 20 anni su questo fenomeno, e abbiamo raccolto numerose evidenze in merito a casi e iniziative di successo, e a progetti ben avviati.

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Questo però riguarda in gran parte aziende industriali di grandi dimensioni, tra cui i leader del mercato globale quali Siemens, General Electric, Hewlett Packard, Baker Hughes, Ricoh, Scania, GF Machining Solutions, TetraPak.

Abbiamo trovato ottime evidenze di processi di questo tipo anche in multinazionali italiane di minori dimensioni (comunque, sempre grandi aziende) che operano in nicchie di grande rilevanza per l’economia nazionale. Ad esempio, SCM Group, Goglio, Carel.

Diversa la situazione per le PMI che, secondo le statistiche, concorrono alla produzione di quasi il 60% del valore aggiunto. Le micro-imprese, nello specifico, impiegano il 46,9% della forza lavoro, percentuale significativamente più alta rispetto a Francia (24,7%), Regno Unito (21,5%) e Germania (19,3%).

Se poniamo l’attenzione a queste realtà, troviamo una situazione che necessita di essere discussa, come già evidenziato in questo articolo.

Anche le piccole e medie imprese industriali oggi offrono servizi connessi alla vendita del loro prodotto, sia esso un componente, un macchinario o un intero sistema. Però, in questo caso si tratta più che altro dei tipici servizi di post-vendita, tesi a ripristinare l’operatività del bene a fronte di guasti.

In altre parole, più piccole sono le dimensioni d’impresa, maggiore è la probabilità che il business dei servizi coincida quasi esclusivamente con la vendita di parti di ricambio e di interventi di riparazione.  Si tratta di un business transazionale (one shot), gestito in modo più simile al business di prodotto, che a quello dei servizi avanzati sopra discussi.

Di fatto, per parti e riparazioni l’opportunità di vendita nasce a valle di un problema che il cliente/utilizzatore palesa al fornitore, e che reattivamente (più che altro come male necessario), il fornitore tenta di risolvere.

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Per la transazione vengono usati i desueti canali del post-vendita/customer support, quali le hotline e le email. Solo in casi particolarmente felici, nelle PMI, è presente un sito di e-commerce per la vendita di spare parts e un’area riservata con tutta la documentazione e la conoscenza per fornire supporto tecnico al cliente.

L’erogazione di questi servizi è spesso dilatata nel tempo, per la necessità di affiancare ad ogni singola transazione delle quotazioni formali che poi andranno a generare l’ordine del cliente.

Non riteniamo che questa sia una vera forma di “servitizzazione”, di conseguenza vengono meno le aspettative di conseguire nel lungo termine i benefici discussi sopra, specialmente quelli connessi ad aspetti strategici, ambientali e sociali (ESG).

Certo, questi servizi, quando erogati in modo efficiente, possono contribuire al fatturato aziendale.

Una recente survey promossa da ASAP e Digital Industries, di cui abbiamo già parlato qui, ha evidenziato che i ricavi dalla vendita di parti di ricambio e interventi di riparazione possono attestarsi tra il 15 e il 25% del totale, in un campione di PMI produttrici di macchinari e componenti per il convenzionamento, per la lavorazione di metalli, materiali ceramici, legno, plastica, gomma.

Questo risultato nel complesso può sembrare anche soddisfacente, ma in realtà si tratta di un business reattivo, che non nasce da una chiara strategia di innovazione.

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La vendita di questi servizi – che spesso sono visti come male necessario – è spesso automatica, per il semplice fatto che una parte della base installata necessita nel tempo di assistenza.

Ma sono più le opportunità di co-creazione di valore che non vengono colte. Sono infatti pochissime le PMI che hanno avviato percorsi di sviluppo del business dei servizi avanzati, anche grazie alle tecnologie digitali e alla connettività, e che riescono oggi ad abbinare alla vendita del prodotto contratti per ispezioni e manutenzioni programmate, per il monitoraggio da remoto, il controllo, l’efficientamento e l’ottimizzazione del processo del cliente, la diagnostica, il trouble shooting e la manutenzione predittiva, l’advisory e le raccomandazioni sugli interventi da compiere per aumentare la produttività, fino ad arrivare appunto ai servizi contrattuali con garanzia di risultato e alle citate soluzioni integrate (Equipment-as-a-service).

La consapevolezza c’è, ma mancano gli strumenti e le competenze

Non si tratta di un problema di consapevolezza. Dopo oltre venti anni di indagini, studi, rapporti, seminari, tavole rotonde, corsi di formazione ed eye-opening, la maggior parte di imprenditori e manager – anche nelle PMI – è consapevole dei benefici sia della digitalizzazione che della servitizzazione, come pure delle strette connessioni tra queste due innovazioni del modello di business.

Inoltre, l’Italia avrebbe un contesto di primo piano per sperimentare lo sviluppo della servitizzazione nelle PMI. Dopotutto, per valore aggiunto siamo sempre la seconda manifattura dell’Europa dopo la Germania, e potremmo quindi avviare in modo diffuso trasformazioni verso un’economia di servizi avanzati da cui tutto il sistema nazionale potrebbe beneficiare, in termini di crescita collettiva, più attenzione all’ambiente e alle componenti sociali.

