Intelligenza artificiale: necessario addestrare, rischioso addomesticare

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Relativamente all’argomento IA sembra apparentemente scaduto l’interesse agli approfondimenti sulle cautele, sulle tutele giuridiche, finanche dei neurodiritti violati con gli «accetta», sulle convenienze senza riserve per la società e sul rispetto della persona. È come se tutto ciò fosse stato già esaudito, senza considerare che il tutto è ancora in alto mare.

Prevale il marketing, spesso pericolosamente esaltante, causa di una tensione sul piano della concorrenza misurata sul piano internazionale generativo di una guerra per il suo dominio.

Gli Usa e la Cina giocano la loro partita, con un set point in favore del paese degli occhi a mandorla con il modello DeepSeek tirato fuori dal cilindro di una start-up con un investimento inferiore ai sei milioni di dollari americani. Una minuzia rispetto a quanto speso dal Paese oggi in mano a Trump.

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Si è, di conseguenza, acuita la competizione, per il momento impari, nei confronti della quale il presidente Donald Trump fa buon gioco a cattiva sorte. Ha fatto pubblicamente finta di incassare il colpo di Xi Jinping con un insolito bonismo, sbuffando però sugli investimenti miliardari effettuati dal suo Paese contrapposti agli «spiccioli» impiegati dagli asiatici di Pechino, oggi in vetta alla classifica.

Il tema degli investimenti ha conquistato l’attenzione generale. Ha fatto sì che si desse rilievo, nella loro scomposizione dei numeri, ai componenti essenziali a che l’IA assuma consistenza, più successo e un accesso esteso degli utilizzatori.

Uno dei suoi ingredienti primari di spesa, che pare essere peraltro il più costoso e il più attrattivo sul piano del risultato, è l’addestramento. Un termine non assimilabile a quello in uso diffuso, riconducibile all’acquisizione di informazioni e di pratiche suggerite dall’esperienza, bensì particolare. Ciò in quanto nel tema specifico, è quel processo attraverso il quale si dà all’l’IA una grande capacità di autogovernarsi efficientemente mediante il metabolismo di una immensa quantità di dati. Quelli che occorrono alla sua efficienza nell’indentificare e nutrire schemi di processo elaborativo e nell’assumere delle decisioni, il più possibile incontrovertibili. Sbagliare in questo, sarebbe un dramma umano determinato da una modalità di approccio e di proposta artificiale.

Addestrare è dunque un concetto concettualmente diverso dall’addomesticare. Anzi è il contrario.

L’addestramento dell’IA corrisponde all’esigenza di mantenere sempre il pieno nel serbatoio delle conoscenze, indispensabili ad elaborare statistiche in modo tale da farle diventare il cibo completo e sicuro per alimentare i suoi elaborati. Da qui, il bisogno tuttavia che l’addestramento sia messo in mano ad una rete efficiente e diligente, che rilevi perfettamente i fenomeni e li trasformi in dati ineccepibili, allo scopo di provocare, in difetto di validazioni, decisioni schizofreniche.

Un tema che messo a confronto dei comuni canoni della filosofia, ma anche delle basi delle scienze tecniche, si manifesta quasi incomprensibile perché poggia il suo essere su due momenti dei quali non c’è e non vi sarà mai certezza. Difetti di rilevamento, incompletezza dei dati capitalizzati, non attualizzazione ai risultati dei processi scientifici determinano dei nuovi percorsi rispetto a quelli rilevati, esigenze che cambiano sulla base di una composizione diversa dalla popolazione sul piano demografico e culturale, necessità di espandere le soluzione al terzo mondo, un po’ al di fuori delle statistiche emerse costituiscono il vero vulnus dell’addestramento. Quasi una dichiarazione di inadeguatezza a formare le fonti più autentiche per generare le condizioni corrette per pervenire a soluzioni «artificiale».

Un convincimento, questo che viene fuori dalla letteratura, quella che ti rimane nascosta tra i globuli bianchi e quelli rossi. Il riferimento è al «Piccolo principe», quel colosso educativo scritto da Antoine de Saint-Exupéry che arriva al suo apice con il confronto del protagonista con il canide più simpatico che ci sia: la volpe. Un esempio da mettere in mano a cinesi, americani e a chiunque si occupi di IA. Ben venga, chi ragioni e decida per conto altrui. Ma alla condizione che tenga a mente la spiegazione che la volpe diede al suo desiderio di volere essere addomesticata: «È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami. Se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altra. Tu sarai per me l’unico al mondo, e io sarò per te l’unica al mondo». Un circuito delicato a compiersi e facile a rompersi con l’occupazione degli spazi di civiltà, di critica propositiva e di coscienza non rintracciabile con la consegna all’IA.



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