Crediti di carbonio per chi coltiva le cozze: «Creiamo le condizioni»

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Ci sono i crediti di carbonio tra i progetti che il commissario di Governo per la bonifica di Taranto, Vito Uricchio, porta avanti per la mitilicoltura, sulla quale domani ci sarà un incontro in Prefettura. La categoria sollecita l’avanzamento della bonifica del mare per trovare una nuova prospettiva dopo anni molto difficili. Si pensi al trasferimento del novellame che va fatto entro il 28 febbraio dal primo seno del Mar Piccolo ad altre aree per evitare che il prodotto, crescendo e maturando, sia contaminato dagli inquinanti (lo dispone un’ordinanza regionale prorogata lo scorso 5 settembre per altri 36 mesi).

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Oppure le temperature torride delle ultime estati che hanno surriscaldato il mare e asfissiato le cozze. Ecco perché Uricchio, tra i diversi fronti aperti, sta lavorando anche sulla mitilicoltura. «I crediti di carbonio sono una delle conquiste di Baku che ha consolidato questo tema» spiega Uricchio in riferimento all’azienda siderurgica dell’Azerbajian che è in corsa, in competizione con altre due realtà, per acquisire dall’amministrazione straordinaria l’intero gruppo di Acciaierie d’Italia, l’ex Ilva. «Chi assorbe e sequestra carbonio – dice Uricchio -, può vendere i propri crediti. Ora, poiché i mitili per creare i gusci, che sono fatti da carbonato di calcio, prendono il carbonio dall’atmosfera o dall’acqua, i mitilicoltori potrebbero incassare i crediti del carbonio. Dobbiamo quindi creare le condizioni affinché i mitilicoltori possano vendere i crediti di carbonio, che tra l’altro stanno acquistando mercato e sono in forte crescita».

Gli altri progetti

Inoltre per la mitilicoltura, dice Uricchio, ci sono altri due progetti. «Progetti proposti nell’audizione in Regione del 10 ottobre – spiega il commissario – e poi, ultimamente, sia all’assessore alle Politiche agricole, Donato Pentassuglia, che al Ministero. Si tratta di cercare soluzioni sia empiriche che innovative affinchè la mitilicoltura sopravviva alle temperature climatiche. Trovare soluzioni empiriche come, per esempio, individuare fondali profondi e organizzare diversamente gli allevamenti. Cose empiriche che gli stessi mitilicoltori suggeriscono. E quindi proviamole subito. E poi ci sono soluzioni più innovative come l’evoluzione genetica. Stimolare un adattamento genetico delle cozze in maniera rapida. Lo abbiamo visto anche in altri contesti. In Cina, per esempio, in una determinata area si sono concentrati degli scarichi caldi e le cozze si sono adattate. Si tratta quindi di fare un intervento genetico ma senza modificare niente, semmai invogliandolo. Purtroppo i cambiamenti climatici hanno creato e stanno creando grossi problemi alla mitilicoltura nazionale. Il CNR sta monitorando il fenomeno, ha istituito un Osservatorio, e la moria di mitili è presente ovunque. È perciò necessario trovare nuovi percorsi che consentano di incrementare la resilienza dei mitili attraverso strategie operative e scientifiche. Negli ultimi nove anni le temperature sono via via cresciute e lo abbiamo visto anche a gennaio: 16-17 gradi. Il mare non si raffredda a sufficienza nei mesi invernali e le estati sono poi molto calde». «Per questi due progetti che ho presentato qualche giorno fa a Pentassuglia, ora bisogna aspettare 60 giorni dall’approvazione della legge regionale di Bilancio pubblicata agli inizi dell’anno e quindi agli inizi di marzo possiamo partire – annuncia Uricchio -. Ma stiamo già lavorando per predisporre tutto. L’impatto di costi dei due progetti non è tantissimo. Siamo sui 300mila euro per entrambi».

Accanto alla mitilicoltura ci sono poi i progetti ambientali su cui commissario e Dipar, il Distretto produttivo per l’ambiente e il riutilizzo guidato da Lorenzo Ferrara (oltre 200 aziende pugliesi associate insieme a Università di Bari, di Foggia e del Salento, Politecnico di Bari, CNR ed Enea), lavoreranno in base all’accordo fatto qualche giorno fa. Uno di questi é il fitomining. «È l’estrazione di sostanze inorganiche come i metalli pesanti per esempio – spiega Uricchio -, che sono degli inquinanti se restano nel suolo o interessano la catena alimentare, e divengono invece risorse preziose se estratte ed usate per l’industria. Il mining è proprio questo: il minatore, chi estrae. E l’estrazione è possibile farla con le piante e anche con dei fiori. Il paesaggio può avvantaggiarsene. Solo soluzioni naturali a basso costo e possono costituire una forma integrativa di reddito per tutto il mondo dell’agricoltura, col quale farò un accordo a breve in linea con quelli già fatti con Confindustria Taranto, Confapi Taranto e Dipar Puglia».

Altro progetto su cui commissario e Dipar lavoreranno insieme é quello delle Filiere Verdi, candidato insieme ad altri ai fondi al Just Transition Fund. «Qui la finalità è produrre materie prime verdi dal verde – prosegue Uricchio -. E quindi intervenire utilizzando tutta una serie di piante che possono bonificare il suolo e allo stesso tempo, bonificando, produrre economia ed occupazione«. Un ulteriore fronte comune di commissario e Dipar sarà infine quello delle bioplastiche. «Abbiamo sviluppato tra aziende del Dipar e CNR – spiega il presidente del Distretto, Ferrara – una tecnologia che, partendo da scarti organici, produce biopolimeri. Oggi le bioplastiche si producono da colture dedicate: dal mais, dai cardi. E quindi sottraendo anche aree agricole al food. Qui, invece, siamo nell’economia circolare pura. Partiamo da scarti tipo il siero del latte, o da quelli della produzione dei carciofi, e da qui si producono i biopolimeri. È però una ricerca che é in mezzo al guado. Il livello di sviluppo della ricerca di misura attraverso il parametro del TLR, Technology Readiness Level, che va da 0 a 9. Nove é quando una tecnologia è pronta per la commercializzazione. Noi siamo più o meno a metà strada. Adesso bisognerebbe realizzare un prototipo perché in laboratorio abbiamo già prodotto dei polimeri. Bisogna però produrli in quantità tali per sviluppare dei test presso gli impianti che usano il granulo vergine da plastica da petrolio. E per dirci se vanno bene, i produttori devono testarlo sulle loro macchine. Questo è il passo da farsi».

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