IL PUNTO n 986 del 31 gennaio 2025 di MARCO ZACCHERA 

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IL PUNTO n 986 del 31 gennaio 2025

di MARCO ZACCHERA 

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SOMMARIO: Mentre Trump ogni giorno ne inventa qualcuna per tenere sveglio il mondo, in Italia nuovo capitolo nella guerra toghe-governo. Intanto corre il tempo: 30 anni fa il Congresso di Fiuggi vedeva la nascita di Alleanza Nazionale.

PS: lo so che scrivo “lungo” e mi scuso,ma se si vuol fare un discorso minimamente compiuto…

 

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MAGISTRATI: “CHI TOCCA I FILI MUORE!” (??)

Non sono un giurista, ma neppure una distratta casalinga di Voghera, eppure – come a quasi tutti gli italiani – mi sfugge la differenza sostanziale che intercorre tra un “avviso di garanzia”, una “iscrizione nel registro delle notizie di reato” e una “comunicazione giudiziaria”. Per chi segue ancora queste cose la vicenda Almasri significa invece, in parole povere, che ancora una volta dei magistrati vorrebbero mettere in difficoltà il governo e la Meloni per via giudiziaria.

Che il generale libico Almasri sia un tagliagole e comunque un brutto personaggio che meriterebbe la galera possiamo essere tutti assolutamente d’accordo, ma il reato è nebuloso, il contorno internazionale incerto, le necessità di tenere comunque buoni rapporti con la Libia evidenti (a proposito: la Corte Internazionale non ha mai sanzionato la Francia per le sue dirette responsabilità nell’ aver scatenato la guerra in Libia pur di ammazzare Gheddafi e farsi i propri affari petroliferi…). Oltretutto i servizi segreti degli “alleati” tedeschi sapevano benissimo della presenza di Almasri in Europa da tempo (andava perfino allo stadio!), ma lo hanno taciuto alla Corte Internazionale fino a quando non è partito per l’ Italia girando così ad altri la grana (anche per fare volutamente uno sgambetto al nostro governo?). Un pasticcio, insomma, dove però è evidente la “ragion di stato”.

Uno scontro tra magistratura e governo che comunque si poteva e si doveva evitare, ma che si è voluto far partire a gran carriera in concomitanza con l’avvio del dibattito parlamentare sulla sempre più necessaria riforma della Giustizia e con la conseguente temuta separazione delle carriere.

Perché, se domani mattina io spedisco alla Procura di Roma un esposto in cui chiedessi di verificare – per esempio- se sussistano reati sull’uso improprio di un volo di stato, il procuratore Francesco Lo Voi spedirà seduta stante il conseguente, analogo avviso di potenziale peculato a mezzo governo? Credo proprio di no, anche se ufficialmente lo farebbe per “tutelare” quelle persone e informarle che qualcuno le accusa, ma – di fatto – l’agire con tale fulminea tempestività sarebbe del tutto anomalo e sorprendente, soprattutto tenendo conto che quanto è avvenuto fa seguito a un esposto “politico” da parte dell’avv. Luigi Li Gotti, ex sottosegretario alla Giustizia già stazionante dalle parti di Prodi, proprio quello che impose il “segreto di stato” sul caso del terrorista Abu Omar catturato  (dalla CIA?) a Milano e poi rispedito in Egitto anziché trattenerlo.

L’atto del procuratore Lo Voi (quello stesso che voleva per sé l’aereo di stato al costo di 13.000 euro/ora ogni volta che andava a fare il PM al processo di Palermo per sostenere le sue accuse contro Salvini, poi come si sa finite in nulla) non era – secondo me – né urgente né obbligatorio, ma è stato un atto “politico” e la Meloni è stata furba a pubblicizzarlo giocando d’anticipo.

Ha così spiazzato la concorrenza mettendo in graticola (e in ridicolo) la stessa Procura e guidato il gioco ben sapendo tra l’altro che – con ogni probabilità – la mossa di Lo Voi era del tutto inutile e finirà assolutamente nel nulla vista anche la procedura parlamentare vigente in questi casi.

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Ma, soprattutto, la Premier ha imposto appunto il “suo” gioco, quello che è il presentarsi direttamente agli italiani sulla linea del “Vogliono farmi fuori per via giudiziaria, ma io non sono Berlusconi, non ho scheletri nell’armadio né interessi personali: sparate al petto se volete, ma non mi abbatterete come altri in passato.”

Un intervento senza peli sulla lingua, che ha mandato in bestia la stampa “progressista” che non la può vedere e nell’ennesimo e solito silenzio di Mattarella, che probabilmente non sa più che pesci pigliare. In ogni caso avremo ora una ulteriore radicalizzazione della lotta parlamentare per la riforma di quella parte di Magistratura che non vuole cambiare nulla pur di mantenere intatto il suo potere pur spesso travalicando i limiti costituzionali continuando a mandare avvisi “politici” di  ”Chi tocca i fili muore”, ma alla fine rischiando di rimanere essa stessa folgorata, oltre a perdere sempre di più la propria credibilità e le sue presunte, necessarie doti di imparzialità ed indipendenza.

 

Approfondimento: FIUGGI, TRENT’ANNI DOPO

Trent’anni fa, a Fiuggi, nasceva Alleanza Nazionale e paradossalmente ci sono voluti trent’anni perché giungesse a compimento quel processo politico che ha portato oggi la destra italiana non solo al governo ma ad essere finalmente riconosciuta come forza pienamente legittimata anche a livello internazionale. Eppure ancora in questi giorni – vedi i commenti sulle dichiarazioni della Meloni sulla Shoah – ogni frase o dichiarazione viene ancora passata al microscopio da quei “Gendarmi della Memoria” (come li chiamava Giampaolo Pansa) che si auto-detengono in perpetuo il “diritto” di stabilire i colpevoli di presunto leso antifascismo.

