STAR WARS E LA SINISTRA ITALIANA

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Il primo film di Star Wars di George Lucas (ribattezzato Star Wars Episode IV – A New Hope in seguito alla nuova versione della saga dopo l’uscita dei prequel dal 1999) ha rivoluzionato la storia del cinema d’intrattenimento americano nel contesto di un periodo detto New Hollywood, termine che secondo lo storico del cinema Geoff King indica tutto il cinema che segue l’era dello studio system, raccogliendo l’arco temporale che va dalla seconda metà degli anni sessanta al nuovo millennio.

Geoff King individua all’interno di questo periodo fasi differenti, come l’iniziale Hollywood Renaissance, dove l’industria cinematografica statunitense per riprendersi dalla crisi del cinema insorta fra gli anni cinquanta e sessanta, a seguito dello sviluppo di nuovi mezzi d’intrattenimento come la televisione che vedrà le famiglie la sera davanti ai serial televisivi di quei decenni, che uscivano meno di casa e facevano floppare quasi tutte le costose pellicole prodotte in quegli anni.

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Hollywood risponderà con pellicole a basso e medio costo dove sarà centrale il ruolo autoriale del regista, e non degli studios. Una stagione che prolifererà con pellicole come Gangster Story, di Arthur Penn, del 1967, dipanandosi con film come Il laureato di Mike Nichols, sempre del 1967, 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, del 1968, Easy Rider – Libertà e paura, diretto e interpretato da Dennis Hopper, del 1969, e tanti altri.

Si tratta di grandi pellicole che nacquero dall’estro e dall’ingegno di registi di formazione universitaria, e che evolvè in una sua seconda parte, che fa da sfondo alla saga spaziale di George Lucas, chiamata l’età dei blockbuster. Infatti, assieme ad un’altra pellicola come Lo Squalo di Steven Spielberg del 1975, capolavoro del horror-thriller, Star Wars darà il via alla stagione dei film multimiliardari che diverranno il marchio di fabbrica degli anni ottanta e che si caratterizzeranno con costosissime campagne promozionali e dal graduale ritorno della centralità dei produttori cinematografici che, per evitare flop (e infatti si dice comunemente che la New Hollywood finisce nel 1981, con l’insuccesso del western di Michael Cimino I cancelli del cielo, un flop che mandò a gambe all’aria la United Artists) iniziarono a limitare la grande libertà che i registi avevano prima .

Star Wars uscì il 25 maggio 1977, e da quel giorno nulla fu più come prima a Hollywood, che puntò su produzioni costosissime capaci di scollare la gente dalla poltrona e spegnere il televisore per vedere film che, per la loro struttura narrativa, si presteranno sempre più, e il film di Lucas lo dimostra, alla nascita dei franchise, cioè della serializzazione dei film in più e più capitoli, con marchi sfruttabili anche come merchandising. I film, scrive Geoff King, erano differenti dalle produzioni televisive, perché avevano un “formato a picchi” con sequenze spettacolari – grazie ai primi effetti speciali usati all’epoca – e di tensione più frequente rispetto al formato lineare delle produzioni televisive e della vecchia Hollywood.

Star Wars, solo negli Stati Uniti, incassò la faraonica cifra di 461milioni di dollari, e 337milioni nel resto del mondo, per un totale di 798milioni di dollari a livello mondiale. In Italia – dopo una prima presentazione europea l’11 settembre 1977 al Festival du cinéma américain de Deauville e il 19 ottobre, per la prima volta a livello nazionale, a Parigi – il colossal di George Lucas arrivò, dopo una conferenza stampa di presentazione del film, da noi ribattezzato Guerre Stellari, tenutasi a Roma il 3 ottobre, nei cinema della capitale, di Milano e di Torino il 20 ottobre 1977.

La cultura dominante nell’Italia degli anni settanta
Per capire come Guerre Stellari sia stato accolto dal pubblico italiano del 1977-1978, va visto il contesto politico-culturale di allora. All’epoca in Italia si stava assistendo all’ascesa elettorale del Partito comunista italiano (Pci) guidato dal carismatico segretario generale Enrico Berlinguer, tutt’oggi ricordato dall’elettorato di centrosinistra postcomunista come leader democratico, onesto e diverso dai sovietici, così grigi e totalitari, com’è evidente dall’enfasi data al biopic diretto da Andrea Segre Berlinguer – La grande ambizione (2024).

