“Finito il periodo della morte, inizia quello della non-vita”

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Gaza City, 22 gennaio 2025. Le tende appena montate vengono schierate nel quartiere Al-Shujiyya di Gaza City. I palestinesi sfollati ritornano in città, il quarto giorno dell’accordo di cessate il fuoco.

Omar ALQATTAA / AFP

Mercoledì 22 gennaio 2025.

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Al quarto giorno di cessate il fuoco, la popolazione di Gaza continua a provare un profondo senso di sollievo. Molti di loro sembrano caduti in uno stato d’apatia, soprattutto chi aveva la possibilità partire1 o chi ha trovato la propria casa completamente distrutta. Durante la guerra, a Rafah girava voce di “distruzioni imponenti”, ma nessuno si aspettava di trovare una situazione simile. È come trovarsi nella città di Le Havre, dopo la Seconda Guerra Mondiale: non c’è più nulla, nemmeno le strade. Le amministrazioni comunali hanno iniziato a sgomberare le macerie per cercare di renderle visibili le strade. Ma, per il momento, dall’alto si vedono solo quadrati bianchi e neri, mucchi di macerie, impossibile vedere anche le carcasse dei palazzi. Quasi tutti gli edifici sono stati rasi al suolo.

A nord di Gaza City, la distruzione è totale. Lo stesso nel sud. La città di Rafah è ridotta a un cumulo di macerie. I miei amici e conoscenti che vivevano lì prima della guerra hanno saputo che le loro case sono state completamente distrutte, rase al suolo, grazie alle foto inviate da vicini o amici rimasti lì. La maggior parte di loro ha perso la “casa di famiglia”, alta quattro o cinque piani, con almeno due appartamenti per piano, dove viveva la famiglia allargata, come è consuetudine a Gaza. Anche lì, lo shock li ha anestetizzati. Il loro sogno era quello di poter tornare subito a casa, ma ora cominciano a farsi delle domande. Non è meglio rimanere qui, a Deir al-Balah? E fare avanti e indietro, quando la strada sarà libera?

Casa, lavoro, attività, negozio, hanno perso tutto. E, in molti casi, anche l’auto. Molti hanno lasciato Rafah troppo tardi, quando gli israeliani avevano già vietato la circolazione, e così hanno dovuto lasciare i loro veicoli.

Gli israeliani hanno fatto saltare in aria l’intera zona con la dinamite.

Il cognato di un mio amico, un commerciante, aveva dei negozi e due appartamenti nel quartiere di Sheikh Radwan, a nord di Gaza City. Il giorno dopo il cessate il fuoco, ha saputo di aver perso tutto. Da allora, non ha mai più parlato. “Se gli parli, non ti risponde. Muove solo un po’ la testa”, ha detto il mio amico.

Anche un altro amico, che era con me qui alla Press House-Palestine, ha saputo che la sua casa nel vicino quartiere di as-Saftawi, nel nord di Gaza, è stata ridotta in macerie. Eppure, una settimana prima del cessate il fuoco, la casa era ancora in piedi, come avevo visto dalle foto che gli avevano inviate. Ma oggi non c’è più nulla. Perché prima di ritirarsi, gli israeliani hanno fatto saltare in aria l’intera zona con la dinamite. Il mio amico non sa più cosa fare. Lasciare Nuseirat, dove ha trovato rifugio? “In questo momento vivo in un appartamento, con acqua ed energia elettrica grazie ai pannelli solari. Cosa farò se rientro a casa? Piantare una tenda sulle macerie di casa mia?”. Sua moglie e i suoi figli sono al Cairo, mentre lui è rimasto con il resto della famiglia:

Mio padre non ha avuto alcuna reazione. La mia paura è che diventi folle di rabbia. Questa casa è il frutto di molti anni di lavoro. Ora non ne resta più nulla, nessun ricordo, né vestiti, né mobili.

Non smette mai di evocare i ricordi legati a quella casa, i momenti felici, come la festa per l’addio al celibato del fratello.

Tornare a casa o no? È la stessa domanda che si fanno molti sfollati, che cominciano a capire l’entità delle distruzioni. Chi è tornato a casa spesso si è portato dei materassi, passando la notte sulle macerie della casa. Il primo giorno, ci si aspettava che un milione di persone sarebbero tornate al nord. Ma molti si sono detti: non bisogna accelerare troppo le cose. Gaza City è stata in gran parte rasa al suolo, come da un terremoto, o piuttosto da una israeleria. Gli sfollati che vogliono tornare, soprattutto chi abita nei quartieri di al-Shujaiya, al-Zaytun e Jabaliya, non vuole più vivere in tenda, e per questo sta cercando appartamenti da affittare. I miei amici mi chiamano per chiedermi se c’è un appartamento libero nella torre in cui vivevo, a Gaza City, uno dei pochi che non è stato colpito: “Non ci sono proprietari che hanno lasciato Gaza e vogliono affittare l’appartamento?” Ma gli appartamenti sono pochissimi e i prezzi sono ovviamente cari, poiché molti approfittano della situazione.