Fiuggi fu un passaggio fondamentale, ma per verità già dal 1946 – quando fu fondato il Movimento Sociale Italiano – questa evoluzione era stata accettata come prospettiva politica. Quel “Non rinnegare, non restaurare” degli inizi e l’accettazione senza riserve dei principi democratici e parlamentari (oltre che la convinta adesione alla NATO che pur rappresentava gli “ex nemici”) erano una chiara scelta di campo.

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Fu però un lungo viaggio di 50 anni di emarginazione in un deserto politico paradossalmente reso ben più difficile non da resistenze interne, ma piuttosto proprio da quell’ “Arco Costituzionale” che era comunque riuscito a tenere emarginata una forza politica che nel sistema elettorale proporzionale contava poco (anche se il MSI-DN era stabilmente il quarto partito italiano) ma che evitava così tentazioni per la DC a scegliere alleati a destra. Quando vi furono tentennamenti (come con il governo Tambroni che nel 1960 era di fatto sostenuto dai voti missini) la piazza antifascista e socialcomunista stroncò sul nascere e con la violenza ogni compromesso.

Con il sistema elettorale maggioritario tutto cambiò, ogni voto “contava” e fu Silvio Berlusconi a rompere gli schemi, ma Gianfranco Fini (“lanciato” come leader quattro anni prima da Giorgio Almirante) a dare un volto giovane e credibile al rinnovamento politico e generazionale del MSI.

Il referendum elettorale del 1992 fu infatti uno strappo improvviso, unico, impensabile e che nel giro di pochi mesi trasformò rapidamente la politica italiana che intanto – sotto le ondate di “mani pulite” – vedeva frantumarsi e sparire la DC, i socialisti e i gruppi minori, “salvando” però il PCI (che stava vivendo a sinistra una evoluzione per molti versi analoga a quella missina, anche per l’avvenuto collasso dell’URSS) di cui si coprirono le tracce su finanziamenti e collusioni spesso legate proprio ai rapporti con Mosca.

Dietro le quinte – chi scrive ebbe l’onore e l’onere di organizzare personalmente il congresso di Fiuggi e di aprirlo come segretario generale – furono mesi impegnativi, anche se la credibilità di Fini all’interno del partito (oltre che al progressivo successo esterno) fece superare molte delle perplessità che animavano quegli iscritti che temevano il salto nel buio. Alla fine solo un gruppo di irriducibili si stacco creando un gruppo autonomo “nostalgico” mentre l’adesione alle “Tesi di Fiuggi” fu convintamente approvata dalla stragrande maggioranza degli iscritti. Una scelta anticipata da quella parte di opinione pubblica che intanto aveva scoperto la destra prima nel voto romano (Fini arrivò nel novembre 1993 al ballottaggio alle “comunali” contro Rutelli raccogliendo il 47% dei voti) e l’anno successivo concretizzandosi nel voto politico dove il centro-destra si presentò nei collegi con due alleanze variabili (Forza Italia e Lega Nord da sole nell’Italia Settentrionale, mentre FI e Alleanza Nazionale si unirono nei collegi al centro-sud).  Al Nord la neonata AN raccolse così molti voti, ma non elesse quasi nessuno (in Piemonte, per esempio, fummo eletti solo in due deputati), ma l’opposto avvenne nel sud facendo complessivamente deragliare la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto (che guidava il fronte della sinistra) e ne uscì – con l’aperta ostilità del presidente Oscar Luigi Scalfaro – il primo governo Berlusconi con Forza Italia primo partito e quattro ministri di AN.

Vice premier e vero regista politico dell’operazione fu l’esponente barese missino Pinuccio Tatarella (che se non fosse scomparso anzitempo non avrebbe forse mai permesso a Fini di “sbandare” mettendosi anni dopo contro Berlusconi) affiancato da un gruppo di “pensatori” di qualità.

Le elezioni del ’94 precedettero Fiuggi e il congresso fu un lavoro organizzativo enorme raccogliendo quasi quattromila delegati che sotto gli occhi delle TV di mezzo mondo in un lungo week end votarono a grandissima maggioranza prima lo scioglimento del MSI-DN e poi la nascita di AN tra lo scetticismo preconcetto di quasi tutti i media e il quotidiano esame del sangue di antifascismo.

D’altronde, se ancora oggi c’è chi vede in Giorgia Meloni un potenziale rischio democratico, immaginatevi cosa non era stato per Fiuggi dove le parole di ogni delegato erano vivisezionate dalla gran parte dei media per poter dimostrare come il cambiamento fosse solo di facciata, ma non convinto e credibile.

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Non era così e d’altronde a rileggere oggi le “tesi di Fiuggi” c’è già tutto o quasi del DNA dell’attuale governo con intuizioni programmatiche coraggiose e lungimiranti sull’ evolversi della successiva situazione politica europea e mondiale. Temi come immigrazione, denatalità, Europa (anche se l’Euro non c’era ancora) erano stati preparati con attenzione e serietà.

Fu quindi un congresso vero e non di plastica, soprattutto intessuto di sentimenti perché per molti iscritti al MSI quel loro piccolo partito era una questione di fede, di anima, una fiamma tricolore simbolo di anni di emarginazione e di orgogliosa diversità rispetto agli avversari. Oggi abbiamo la conferma che fu una scelta di campo e per chi come me l’ha vissuta in prima persona si può dire che fu non solo una scelta giusta, ma lungimirante e coraggiosa.

 

BUONA SETTIMANA A TUTTI                                                  MARCO  ZACCHERA            

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