L’ascesi elettorale dei comunisti italiani, fu così importante (e temuta dai ceti medi conservatori e moderati, legati elettoralmente alla Democrazia cristiana (Dc) nonché ad altri partiti laici di governo ed ai neofascisti del Movimento sociale italiano (Msi) di Giorgio Almirante) non solo perché la strategia del Pci, sin dal 1973, tendeva al “compromesso storico” con i cattolici, cioè il tentativo del Partito comunista di trovare un accordo politico con la Democrazia cristiana per governare assieme, ma perché, come notò Umberto Eco il 14 gennaio 1977 in un editoriale sul Corriere della Sera, «la visione marxista della società si [stava] imponendo come valore acquisito».

Umberto Eco, in questo editoriale intitolato “I comunisti fra antemarcia e cacciatori di streghe”, colse uno dei tratti tipici delle trasformazioni che stavano accadendo nella società italiana nella seconda metà degli anni settanta, e che influenzeranno inevitabilmente le recensioni dei quotidiani del film di George Lucas Guerre Stellari, e cioè il progressivo radicarsi di valori egualitari che confermavano i risultati del referendum sul divorzio del 1974 e la stagione dell’ampliamento legislativo dei diritti civili, dal nuovo diritto di famiglia alla legge Basaglia sulle patologie mentali fino a quella sull’aborto.

Sul piano politico tale cambiamento trovò conferma nella crescita del Partito comunista sia in termini elettorali – con il massimo del 34,4% dei consensi nelle elezioni politiche del 1976 –, sia in termini di tesserati al partito, il cui numero era praticamente identico a quello della Democrazia cristiana, partito di maggioranza relativa, mentre in quello culturale – ed ecco perché Eco, tra l’altro collaboratore della rivista a fumetti Linus, parlò di «visione marxista della società» – tale cambiamento si rispecchiò nel proliferare di radio e televisioni “libere”, in contrasto con il servizio pubblico, nonché con il successo di film come Novecento di Bernardo Bertolucci (1976), apertamente di sinistra e filocomunista.

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Le recensioni sulla stampa di sinistra di allora
Dopo alcune esperienze amatoriali, prima dei 30 anni, George Lucas girò L’uomo che fuggì dal futuro (THX 1138, 1970) e American Graffiti (1973), ben presto due cult movies. Grazie a queste pellicole Guerre Stellari, primo capitolo dell’omonima trilogia, venne accolto il 4 luglio 1974, quando si cominciò a parlare della lavorazione della pellicola di fantascianza, sul quotidiano ufficiale del Pci, l’Unità, a p. 9, nell’articolo “Molto lavoro per George Lucas”:
«George Lucas, il regista di American Graffiti, realizzerà un film ambientato nel mondo delle stazioni radiofoniche americane degli anni trenta. In seguito, se le trattative andranno in porto, Lucas si cimenterà con Star wars (“Guerre stellari”), un film di fantascienza basato sui personaggi di Flash Gordon e definito “una via di mezzo tra 2001 odissea nello spazio, i film della serie Agente 007 e Lawrence d’Arabia”».

Già capiamo alcune cose: gli articolisti della pagina “Spettacoli-Arte” del quotidiano comunista seguivano le vicende cinematografiche leggendo le riviste specializzate d’Oltreoceano, dato che Star Wars nasce come una sorta di ripiego da parte del regista dopo il mancato ottenimento dei diritti del fumetto di fantascienza Flash Gordon di Alex Raymond, protagonista, negli anni ‘30, di serial trasmessi a puntate nei cinema. I diritti, successivamente, arriveranno nelle mani dal produttore Dino DeLaurentis, che produrrà nel 1980 il colossal Flash Gordon con colonna sonora dei Queen, che non ebbe il successo sperato… chissà che sarebbe successo se, dopo il successone di Star Wars, George Lucas fosse riuscito a produrre lui quel film. Avrebbe, oltre a Star Wars e Indiana Jones, prodotto un terzo franchise di successo? La storia, purtroppo, non si fa coi se…

Tornando all’impatto di Star Wars sulla stampa di sinistra italiana, un anno dopo, con l’articolo “George Lucas girerà un film di fantascienza”, pubblicato sul quotidiano l’Unità il 25 luglio 1975, a p. 9, fu annunciato, citando il nome originalmente pensato del personaggio di Luke Skywalker, cioè Luke Starkiller, che «Il regista George Lucas, d’accordo con il produttore Gary Kurtz, con il quale ha realizzato American Graffiti, si accinge a girare un film di fantascienza. Lucas sceneggerà e dirigerà Star Wars (“Guerre stellari”) su un soggetto proprio, il racconto The adventures of Luke Starkiller. Star wars era in preparazione dall’inizio del ’74, ma soltanto adesso è stata stabilita la data di inizio delle riprese, che sarà il giorno di Natale del 1976. Il film sarà girato un po’ in tutto il mondo».

