La Mondadori acquisita dai Berlusconi grazie alla corruzione di un giudice

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La Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., condannata insieme a Roberto Saviano per il plagio degli articoli di Cronache nel romanzo “Gomorra” (LEGGI L’ARTICOLO CON GLI ULTIMI AGGIORNAMENTI), è una delle società editrici più importanti d’Europa. Una vera e propria macchina da soldi, un pezzo di storia della Repubblica italiana. Ma come ha fatto a finire nelle mani della famiglia di Silvio Berlusconi, che fino ad allora era stato sostanzialmente un costruttore con la passione per la televisione?

In realtà la società avrebbe dovuto essere acquisita dalla Cir di Carlo De Benedetti, ma grazie alla corruzione di un giudice della Corte di Appello di Milano, il Biscione riuscì a soffiarla all’Ingegnere. La vicenda è nota come “Lodo Mondadori” e ha avuto un lungo e complesso percorso giudiziario, caratterizzato da un intreccio di procedimenti civili e penali. Le indagini partirono dalle anomalie riscontrate nella sentenza della Corte d’Appello di Roma del 1991, che aveva annullato il Lodo Pratis, favorevole alla Cir.

Roberto Saviano e Marina Berlusconi, presidente della Arnoldo Mondadori Editore, la società editrice del romanzo “Gomorra”

La Procura di Milano individuò un sistema di corruzione in cui erano coinvolti diversi soggetti, tra cui il giudice Vittorio Metta, Cesare Previti, Attilio Pacifico e Giovanni Acampora. A seguito di queste indagini, la Corte d’Appello di Milano, in parziale accoglimento dell’impugnazione della Procura, dispose il rinvio a giudizio degli imputati. Silvio Berlusconi, inizialmente imputato per corruzione semplice, visto il reato estinguersi per prescrizione.

Il Tribunale di Milano emise una sentenza di condanna nel 2003 degli altri imputati per corruzione, sia in relazione al caso del Lodo Mondadori, sia per una vicenda parallela di corruzione IMI-SIR. La sentenza fu sostanzialmente confermata dalla Corte d’Appello di Milano. I giudici meneghini revocarono la condanna degli imputati al risarcimento in favore di Cir, pronunciando una condanna generica ai danni patrimoniali e non patrimoniali.

La Cassazione ha rigettato il ricorso degli imputati, rendendo definitive le condanne. Tra gli elementi chiave, emergeva il ruolo di Cesare Previti come l’organizzatore della corruzione. Le somme di denaro utilizzate per corrompere il giudice Metta, circa 400 milioni di lire, provenivano da conti riconducibili a Fininvest e, in particolare, dal conto Ferrido. Queste somme transitavano attraverso una serie di “triangolazioni” finanziarie per raggiungere il giudice Metta.

Per i giudici Berlusconi “non poteva non sapere”

La Fininvest di Silvio Berlusconi era convinta che l’unico modo per accaparrarsi la Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. era fare pressioni sui giudici. Non poteva stare a guardare, mentre i magistrati decidevano del proprio futuro economico. Doveva fare qualcosa per imprimere una sterzata decisa all’orientamento del collegio della Corte di Appello di Milano che doveva decidere sul lodo arbitrale. Le sentenze che scandirono il percorso processuale dello scandalo evidenziarono diverse anomalie nella condotta del giudice della Corte di Appello di Milano, Vittorio Metta. Innanzitutto, l’assegnazione della causa a Metta era apparsa strana.

Silvio Berlusconi e l’avvocato della sua azienda Fininvest, Cesare Previti, condannato in via definitiva per la corruzione di un giudice della Corte di Appello di Milano

La sentenza della Corte d’Appello di Roma fu scritta in tempi molto brevi, con modalità che fecero sospettare che il togato si fosse dedicato alla stesura a tempo pieno, avvalendosi dell’opera di una collaboratrice di cancelleria. Inoltre, Metta utilizzò una copia della sentenza diversa dall’originale nel corso del suo esame al dibattimento d’appello. Un elemento centrale nelle indagini è il bonifico di 2.732.868 dollari americani (circa 3 miliardi di lire) effettuato da un conto di Fininvest (Ferrido) al conto Mercier di Cesare Previti.

