Chi l’avrebbe detto? È proprio Antonio di Pietro, 75 anni, l’ex magistrato di ferro, l’ex capo di un partito fieramente antiberlusconiano e anti-destra, a dire che il governo non ha commesso neanche l’ombra di un reato decidendo di rispedire in Libia il capo della polizia giudiziaria di Tripoli Osama Almasri. Di Pietro poi parla del suo passato e ammette: la morte di Gardini ce l’ho sulla coscienza
Dottor Di Pietro, non le sembra una enormità indagare mezzo governo per peculato e favoreggiamento?
«Ritengo che usare un aereo di Stato, da parte dello Stato, per ragion di Stato, non sia peculato».
E favoreggiamento?
«Il reato di favoreggiamento prevede che qualcuno, dolosamente, favorisca qualcun altro che ha commesso o è accusato di aver commesso un reato. Ripeto: dolosamente. In questo caso – a ragione o a torto – il governo ha compiuto un atto che riteneva nell’interesse dello Stato e dei cittadini. Quindi non c’è il reato».
Si potrebbe non essere d’accordo sul fatto che il governo abbia agito nell’interesse dello Stato
«Certo che si può essere in disaccordo. Ma sarà l’elettore a decidere se la scelta è stata giusta o sbagliata».
Allora entriamo nel merito.
«Innanzitutto io penso che sia una foglia di fico coprirsi dietro l’esposto del mio amico Li Gotti. Il peculato è un reato per il quale si procede d’ufficio. Se la Procura di Roma pensava che ci fosse peculato, doveva procedere senza aspettare Li Gotti. Dopodiché c’è un altro problema che riguarda il modo nel quale è stato mandato l’incartamento al tribunale dei ministri».
Quale problema?
«Dice la legge che va inviata la pratica al tribunale dei ministri con le richieste della Procura. Allora bisogna capire se il Procuratore ha mandato la pratica al tribunale dei ministri chiedendo l’archiviazione oppure chiedendo di indagare su precisi reati, come favoreggiamento e peculato. Capisce che sono due cose molto diverse».
E se l’ha mandate chiedendo di indagare?
«Allora secondo me ha sbagliato. Io credo che il caso Almasri sia un fatto di grande rilevanza politica e di nessuna rilevanza penale».
Ma il governo ha fatto bene ad espellere Almasri?
«Mi pare che il governo sostenga di averlo espulso per ragioni di Stato. Se chiede a me cosa avrei fatto se fossi stato ministro le dico che l’avrei tenuto in galera. Ma rispetto la ragion di Stato».
Lei lo avrebbe tenuto in galera?
«Beh, mi conosce. Io per deformazione professionale cerco sempre il sistema per tenerli in galera i delinquenti».
Nella battaglia tra politica e magistratura il clima, da quando è entrata in campo la separazione delle carriere, si è ulteriormente surriscaldato. Lei che ne pensa della separazione?
«Penso che vada seguito il dettato costituzionale. Che prevede quattro voti del Parlamento e poi eventualmente anche un referendum. Sarà il popolo italiano a decidere per il sì o per il no. L’Anm, se lo riterrà, metterà su un comitato per il no. Ma che l’associazione magistrati faccia azioni per impedire la separazione delle carriere prima ancora che sia votata dal Parlamento, a me sembra un fatto grave: una offesa alla costituzione».
Me lei è favorevole?
«Sì, io sì».
L’Anm dice che la separazione è il primo passo verso la subordinazione del Pm all’esecutivo.
«È una sciocchezza mostruosa. Se si volesse colpire l’indipendenza del Pm bisognerebbe modificare l’articolo 104 della Costituzione. E questa cosa nessuno l’ha proposta».
Ha fatto bene Nordio ad abolire il reato di abuso d’ufficio?
«Ha fatto bene. Le spiego. Se io, pubblico ufficiale, scrivo che 2 più 2 fa 5, ci sono due possibilità. O che mi sia clamorosamente sbagliato, magari per ignoranza, allora non c’è dolo e quindi non c’è reato. O che l’abbia fatto per imbrogliare e averne dei vantaggi, e allora si chiama corruzione. L’abuso d’ufficio non esiste».
Cosa pensa delle correnti della magistratura?
«Non mi sono mai iscritto ad una corrente né all’Anm. Se l’Anm resta una associazione culturale, benissimo. Mi pare che da un po’di tempo il correntismo abbia portato la Anm ad essere una terza Camera. E questo non va bene».
È favorevole al sorteggio per designare i membri del Csm?
«Sì».
Lei ha detto che il suo errore fu di entrare in politica.
«A 75 anni rivedo la mia storia personale. Io ho cominciato come migrante, in Germania, poi mi sono trovato al centro di vicende storiche. Mani pulite. E penso che se mi fossi fermato quando ho lasciato la magistratura dopo Mani pulite, e fossi tornato qui in campagna, e avessi evitato di buttarmi in politica, il mio bilancio della mia vita sarebbe stato migliore».
Lei rinnega qualcosa del suo passato?
«No. Nulla».
Guardando indietro mi dica: ha fatto qualche sbaglio?
«Quello che mi ha lasciato l’amaro in bocca è il suicidio di Gardini».
Fu un suicidio?
«Sì».
E perché si suicidò?
«Non si è fidato della parola che gli avevo dato».
Quale parola?
«Che non lo avrei arrestato. Gli dissi: Dimmi a chi hai dato quei soldi e te ne vai a casa con le tue gambe».
E quindi perché lui si suicidò?
«Lui era in una situazione di debolezza nei miei confronti. Ed io mi sono comportato in una maniera tale che lo ho fatto disperare. E non si è fidato».
E si sente in colpa?
«Sì. Dovevo aprire al dialogo. Dovevo essere più umano. Perché poi, ripensandoci, mi chiedo: e se stavi tu nei panni suoi ti saresti fidato? E mi rispondo: no».
Lei è stato un po’cinico?
«No, non ho mai fatto niente per cinismo. Però, però, però, non so come dirlo».
Provi
«Sono stato una macchina da guerra. Sì: da guerra».
Era la sua grandezza o no?
«Non credo. Io ho un gran rammarico. Di avere creato tanti dipietrini»
Cioè?
«Io vedevo un reato e cercavo chi l’aveva commesso. I dipietrini pensano che qualcuno abbia commesso un reato e cercano quale sia il reato. Non va bene. Si chiama pesca a strascico. Se io arresto 400 persone e ne condannano 200 io non so se il bicchiere sia mezzo pieno o mezzo vuoto».
Lei conosce bene il processo?
«Io ho fatto il poliziotto, il magistrato, il testimone, l’imputato, il querelante, il querelato».
C’è un nuovo Di Pietro in magistratura.
«Ma sa, Mani Pulite non l’ho fatta nascere io. Nasce prima. E non nasce a Milano. Nasce in Sicilia, col rapporto dei Ros, quello che si chiama mafia appalti. Con Falcone, con Borsellino».
Mi dica: abbiamo tralasciato qualcosa in questa intervista?
«Non so, ma ora devo lasciarla perché devo fare il travaso del vino».
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link