Quando il 20 ottobre 1977 uscì a Roma, Milano e Torino il film di George Lucas Guerre Stellari fu sprezzantemente recensito sul quotidiano l’Unità nell’articolo non firmato «Cinema – Guerre Stellari», pubblicato il 21 ottobre 1977 sempre a p. 9.
«Si dice in giro che la fantascienza sia tornata in auge, e a Hollywood sono del resto in cantiere molti film avveniristici, progetti incoraggiati dallo strepitoso successo di questo Guerre stellari, ovvero Star Wars, campione d’incasso di tutti i tempi. Ma è vero che c’è un nuovo, grande pubblico per la fantascienza? Secondo noi, si tratta di un equivoco.
Innanzitutto, cominciamo col dire che Guerre Stellari non è un film, bensì un prodotto, un giocattolone per super minorenni che non lascia scampo alla fantasia. Non a caso, il regista George Lucas si era già cimentato anni fa con la fantascienza offrendoci un film fin troppo «adulto», L’uomo che fuggì dal futuro, decisamente respinto, ovunque, dal mercato cinematografico. Il cinema fantastico, quello che ha diritto di chiamarsi così, vive in funzione della metafora, quindi è inviso alla grande fabbrica dell’evasione e, di conseguenza, anche ai suoi milioni di spettatori beati e sottomessi. Mettendo in moto gli aggeggi di un presunto realismo tecnologico, stavolta George Lucas ha infatti riscritto una tipica fiaba medioevale, con tanto di principessa indifesa, corazzieri templari, cuori di leone, brandi fiammeggianti. L’ironia, a tratti, si fa strada (vedi il ritratto del robot, simile ad un maggiordomo britannico di vecchia scuola, oppure la partita a scacchi con mostriciattoli al posto delle pedine), ma c’è forse una analogia pensante in questo accostamento fra epica tenebrosa di ieri e di domani? Oseremmo dire che tutto è casuale. Anche la rivisitazione fumettistica lo è, al punto da far sembrare, nel ricordo, la disneyana Spada nella roccia quasi sofisticata. Quale fantascienza? Qui siamo in pieno revival dell’“eterno infantile”.»

Ancora più severo il commento del neonato quotidiano di Eugenio Scalfari La Repubblica, su posizioni della sinistra laica e riformista, nato per flirtare con l’elettorato del Pci (il manuale universitario di storia del giornalismo di Paolo Murialdi, Storia del giornalismo italiano. Dalle gazzette a internet, edito da Laterza nel 2006, riportava che tale quotidiano, nato nel 1976 per volontà di Scalfari, nacque per fare concorrenza al principale secondo quotidiano d’approfondimento letti dal pubblico di sinistra di allora, Paese Sera, finendo per esser letto dai giovani studenti extraparlamentari e dal classico simpatizzante del PCI, determinando poi la crisi di Paese Sera, che negli anni ‘80 divenne il rifugio dei filosovietici del partito legati ad Armando Cossutta) che, notando nella pellicola di Lucas un «autoritarismo galattico», arrivò a inserire, come avveniva all’epoca, Guerre Stellari entro lo scontro ideologico destra/sinistra, dandogli una lettura destrorsa e… filofascista:
«In Guerre stellari, paradossalmente, il trionfo della supertecnica è contrappuntato da quella “rivolta contro il mondo moderno” cara al filosofo che Almirante definisce “il nostro Marcuse” [Julius Evola, molto apprezzato negli ambienti giovanili del Msi e nella corrente di Pino Rauti, tradizionalista e “filonazista”, ndr]. La pacificazione dell’universo viene affidata ai portatori dell’auctoritas, a un’alta gerarchia di valori eterni che si incarnano antidemocraticamente nel chiuso circolo dei cavalieri Jedi: un nuovo “Herrenklub” di proporzioni galattiche? Non vorremmo, insomma, che Guerre stellari diventasse una specie di “Campo Hobbit” multinazionale, per richiamarci al nome tratto da Tolkien con cui i fascisti nostrani battezzarono il loro festival l’estate scorsa. “Che la Forza sia con voi” augura la pubblicità. Per carità, tocchiamo ferro un’altra volta. Si comincia esaltando Ben Kenobi, si finisce in Vietnam con il tenente Calley».

