L’esecutivo potrebbe decidere di presentare ricorso in Cassazione o attendere la sentenza della Corte di giustizia europea del 25 febbraio sui Paesi sicuri. Le opposizioni: «La premier parli in Aula»
L’operazione Albania non si ferma. Se nelle prossime ore i pattugliatori italiani dovessero soccorrere in mare altri migranti, e questi ultimi dovessero provenire da Paesi inseriti nella lista di quelli sicuri, scatterà subito il trasferimento a Shengjin e Gjader. Nonostante l’ultima decisione dei giudici, questa volta della Corte d’appello, che non hanno convalidato il trattenimento di 43 bengalesi ed egiziani, il governo non cambia rotta.
Manca solo il nuovo ordine alle unità della Marina militare di riprendere il mare, che potrebbe arrivare entro questa settimana, mentre la premier Giorgia Meloni — con il sottosegretario Alfredo Mantovano e i ministri dell’Interno e della Giustizia Matteo Piantedosi e Carlo Nordio — valuta i prossimi passi sul fronte giudiziario.
Il piano del governo e il Patto con l’Europa del 2026
Sul tavolo ci sono due opzioni: ricorso in Cassazione contro la bocciatura della Corte d’appello oppure attendere la sentenza della Corte di giustizia europea del prossimo 25 febbraio. E a questo punto, non per decreto ma con iniziativa parlamentare, studiare una modifica delle norme per impedire che i giudici della sezione Immigrazione vadano in «prestito» alla Corte d’appello. I magistrati del Lussemburgo sono invece chiamati ad esprimersi sulla definizione di «Paese sicuro» di origine dei migranti, punto chiave della questione per poter poi applicare le procedure accelerate di frontiera. E anche perché proprio questo aspetto è stato contestato dai giudici che hanno respinto una sessantina di trattenimenti in Albania, mettendo in difficoltà la parte del piano del governo che prevede l’utilizzo di Paesi terzi per la gestione dei migranti e il loro eventuale rimpatrio, al quale guardano anche alcuni partner europei che vorrebbero adottarlo quando a giugno 2026 sarà applicato il Patto per l’asilo e l’immigrazione. Un motivo in più dunque per proseguire con trasferimenti in Albania.
Il caso Almasri
Del resto Meloni lo aveva ribadito con forza nel dicembre scorso alla festa di Atreju: «I centri per migranti in Albania funzioneranno — aveva gridato dal palco —, dovessi passarci ogni notte da qui alla fine del governo italiano». Quasi due mesi dopo la questione Albania è sempre al centro di un duro scontro fra governo e opposizioni, anche sull’onda di quello con la magistratura per la vicenda Almasri, con Meloni, Mantovano, Piantedosi e Nordio finiti sotto indagine. Sul caso del generale libico arrestato a Torino e subito rimpatriato con un volo di Stato, domani le opposizioni nella conferenza dei capigruppo chiederanno un’informativa della premier dopo quelle previste di Piantedosi e Nordio poi annullate dopo la notizia dell’indagine. Il centrosinistra considera «gravissimo» un eventuale rifiuto di Meloni, tanto più che proprio per questo motivo il Parlamento è fermo per protesta da giovedì scorso.Â
Duro l’ex premier Conte: «Torsione autoritaria del sistema»
Duro l’ex premier e leader M5S Giuseppe Conte: «Stanno organizzando una torsione autoritaria del nostro sistema, in un altro Paese quanto accaduto avrebbe portato come minimo alle dimissioni del ministro della Giustizia». E su Meloni: «D’ora in poi sarà complice morale di Almasri». Per Angelo Bonelli, deputato di Alleanza verdi e sinistra, la premier «continua a fuggire dal Parlamento, gli italiani meritano risposte, non propaganda». Sui centri in Albania attacca invece il responsabile dem pugliese Domenico De Santis, per il quale «siamo davanti al fallimento delle politiche migratorie del governo. Uno spreco di denaro pubblico gigantesco — un miliardo di euro — e una gestione disumana che sposta esseri umani fra Italia e Albania come se fossero pacchi». Sara Kelany — deputata FdI e responsabile del Dipartimento immigrazione del partito — sul Secolo d’Italia definisce invece «un grande scandalo» la mancata convalida dei trasferimenti.
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