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È Meloni contro tutti. Ma dove la destra divide, la sinistra può unire


La premier ha inaugurato una nuova fase del governo, passando ad attaccare vari nemici per preparare il richiamo alle urne. Al momento sembra completamente padrona della coalizione, ma il Madreternismo non dura per sempre. E nel clima di campagna elettorale permanente, il Pd di Schlein può costruire l’alternativa

Con gli attacchi alla magistratura degli ultimi giorni (il caso del torturatore libico Almasri riportato a casa e l’informazione di garanzia per lei e altri ministri del governo, il ritorno in Italia dei 43 migranti trasportati in Albania, il terzo giro a vuoto su tre), Giorgia Meloni inaugura una nuova fase del suo governo.

Il destino finale è il richiamo alle urne degli italiani. Importa poco il quando o il come, comincia la lunga volata che mira a spostare l’attenzione dell’opinione pubblica dalla realtà. Gli sbarchi sono in aumento, la crescita economica è pari a zero, ma alla premier interessa solo il numero che ha condiviso sui social, la supermedia Youtrend che attribuisce a Fratelli d’Italia il 30,5 per cento. Un trenta per cento tutto suo.

Contro tutti

Bastava vedere ieri il partito meloniano riunito in un centro congressi a Roma, senza la Leader Massima. Uno sferragliare di autoblu con una folla di ministri, sottosegretari, capigruppo, assistenti, portaborse, Santanchè. Distanti dal palco natalizio di Atreju, e privi di guida, apparivano pupi disanimati.

Il consesso si è concluso con l’appello di Meloni (Arianna) a stare accanto a Meloni: «Siamo il partito della Nazione, Giorgia è come Frodo e noi la Compagnia dell’Anello». Invece è un remake di Maciste contro i mostri, come in un film peplum anni Sessanta assisteremo a Meloni contro i magistrati, Meloni contro la Corte di giustizia europea, Meloni contro la Corte penale internazionale, Meloni contro Lo Voi, e così via.

L’informazione spedita dal procuratore di Roma ha conseguito il risultato di personalizzare lo scontro, come avveniva ai tempi di Berlusconi. Meloni si paragona a Penelope, ma non spiega chi disfa le tele che lei tesse tutto il giorno. Il parlamento è svuotato di ogni ruolo, i ministri Nordio e Piantedosi hanno preferito l’Aventino del governo pur di non esporre la loro versione dei fatti su Almasri, eppure alle Camere la destra ha i numeri blindati.

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La magistratura è attaccata perché esercita le sue funzioni di controllo della legalità delle azioni del governo e di tutela delle garanzie di tutti, soprattutto dei più deboli, che non hanno a disposizione gli strumenti di cui gode, ad esempio, il libico Almasri.

Eppure il rispetto delle regole dello stato faceva parte un tempo del bagaglio culturale di ogni partito conservatore, anche il più parruccoso e reazionario, compreso quello di origine di Meloni. Prima che ovunque le nuove destre trasformassero il dibattito pubblico in un western o in un talk senza regole, dove vince il più forte.

Moderati non pervenuti

Una lezione di politica ai moderati, liberali, popolari europei è arrivata a Berlino. È stata Angela Merkel a impartirla, non solo ai tedeschi, con il suo ceffone, sbucato dal nulla e ben assestato sul candidato cancelliere della Cdu Friedrich Merz, la zampata di una leader contro un politicante. Con il voto anti-richiedenti asilo Merz puntava a essere lo sdoganatore di un’alleanza con la destra estrema guidata dai popolari, cioè da lui, e si è ritrovato a traino della destra e sconfitto, per il voto contrario dei merkeliani.

«È balzato su come una tigre ed è atterrato come uno zerbino», lo ha irriso la leader di AfD Alice Weidel. Merz sognava di essere il Berlusconi tedesco, si è risvegliato Tajani. Ma quanto accade in Germania è il segno che la resistenza nel mondo moderato a finire divorati dalla destra è ancora forte, almeno in Europa.

In Italia invece nessuno nella coalizione di governo mette in discussione il Madreternismo di Meloni. Ed è vero che nel partito della Nazione meloniano sono schierati i vertici delle aziende pubbliche, i principali imprenditori privati, gran parte dell’informazione, a volte sono le stesse persone che facevano da corona al precedente partito renziano, quello del 2015-2016 che puntava a vincere il referendum, hanno solo cambiato padrone. L’anello del potere ora è suo, di Meloni.

L’alternativa

Ma proprio quel precedente dovrebbe preoccupare la premier in carica. I partiti dell’opposizione continuano a discutere di alleanze e di assetti interni, ma gli stessi sondaggi che sventola Meloni fotografano l’aumento dei consensi al Pd di Elly Schlein, l’unico a crescere oltre a Fratelli d’Italia, nonostante la ripresa delle risse interne e l’incomprensione dei salotti intellettuali più conformisti.

Se la premier intende portare il paese alla campagna permanente, facendo a meno della realtà, chi vuole costruire un’alternativa deve partire dal punto opposto. Un tenace attaccamento alle cose, la capacità di allargarsi fuori dai propri confini per parlare con una società pluralista.

Chi è sicuro della sua identità deve cercare alleanze a tutto campo, nella società più che nel Palazzo. La destra divide, in America, Europa, Italia, prospera nelle stesse fratture che crea. Il progetto alternativo deve avere la forma rassicurante, gentile, ma combattiva, testardamente determinata, di chi vuole unire.

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