Il giornalista, comparando Guerre Stellari al “Campo Hobbit”, fa riferimento all’omonima kermesse organizzata l’11-12 giugno 1977 a Montesarchio, in provincia di Benevento, dal dirigente giovanile missino Generoso Simeone e da altri dirigenti del partito neofascista vicini alle posizioni di Pino Rauti, ex leader di Ordine Nuovo rientrato nel Msi, come Umberto Croppi e Marco Tarchi, una kermesse, dicevamo, che si rifà a uno dei protagonisti (lo Hobbit) del mondo fiabesco e mitologico narrato nella saga de Il Signore degli Anelli di J. R. R. Tolkien, lo scrittore inglese diventa un punto di riferimento per il giovane popolo missino, per il fatto che tale saga fantasy, poteva esser letta andando oltre la mera nostalgia del ventennio fascista – che a quella generazione di giovani neofascisti andava stretta – e politicizzata, impregnata com’era di valori come la lotta fra il bene e il male, le radici, il richiamo alle tradizioni europee, la contrapposizione fra spirito e materia e un forte senso di comunità, amicizia e… “cameratismo”.

L’articolista dell’Unità, quindi, ricordando questo festival di destra nato sulla falsariga di Parco Lambro teme che la saga sci-fi, ma al contempo fantasy, di George Lucas, possa veicolare, come fatto dai giovani neofascisti con quella di Tolkien, valori reazionari, non capendo che la Forza, in Star Wars, non è una sorta di “Volontà di Potenza” nietzschiano-tolkeniana e space-fascista (ohibò!), ma piuttosto un campo di energia mistico generato da tutti gli esseri viventi che pervade l’universo e tutto ciò che esso contiene, e che dona a coloro che sono in grado di percepirla e di sfruttarla dei poteri sovrumani, che spaziano dalla telecinesi, alla precognizione, alla percezione extrasensoriale, e che i più sensibili a tale Forza – che di hitleriano non ha nulla! – sono i Jedi, l’ordine filosofico-religioso che appare già dal film del 1977, che si dedica al suo studio per proteggere la galassia, e i Sith, setta monastica di guerrieri nemici giurati dell’ordine dei Jedi, che hanno aiutato il corrotto imperatore a dare la caccia e a sterminare i loro rivali, che compariranno ufficialmente solo dall’Episodio I del 1999, La minaccia fantasma, e che sfruttano il suo lato oscuro per scopi malvagi e per accrescere il loro potere.

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Sulla stessa scia, sempre su La Repubblica, anche la recensione di Tullio Kezich, il quale, dopo aver ammesso che il film «sostiene il proprio mito con un’adeguata vernice artistica», e che «George Lucas si abbandona con controllato divertimento al racconto avventuroso, mescolando il ricordo dei poemi cavallereschi alle oscure profezie dei conflitti fra pianeti», concludeva: «Spiace, in tutto questo, una certa propensione a rimettere in circolo la leggenda elitaria di una setta destinata a guidare l’universo, i cavalieri Jedi. Slogan come la forza sia con voi ricordano i miti del Santo Graal investigati da Julius Evola, il filosofo che Almirante ha definito il Marcuse del fascismo. Torniamo dodicenni, e va bene: ma non in divisa da balilla». Non dimentichiamo che Kezich, nel 1968, recensì sul Corriere della Sera il capolavoro di fantascienza Il pianeta delle scimmie dicendo che «La banda delle scimmie parlanti, tra la caricatura e l’orrido, ricorda una vecchia operetta di Stan Laurel e Oliver Hardy»…

