Caso Sara Pedri: dopo 4 anni di processo assolti l’ex primario e la sua vice

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L’ex primario Saverio Tateo.

Dopo 4 anni di udienze e decine di sedute con l’audizione di numerosi testimoni, il processo sul caso di Sara Pedri per le accuse di maltrattamenti a danno della giovane ginecologa sparita nel nulla da parte dell’ex primario e della sua vice finisce nel nulla perché «il fatto non sussiste».

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Il giudice dell’udienza preliminare, Marco Tamburrino, ha assolto con formula piena l’ex primario dell’unità operativa di ginecologia e ostetricia dell’ospedale Santa Chiara di Trento, Saverio Tateo, e la sua vice, Liliana Mereu, dalle accuse di maltrattamenti in concorso e in continuazione nei confronti del personale del reparto. L’accusa, rappresentata dal Pm Maria Colpani, aveva chiesto una pena identica per entrambi gli imputati: quattro anni, due mesi e venti giorni, calcolata sulla base della pena prevista per il reato ipotizzato, ridotta poi di un terzo per il rito abbreviato.

Il procedimento è nato dall’indagine svolta dai carabinieri e coordinata dalla Procura di Trento in seguito alla scomparsa della ginecologa Sara Pedri, 31 anni, di cui si sono perse le tracce dal marzo 2021. Quasi due anni dopo, l’inchiesta era stata chiusa con la richiesta di rinvio a giudizio dei due medici. Il processo è iniziato nel novembre 2023, dopo un incidente probatorio concordato tra le parti per acquisire la testimonianza di otto colleghe di Pedri impiegate nel reparto.

Secondo i familiari di Sara Pedri proprio le condizioni di lavoro vessatorie sarebbero state all’origine della scomparsa della giovane donna, la cui auto venne trovata nei pressi del lago di Santa Giustina facendo ipotizzare un suo suicidio nelle acque del bacino artificiale. Pedri è stata cercata in più occasioni anche nelle acque del lago, con l’impiego di mezzi, strumentazioni e operatori specializzati arrivati in Trentino da fuori provincia, ma senza esito.

La forlivese Pedri era arrivata in Trentino per dedicarsi alla procreazione assistita. Dopo aver preso servizio a Trento, il 16 novembre 2020, secondo quanto affermato in più occasioni dai familiari, aveva iniziato a mostrare i segni di disagio personale. Dal 4 marzo 2021 – il giorno successivo alle sue dimissioni – si sono perse le sue tracce.

Nel corso delle indagini per i presunti maltrattamenti, la Procura ha individuato 21 parti offese, tra cui la stessa Pedri. In reparto a Trento, secondo quanto riferito da alcune professioniste che vi hanno lavorato, il clima per il personale non sarebbe stato facile, con presunte pressioni e angherie.

Dopo l’emersione del caso, Tateo è stato prima sospeso e poi licenziato dall’Azienda sanitaria di Trento a seguito della contestazione di 17 violazioni disciplinari, relative perlopiù a presunti atteggiamenti vessatori nei confronti dei collaboratori e del personale di sala.

Nell’indagine interna era stata coinvolta anche Liliana Mereu, che aveva conservato il posto con una sanzione disciplinare e il trasferimento all’ospedale di Rovereto. Mereu, che ha impugnato la sanzione, ha poi lasciato il Trentino per andare a lavorare in Sicilia.

Tateo aveva impugnato il licenziamento, ritenuto illegittimo dal giudice del lavoro di Trento, che aveva disposto il reintegro del professionista ed il pagamento di due anni di stipendio. Anche Tateo ha lasciato Trento e attualmente lavora in Francia.

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La decisione del gup ha trovato la soddisfazione dei legali della difesa, che nelle arringhe avevano contestato l’applicazione dell’articolo del codice penale sui maltrattamenti familiari in ambiente lavorativo. «Sono innocenti come noi sapevamo dall’inizio di questa storia», ha detto Salvatore Scuto, uno dei legali di Tateo che ha criticato anche il comportamento di quei media che puntano sempre sul sensazionalismo: «per quattro anni una persona perbene, un professionista stimato è stato messo alla gogna a testa in giù sulla base del nulla. Questo è un problema che riguarda i giornali e i social media. È un problema di cui dovreste farvi carico per capire esattamente cosa vuol dire fare informazione giudiziaria».

Per le parti civili, l’avvocato Andrea De Bertolini, afferma che «la vicenda patisce di un difficile meccanismo di valutazione dell’effettiva responsabilità degli imputati rispetto alla fattispecie di reato contestata». Per il legale della famiglia Pedri, Nicodemo Gentile, «eravamo consapevoli che il processo per maltrattamenti era insidioso. Sicuramente è una sentenza che si muove lungo il terreno scivoloso del mobbing, fattispecie che in Italia rappresenta ancora un vuoto culturale. Vedremo come si muoverà la procura. Siamo abituati a rispettare le sentenze. Aspetteremo le motivazioni della decisione, ma dal punto di vista del rilievo penale il mobbing rimane sempre e comunque una brutta bestia».

 

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