Mentre le grandi aziende non necessitano di sussidi e incentivazioni, perché possono procurarsi internamente risorse e conoscenze per avviare e gestire questi cambiamenti strategici, questo non è il caso delle PMI.

Su questo fronte servitizzazione e digitalizzazione procedono a braccetto, e anche l’adozione delle moderne tecnologie dell’Industria 4.0 e 5.0 in Italia presenta alcune difficoltà, in primis dovute sempre alla taglia delle imprese e alla mancanza di competenze adeguate. Ma nel caso della servitizzazione, abbiamo anche un altro grande assente.

Il MIMIT non ha mai promulgato un equivalente piano di incentivi come quello per la Transizione 4.0 (e adesso 5.0) per la servitizzazione.

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Per fare un esempio, la possibilità di fruire di incentivi e crediti di imposta non per l’acquisto ma per la fruizione di beni in sottoscrizione (EaaS) non è contemplata, e presenta indubbiamente alcune difficoltà anche di natura civilistica, relative alla applicazione di nuovi principi contabili. Al credito per i pagamenti di canoni per il Software-as-a-Service si è arrivati negli anni successivi.

Insomma, sembrano mancare politiche industriali pe la servitizzazione, tali da incentivare e guidare questo fenomeno specialmente nei confronti delle PMI. Mancano inoltre centri di competenza (a parte il Centro di Ricerca Interuniversitario ASAP) che possano guidare questa innovazione verso una economia di servizi avanzati sviluppando le necessarie competenze.

Non a caso, tra le principali barriere evidenziate dalla ricerca ASAP-Digital Industires Word, le aziende hanno indicato l’assenza di competenze: solo 1/3 delle imprese ritiene oggi di possedere al proprio interno il giusto mix di competenze necessarie per avviare una trasformazione complessa come la servitizzazione.

Non sorprende quindi che oltre la metà delle aziende ha dovuto affidarsi a competenze complementari di altre aziende partner per sviluppare il proprio portafoglio di servizi. Ma qui, come spesso capita, si annida un nuovo nemico: nonostante gli sforzi, sembra essere ancora difficile per le imprese avere accesso ad un sistema collaborazione tra attori di un ecosistema debitamente organizzato ed orchestrato.

Questo anche perché l’Italia non è solo il regno delle PMI, ma spesso è stata caratterizzata da un’imprenditoria poco interessata allo sviluppo di innovazione aperta. Ancora oggi, vi sono enormi difficoltà, di varia natura, per creare valide alleanze, consorzi e associazioni di impresa che abbiano obiettivi di natura strategica e non economica.

Anche il sistema finanziario appare in ritardo. Sono presenti alcune iniziative, ma queste appaiono ancora in fase early stage. Ad esempio, il programma Rent-for-You di Intesa San Paolo si pone l’obiettivo di connettere imprese che sono interessate a sperimentare modelli di fornitura di tipo EaaS con potenziali clienti, ovviamente trovando soluzioni per finanziare le esigenze di cassa tramite differenti meccanismi di bancabilità, ma si tratta sempre di iniziative ancora non ben definite.

La servitizzazione del manifatturiero italiano: sfide, opportunità e strategie per il futuro

In conclusione, la servitizzazione del manifatturiero Italiano rappresenta oggi una grande sfida, e una grande opportunità. Mentre le aziende globali hanno fatto progressi significativi, le PMI devono affrontare ostacoli di vari natura, che al momento ritardano o impediscono lo sviluppo di queste tipologie di business.

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Ciononostante, anche per recuperare competitività, quasi tutte le imprese asseriscono che è per loro imperativo il potenziamento del business dei servizi, e che sono pronte a lavorare a strategie comuni e a mettere a disposizione budget per la sperimentazione e lo sviluppo dei servizi più attrattivi.

Affrontare queste sfide richiederebbe però un maggiore coordinamento tra i vari attori, in particolare i policy maker e il mondo della finanza, che agendo di concerto potrebbero mettere a punto meccanismi abilitanti e funzionali allo sviluppo della servitizzazione, con grandi benefici per il sistema Paese.

Per approfondire e capire come avviare questa trasformazione cliccare su questo link.

Chi è ASAP

La ricerca presentata in questo articolo è ispirata e supportata dal “Centro interuniversitario di ricerca sull’innovazione e la gestione dei servizi nelle imprese industriali-ASAP SMF” costituito dall’Università di Bergamo, di Brescia, di Firenze, e del Piemonte Orientale.

ASAP è la community italiana sul service management e sulla servitizzazione. Centri di ricerca universitari e aziende collaborano per l’innovazione nella progettazione e gestione dei servizi, per lo sviluppo strategico del “service business” e la gestione del cambiamento. ASAP è il punto di riferimento del panorama nazionale, e uno dei principali a livello Europeo, in materia di service management. Realizza attività di ricerca, formazione, workshop e convegni, favorendo il networking e la disseminazione.

Per informazioni: info@asapsmf.org




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