La recensione di Repubblica, paradossalmente più militante rispetto a quella dell’organo ufficiale del Pci, influenzò fortemente altre recensioni, che iniziarono a vedere, nella fantascienza eroica di George Lucas, i germi di quel “fascismo eterno” che, senza tirare in ballo cose esplicite come camicie nere, saluti romani o inni al duce, poteva favorire, fra spade laser e maestri Jedi, la vittoria del Msi e la fascistizzazione del Paese. Infatti, influenzato dalla «visione marxista della società», come la definì Umberto Eco sul Corriere, la rivista di critica cinematografica Cineforum – organo della Federazione Italiana Cineforum, di ispirazione cattolica democratica, che dalla fine degli anni sessanta si sposta progressivamente su posizioni marxiste, seguendo il nuovo orientamento della Fic guidata dal direttore Sandro Zambetti, cattocomunista – recensì così Guerre Stellari nel numero 169 del novembre 1977, nell’articolo di Vittorio Giacci intitolato “‘Guerre Stellari’: apologie del Medioevo prossimo venturo”:
«La struttura [del film], nella semplificazione dei valori che caratterizza i fatti e i personaggi, è quella della fiaba, in cui si contrappongono o, in un tempo e in uno spazio non precisati e lontani quel tanto di anni-luce sufficiente a rendere tutto accettabile per “eccesso di futuro”, il Bene e il Male, aprioristicamente definiti e mai sottoposti e verifica. Nell’universo delle certezze rassicuranti l’itinerario costante è dato dallo stato di pericolo del Bene (la principessa rapita), dalla lotta dei suoi amici con i malvagi di turno, dallo scontro finale e dalla vittoria del Bene che schiude per il futuro orizzonti di lunga pace e di stabilità sociale. La situazione è denotata da una forte dose di ambiguità poichè gli sviluppi apparentemente celano in realtà la trasmissione di valori reazionari. Il segreto dell’operazione consiste appunto in questa ambiguità che rende conciliabili opposti valori ideologici.
La Principessa Leila si presenta come il simbolo della democrazia, mentre Lord Darth Vader e Grand Moff Tarkin sono l’espressione della bieca tirannide. Il bianco vestito della fanciulla, contrapposto al truce armamentario dei soldati-robot che richiama alla mente le divise dei cavalieri teutonici dell’Alexander Newskj di Ejsenstein dietro i quali il grande regista sovietico aveva voluto raffigurare il volto feroce del nazismo, indica anche figurativamente questa antitesi. Il personaggio di Solo poi, di sapore cosi schiettamente libertario-individualistico, nel suo atteggiamento amorale da spavaldo cowboy dello spazio, permette al film di non rinchiudersi in un moralistico politico senza prospettive.
La figura a cui invece è affidata la trasmissione degli ideali reazionari è quella del vecchio cavaliere di Jedi Ben Kenobi, una sorta di gentile samurai dai magici poteri mentali che, dopo essere sceso in lizza ed aver combattuto con il traditore Lord Darth Vader, un nobile cavaliere di Jedi anch’egli ma decaduto, come Lucifero, ad angelo del Male, dà l’investitura al giovane Luke Skywalker affinchè questi “passeggi nel cielo” (come dice esplicitamente il suo nome) in guisa di novello cavaliere errante in difesa della giustizia e della pace.
[…] emerge cosi un altro mondo, quello medioevale (naturalmente nell’immagine dominante e più superficiale che si ha di questo periodo storico) con i suoi ordini templari, principi azzurri e principesse perseguitate, con i suoi miti e le sue leggende, dal Santo Graal alla Tavola rotonda, con i suoi valorosi eroi Lohengrin, Lancillotto, con i suoi duelli, combattimenti, gesta e tenzoni, e con i suoi valori, dalla concezione gerarchica della società all’ideale cavalleresco, alla nobiltà per elezione, alla sacralità del potere, alle sette e agli ordini ai quali è riconosciuta l’”auctoritas” di vegliare sulla pace sociale. È questa una concezione politico-filosofica che ha le sue più illustri radici nel Platone de La Repubblica e che si ritrova poi nella cultura irrazionalista di destra, dal filone esoterico della rivista “Planète”, al misticismo occulto dei Pauwels e Bergier de Il mattino dei maghi, dal Tolkien de Il Signore degli Anelli fino a Julius Evola, ispiratore del partito di Almirante e di Rauti. È l’elogio della criptocrazia, cioè del potere riconosciuto ad una casta segreta di sapienti-militari di governare la società su basi rigidamente gerarchiche ed autocratiche e con principi spirituali assolutamente immutabili. Per l’affermazione di una simile concezione, spiritualista e irrazionalista, è necessario negare storia e ragione, il che puntualmente avviene nel film, ambientato in un’epoca extratemporale che al di là dei macchinari avveniristici, potrebbe ugualmente essere il futuro, come il passato o il presente, e che vede la vittoria finale di Luke, chiamato al comando con un semplice passaggio dal vecchio al nuovo senza soluzione di continuità attraverso la consegna della spada-laser (la spada è il principale emblema della sovranità) simbolo fin troppo evidente della volontà di saldare il passato della tradizione con il futuro della tecnologia, grazie al proprio istinto, seguendo appunto non le leggi della ragione ma quelle della “Forza”, cioè della spinta irrazionale. “Devi – insegna Ben Kenobi a Luke – seguendo le tue sensazioni, non i tuoi ragionamenti. Devi abbandonare la ragione”. Paventando nel film questo pericolo, Tullio Kezich ha scritto molto giustamente: “Va bene tornare dodicenni, ma non in divisa da balilla”».

