Le società partecipate pubbliche gestiscono servizi fondamentali come la raccolta rifiuti, la distribuzione idrica e i trasporti. Il loro funzionamento è spesso caratterizzato da inefficienze gestionali, debiti accumulati e cattive pratiche amministrative. Con oltre 5.000 partecipate censite dal Ministero dell’Economia fino al 2021, il sistema si presenta come una rete frammentata in cui circa il 20% delle società è in liquidazione o in procedure concorsuali. L’inchiesta Dataroom di Milena Gabanelli pubblicata sul Corriere della Sera svela una realtà da approfondire:
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Le radici della crisi di municipali, enti statali e società dello Stato -
La responsabilità dello Stato e i ricorsi alla Corte Europea
Le radici della crisi di municipali, enti statali e società dello Stato
Le cause delle difficoltà delle partecipate sono molteplici e radicate nel tempo. Una delle criticità va cercata nella sotto-capitalizzazione cronica che colpisce molte di queste aziende fin dalla loro fondazione. Un caso emblematico è quello di Soakro Spa, nata per gestire la distribuzione idrica nel Crotonese, ma fallita nel 2016 con oltre 50 milioni di debiti. La società non disponeva di risorse sufficienti per effettuare investimenti e veniva gestita in modo inefficace, con bilanci gravati da consulenze superflue e lavori assegnati senza gare d’appalto.
Un altro problema è l’uso politico delle partecipate, spesso trasformate in strumenti per distribuire poltrone e consenso elettorale. La gestione poco trasparente e l’assenza di una visione strategica portano molte di queste società a operare al di sotto delle loro potenzialità, accumulando debiti e rendendo impossibile il mantenimento dei servizi pubblici senza l’intervento dello Stato.
Le partecipate pubbliche italiane sono a un bivio. Da un lato, sono un’opportunità per migliorare la qualità dei servizi pubblici; dall’altro, la loro cattiva gestione rischia di trasformarle in un peso insostenibile per lo Stato e per i cittadini. La Corte Europea ha chiarito che lo Stato non può sottrarsi alle proprie responsabilità, ma spetta al governo e agli enti locali intraprendere le riforme necessarie per garantire trasparenza, efficienza e sostenibilità.
La responsabilità dello Stato e i ricorsi alla Corte Europea
Una novità rilevante nel panorama delle partecipate è il crescente numero di ricorsi alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo da parte dei creditori delle società fallite. Il caso Soakro ha fatto scuola: la Salvatore Mazzei Srl, una delle imprese creditrici, si è rivolta alla Corte Europea dopo che il tribunale fallimentare ha riconosciuto il suo credito senza però poterlo soddisfare per mancanza di fondi. La Corte ha sollecitato il governo a trovare una soluzione, sottolineando che, quando le pubbliche amministrazioni delegano servizi pubblici essenziali a partecipate, lo Stato rimane responsabile dei debiti contratti.
A oggi, il governo italiano ha risolto quindici casi simili attraverso accordi transattivi, ma si teme che questa strada possa aprire la porta a centinaia di nuovi ricorsi, con un costo stimato di centinaia di milioni di euro per le casse pubbliche.
Per migliorare la gestione delle partecipate, il governo ha introdotto nel 2016 il Testo Unico sulle Società a Partecipazione Pubblica, che impone agli enti locali di razionalizzare le proprie partecipazioni, chiudendo le società in perdita o avviando piani di risanamento. I risultati sono stati finora deludenti: il 39% delle partecipazioni non rispetta i requisiti di legge, e nel 74% dei casi gli enti pubblici scelgono di non intervenire, mantenendo in piedi società inefficaci.
Si possono migliorare i meccanismi di controllo e rendere più trasparente la gestione delle partecipate. Ma bisogna creare un sistema in cui le società siano valutate sulla base di criteri oggettivi di efficienza e sostenibilità economica, con l’obbligo di pubblicare bilanci chiari e dettagliati.
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