D’altra parte, dove si dovrebbero sistemare queste migliaia di tende e roulotte, previste dall’accordo di cessate il fuoco? C’è da aspettarsi che vengano creati nuovi insediamenti informali. Le centinaia di migliaia di sfollati ammassati nel sud faranno la stessa cosa nella parte nord, che è il luogo da cui provengono.

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Scheletri sotto le macerie

Inoltre, c’è il problema dei morti. Sono stati ritrovati dei corpi in strada, abbandonati per mesi. E che dire di quelli ancora sotto le macerie? Come si può ritornare a vivere in quei luoghi sapendo che i corpi dei tuoi cari sono lì, sotto i tuoi piedi? Finora, a Rafah, sono stati portati alla luce quasi 200 resti umani. E questo è solo l’inizio. Le ricerche sono difficili, vanno condotte con molta accortezza. Servono operatori di bulldozer in grado di cercare i corpi senza schiacciarli.

Vedere scheletri sparsi per le strade o resti umani tra le rovine è per gli abitanti di Gaza uno shock ancora più grande della guerra. Prima eravamo presi in questo vortice, un tornado che gira senza sosta. Ora si è fermato e ci lascia ridotti a pezzi. Non c’è più vita. Qualcuno la vive come una sfida cercando di dare una ripulita. Il governo di Hamas ha iniziato a liberare le strade, a pompare l’acqua, schierando la polizia nei mercati e occupandosi del traffico. Ma non basta.

Come previsto, è cominciata l’altra guerra: quella di vivere una vita dove non c’è più vita. Sabah ed io abbiamo deciso di aspettare l’autorizzazione per tornare a casa in macchina. Forse arriverà questa settimana o la prossima. Come sapete, Sabah è incinta e quindi è fuori discussione che lei possa fare il viaggio a piedi. Per un incredibile colpo di fortuna, la nostra torre è rimasta in piedi e l’appartamento è ancora lì. I nostri amici ci hanno detto che ci sono danni ad un muro e le finestre sono saltate in aria, ma l’appartamento è agibile e ci arrangeremo con teloni, nylon, plastica e un po’ di cemento. Ma come fare con l’acqua? Le cisterne sul tetto sono state bombardate. Ci sono più di 40 appartamenti in quell’edificio, ci vorrebbero una trentina di cisterne per rifornirli, ma non ce ne sono a Gaza. Senza energia elettrica, quindi senza ascensore: mi preparo all’idea di salire fino al nono piano portando due taniche d’acqua. Sembra che il generatore dell’edificio sia ancora intatto, ma è inattivo da un anno. Si vedrà. Il prezzo del carburante è ancora alto, circa due o tre volte il prezzo prima della guerra, ma almeno non mille, come succedeva fino a poco tempo fa.

Sì, possiamo considerarci fortunati. Secondo le Nazioni Unite, sono state distrutte tra l’80 e l’85% delle case in tutta la Striscia di Gaza. È la non-vita di cui parlavo. Sarà molto difficile per tutti e non sappiamo quanto tempo ci vorrà per la ricostruzione.

Durante il conflitto del 2014, la percentuale di case distrutte era dell’1% rispetto a questa guerra. E la ricostruzione ha richiesto anni. Netanyahu aveva dichiarato di voler “sradicare Hamas”, eppure l’organizzazione è ancora in piedi e i suoi combattenti sono stati schierati fin dal primo giorno. La polizia e i miliziani di Hamas, tutti in uniforme e armati, sono ovunque. Il giorno dopo la tregua, anche i ministeri avevano ripreso le loro attività. In questo, la strategia di Netanyahu è stata fallimentare.

Tutti sanno però che il vero scopo di questa guerra è quello di annientare il popolo di Gaza. Secondo le statistiche ufficiali, fino ad oggi la popolazione è diminuita del 6% tra morti e fuggitivi, ma senza dubbio queste stime si dovranno rivedere al rialzo. Buona parte della popolazione gazawi è andata via. Molti altri partiranno, se ne avranno la possibilità… Il periodo della morte è finito, ma ora inizia quello della non-vita e non sappiamo quanto durerà. Siamo ancora sulla terra di Gaza. Ogni sforzo è stato fatto per ucciderci, ma siamo ancora vivi. E fino a quando un palestinese resterà sulla terra di Gaza, sarà una vittoria.



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