A pochi anni dall’avanzata del Msi alle elezioni del 1972 e dal suo coinvolgimento in violenze di piazza assieme ad esponenti della sinistra extraparlamentare di allora, le riflessioni di Vittorio Giacci puntano tutte sul timore di uno sdoganamento della cultura neofascista:
«Dietro alla “meraviglia” dell’invenzione fantascientifica, alla eccezionalità degli iperbolici effetti, all’entusiasmo della novità tecnologica che prende lo spettatore in un ritmo sempre più frenetico di avvenimenti, di scontri, di battaglie mortali ma figurativamente incruente per renderle puro spettacolo, si ha dunque un recupero di valori legati allo spiritualismo esoterico e paranormale che hanno da sempre costituito la culla intellettuale del fascismo. Il fatto che questi rimandi possano anche essere occasionali od inconsci, non esime certo dall’opportunità di rilevarli. Con Guerre Stellari, come ha ben sottolineato Ugo Casiraghi, “si entra nel futuro per le vie del passato” e la massa di dati e elementi scientifici non costituiscono problema di sorta nel contesto di questa svagata e cosi ben filmata avventura galattica, contrariamente a quanto avveniva in 2001: Odissea dello spazio di Stanley Kubrick dove la fantascienza era il mezzo per una riflessione sui destini dell’uomo e sui suoi rapporti con la macchina. Se in questo rifarsi ad alcuni valori medioevali è significativamente assente l’accenno alla fede religiosa (mentre è presente il misticismo della “Forza”) e all’idea di morte (cosi presente invece nella cultura del Medioevo) è altrettanto omessa ogni preoccupazione legata ai problemi della scienza, altra grande nemica dell’irrazionalismo, cosi che la stessa vita degli uomini, in relazione a quella dei robot, lungi dall’aprirsi a quella poetica considerazione che si ritrovava nel film di David Trumbull Silent Running (2002: la seconda Odissea, che ha in comune con Guerre Stellari l’operatore, John Dykstra) si risolve nell’illustrazione di una condizione sociale gerarchica all’interno della quale la “classe” dei robot assume i connotati di una nuova “servitù della gleba”, il che è tanto più pericoloso se si pensa al fatto che essi sono totalmente umanizzati.

Attraverso questa negazione della storia, della ragione, della scienza e il disinvolto quanto superficiale utilizzo di alcune concezioni dell’epoca medioevale, con al centro l’esaltazione di una “forza” istintuale (simile, anche se non identica, al concetto cristiano di grazia), patrimonio occulto di pochi eletti in grado di utilizzarla per risolvere i problemi dt tutta l’umanità in pericolo, il capitale cinematografico si sta preparando in anticipo, alla svolta del secondo millennio. Guerre Stellari, apologia del medioevo prossimo venturo in chiave ottimistica e prodotto ben più abile e raffinato tra quelli fino ad oggi realizzati nel cosiddetto filone “catastrofico”, vuoi recuperare in positivo la paura collettiva del disastro finale.»
Insomma, ma questi benedetti recensori il film di Lucas lo videro o no? Senz’altro non lo capirono! Converrete con me che condannare la saga fantasy di J. R. R. Tolkien “Il Signore degli Anelli” perché amata dai neofascisti rautiani per i “Campi Hobbit” (peccato fosse amata pure dagli hippie all’estero e nei campus americani…) e, data una certa somiglianza fra tale saga fantasy e la narrazione sci-fi nel film di George Lucas, descriverlo come “film evoliano neonazista” (è quello che dice esplicitamente la Repubblica e Cineforum) e fautore di «autoritarismo galattico», è da stupidi.
Aggiungo: negli USA molta fantascienza degli anni settanta era declinata in chiave sociale come metafora della società capitalistica autoritaria (si vedano film come alcuni capitoli della saga de Il pianeta delle scimmie bistrattata da Kezich, L’uomo che fuggì dal futuro dello stesso Lucas, Rollerball, Il mondo dei robot, La fuga di Logan, 2022: I sopravvissuti, Interceptor, La fabbrica delle mogli, eccetera), e la lotta dei Ribelli della principessa Leila contro l’Impero Galattico con a capo, nel primo film del 1977, Grand Moff Tarkin e Darth Veder, poteva esser usato come metafora di resistenza antifascista! E invece… vai col luogo comune che quelli di sinistra erano (e sono tutt’oggi) così materialisti da snobbare ogni forma di svago eccetto film espressionisti tedeschi coi sottotitoli in cecoslovacco antico, come viene parodizzato nel 1976 ne Il secondo tragico Fantozzi e come saltò fuori, l’anno dopo, con una stucchevole campagna contro i robottoni giapponesi!