Questo bonifico fu ritenuto dalla Corte come una delle prove del coinvolgimento della Fininvest nella corruzione. Una parte di questa somma, tramite una serie di passaggi finanziari, è poi arrivata al giudice Metta. Nei processi penali, risultarono di importanza fondamentale le dichiarazioni di alcuni testimoni, tra i quali l’ingegner Carlo De Benedetti (CIR) e gli avvocati Vittorio Dotti, Aldo Bonomo e Carlo Momigliano. Anche il teste Angelo Codignoni contribuì in maniera determinante alla ricostruzione delle vicende oggetto del processo.

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Le sentenze sottolinearono che Silvio Berlusconi era il “dominus” di Fininvest, ricoprendo una posizione di vertice nella società. Questo ruolo ha portato le corti a presumere che Berlusconi fosse a conoscenza di operazioni finanziarie di tale portata. In particolare, la corte ha ritenuto che fosse “assolutamente fuori dell’ordine naturale degli accadimenti umani che un bonifico di circa 3 miliardi di lire sia disposto ed eseguito, per le dimostrate finalità corruttive, senza che il dominus della società, dai cui conti il bonifico proviene, ne sia a conoscenza e lo accetti”.

Le corti hanno concluso che, in base al principio di “normalità”, era altamente probabile che Berlusconi fosse consapevole e avesse accettato l’inoltro della provvista corruttiva a Previti. Questo nonostante non ci fosse una prova diretta del suo coinvolgimento nella corruzione in sede penale. Le corti civili hanno potuto valutare la responsabilità ai fini del risarcimento civile, basandosi sul principio che “l’estinzione del reato per prescrizione non esclude un accertamento di responsabilità incidentale ai soli fini civilistici”.

Il risarcimento di 494 milioni di euro a De Benedetti

Parallelamente al procedimento penale, la vicenda del Lodo Mondadori ha visto un lungo contenzioso civile, in cui la Cir di Carlo De Benedetti (nella foto insieme a Silvio Berlusconi) chiese il risarcimento dei danni subiti a causa della corruzione del giudice Metta. Le sentenze della Corte d’Appello Civile di Milano hanno riscritto le sorti di questo giudizio, che si è concluso con una condanna di Fininvest al risarcimento di oltre 500 milioni di euro.

Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti, patron della Cir

La Cir chiese il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dalla corruzione del giudice Vittorio Metta. Sostenne di aver subito un danno da “sentenza ingiusta” e una perdita di “chance” di ottenere una sentenza favorevole. La richiesta iniziale ammontava a 468.882.841,02 euro. La Fininvest eccepì la prescrizione dell’azione, la mancanza di responsabilità per i fatti commessi da Silvio Berlusconi e Cesare Previti e la mancanza di un nesso causale tra la corruzione e il danno subito da Cir.

Il Tribunale di Milano, in primo grado, riconobbe la responsabilità di Fininvest, sia per il fatto illecito di Berlusconi (in quanto amministratore della società) sia per quello di Previti (in quanto suo mandatario generale). La sentenza di primo grado condannò Fininvest a risarcire Cir con 380 milioni di euro. La Corte d’Appello Civile confermò la responsabilità di Fininvest. Fu riconosciuto il danno patrimoniale per perdita di “chance”, in misura non inferiore all’87% dell’importo chiesto a titolo di danno patrimoniale.

La Corte considerò che la corruzione del giudice Metta aveva indebolito la posizione negoziale di Cir, costringendola ad accettare una transazione sfavorevole con Fininvest nella spartizione del gruppo editoriale: 184.322.877,94 euro. Fu riconosciuto a Cir anche il rimborso delle spese legali sostenute a causa della corruzione, quantificate in 4.606.800,62 euro. Fu riconosciuto il diritto di CIR al risarcimento del danno non patrimoniale, derivante dalla lesione del diritto ad avere un giudice imparziale e dal danno all’immagine e alla reputazione.

L’ammontare del danno non patrimoniale fu rinviato a un separato giudizio civile. In conclusione, la Corte d’Appello di Milano riconobbe a Cir un risarcimento complessivo che, includendo i danni patrimoniali, le spese legali e gli interessi, superava i 564,2 milioni di euro. Nel 2013, la Corte di Cassazione si pronunciò definitivamente sull’entità del risarcimento, riducendolo a 494 milioni di euro. Importo che la società di Berlusconi ha poi effettivamente dovuto versare alla Cir.

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