Paradossalmente, senza negare un lato “mistico” ed epico che poteva esser declinato in senso politico, la recensione meno maniacalmente politicizzata venne pubblicata, l’11 novembre 1977, a p. 9, sul quotidiano di estrema sinistra Lotta Continua, giornale politico e organo dell’omonimo movimento extraparlamentare attivo dal 1969 al 1976, gruppo movimentista e operaista caratterizzato da una spiccata critica, da estrema sinistra, ai regimi marxisti-leninisti dell’est. La recensione, intitolata “Dalle stalle alle stelle”, di Ciro Bertolé, recensisce così l’opera di George Lucas:
«… perché avevo letto veniva fuori che si tratta di un film di esaltazione, insieme, della tecnologia e del mito del superuomo, addirittura di un rilancio (è Kezich, di Repubblica, a dirlo) delle mitologie naziste. Beh, vedere quel film solo con questi criteri in testa è, oltre che riduttivo, fare anche un po’ violenza a se stessi: perché poi, nelle due ore che uno sta davanti allo schermo, non «la storia» (puerile, in sé, sebbene poi densa di riferimenti) ma le immagini, il ritmo, l’intelligenza dei tanti richiami, ti prendono. […] È bene sgombrare il campo dall’equivoco di Kezich: è vero che “Guerre stellari” è una storia riecheggiante mitologie medioevali, la lotta della Luce contro le tenebre, il ciclo dei Nibelunghi, il mito di Parsifal (che è a guardar bene il filo conduttore del film), la stessa caduta di Lucifero. Ma basta questo a vedervi un rilancio del misticismo? Al contrario, probabilmente: il fatto che un’intera tradizione culturale-religiosa di quel genere sia riassunta in uno spettacolo volutamente infantile (e spesso non privo di autoironia) semmai ne fa, anche indipendentemente dalle intenzioni degli autori, un ulteriore passo verso la laicizzazione e la neutralizzazione di tanti miti e leggende: senza esagerare, ovviamente. Chi proprio ci tiene ai “contenuti” dovrebbe piuttosto credere se non vi sia in questo rilancio dell’epica ottimistica (e dei miti della democrazia liberale, che è, volendo, il vero contenuto “ideologico” del film) una corrispondenza stretta con i luminosi programmi dell’amministrazione Carter, dopo un biennio di film catastrofici che hanno accompagnato, guarda guarda, la sconfitta americana in Vietnam, lo scandalo Watergate e la crisi economica. Se vi è piaciuto “Guerre stellari”, insomma, non c’è bisogno di giustificarvi tirando in ballo il solito brano dei “Grundrisse” sul fatto che agli uomini piace tornare bambini: anche perché dell’infanzia vera in questo furbissimo e abilissimo prodotto non vi è nulla. Riconosciamo, piuttosto, che la corrotta industria del cinema riesce, di tanto in tanto, a rinnovare i propri linguaggi, tanto da lasciarci a bocca aperta felici di contemplare le immagini, colorate e fantastiche, che ci corrono davanti sulla tela magica dello schermo.»
Se da una parte l’accostamento della saga di Star Wars con quella fantasy tolkieniana ha un suo perché – Star Wars, a differenza della serie televisiva del 1966-1969 Star Trek, è una space opera con marcati tratti fantasy, come alcuni già notarono all’epoca –, e il recensore di Lotta Continua vi vede, più che l’apologia di un “misticismo fascista”, l’apologia dell’ottimismo liberaldemocratico, forse un preludio alla Reaganomics che esploderà pochi anni dopo.

Una risposta efficace a tanto livore da parte della stampa marxista fu fornita dall’esperto Valla e citata da Emio Donaggio in un suo articolo su Stampa Sera, intitolato «La fantascienza è di nuovo da bruciare?», uscito il 14 novembre 1977, p. 7, che merita di essere riportata per intero per il suo alto valore e per la capacità di spiegare l’evoluzione della fantascienza dagli esordi:
«In generale, le accuse alla fantascienza sono passate di moda: se un libro è brutto, è quel libro che è brutto, e se è bello, bello. Comunque, di solito si tendeva a distinguere tra la produzione popolare e di consumo e i romanzi più impegnativi. La posizione tipica è quella di Arthur Koestler che, a proposito di Gulliver, Il mondo nuovo di Huxley e 1984 di Orwell, nell’agosto del ’53 su Harper’s Bazar scriveva: “Sono grandi opere di letteratura perché in esse le stramberie di altri mondi servono unicamente come scenario o come pretesto per un messaggio sociale. In altre parole sono letteratura perché non sono fantascienza, perché sono opere di immaginazione disciplinata e non di sfrenata fantasticheria”. Negli anni seguenti, la polemica è caduta, perché la “sf” stessa è cambiata. Prima si è orientata verso il tipo di commedia satirica brillante di autori come Sheckley, Pohl e Vonnegut, poi ha rinunciato al dogmatismo e si è aperta ad autori come Delany e Zelazny negli Usa, e Ballard e Aldiss in Inghilterra: storie ricche di immaginazione, legate alla vecchia tradizione di Poe e Hoffmann, più ancora che a quella di Verne e Wells.

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Oggi si scrivono sotto il nome di “sf” vari tipi di romanzi che meritano rispetto, e non solo le avventure e i drammoni sulle catastrofi. Si scrivono storie surrealiste come quelle di Lafferty; romanzi filosofici (o meglio, epistemologici, dato che spesso al loro centro hanno una riflessione sulla scienza e la conoscenza) come quelli di Lem e di Dick; utopie positive come quelle di Ursula Le Guin e utopie negative come quelle di Brunner. Si scrivono anche molte storie avventurose, certo, ma il numero di opere di qualità è aumentato rispetto a trent’anni fa. Che poi la fantascienza sia “analfabeta” come letteratura, non è detto. Molte opere di fantascienza sono scritte in modo piatto e monodimensionale, altre sono ricche anche dal punto di vista linguistico: ad esempio Fritz Leiber, Sturgeon, Bradbury, Brunner.»

Peccato che l’Unità del 4 luglio 1974, a p. 9, nell’articolo “L’Urss a Trieste con tre film di fantascienza”, lodava eccome la fantascienza, visto l’afflato progressista e fiducioso verso il futuro e la tecnologia presente nell’ideologia marxista, influenzata dal positivismo:
«La cinematografia sovietica sarà presente al Festival Internazionale di Trieste dei film di fantascienza con 7 silenzi del Dottor Ivens, che vede il ritorno sullo schermo di Serghei Bondarciuk. Il Festival si aprirà sabato. L’incontro tra il protagonista del film, il biologo Ivens, e i rappresentanti di una civiltà extraterrestre giunti sulla Terra, costringe lo scienziato a rivedere i suoi giudizi sulla funzione della scienza e i compiti dello scienziato nella società contemporanea. Egli comincia a comprendere che lo scienziato non deve prendere una posizione neutrale sul problema dell’uso — a vantaggio o meno della società — delle sue scoperte. La regia del film è di Budimir Metalnlkov. La conquista dello spazio e l’incontro con civiltà extraterrestri sono temi che attirano sempre di più l’attenzione dei cineasti sovietici; tra gli ultimi lavori ispirati a questa tematica ricordiamo Solaris di Andrei Tarkovskl e Mosca-Cassiopea di Richard Viktorov. I cineasti sovietici partecipano ormai da anni al Festival internazionale di Trieste. Questa volta invieranno complessivamente tre pellicole: oltre al già citato 7 silenzi del Dottor Ivens, saranno proiettati il cartone animato Fetonte, dio del Sole, che narra del lavoro degli astronomi e degli studi sui pianeti del sistema solare, nonché il documentario Intercosmos. una coproduzione ceco-sovietica sulle ricerche comuni degli scienziati dei due paesi».

Quindi la critica a Star Wars fu solo dettata dall’antiamericanismo di sinistra?

 




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