Luigi Sbarra: «Lascio la Cisl, giusto rinnovare. Landini? Trasforma il sindacato nel surrogato di un partito»

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Il segretario passa il testimone a Fumarola: «Il nostro sindacato è in salute. Avanti con la legge sulla partecipazione dei lavoratori». Scintille con la Cgil

Luigi Sbarra, non ancora 65 anni, nato a Pazzano, nella Locride. Studi e lavoro, fin da ragazzo, per aiutare la famiglia. Un diploma e poi la scuola quadri della Cisl a Taranto. Gli scritti di Mario Pastore, Mario Romani, Aldo Moro. Franco Marini il suo sindacalista di riferimento. Una passione per i film di Tornatore e per quelli tratti dai libri di Guareschi. Lui come don Camillo e Maurizio Landini, il segretario della Cgil, nella parte di Peppone? Paragone arcaico, ma certo i rapporti tra i due grandi sindacati attraversano uno dei periodi più aspri di sempre. Specialmente adesso che si discute la legge di iniziativa popolare sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, ribattezzata «legge Sbarra».
Segretario, lei lascia la guida della Cisl. Non ha mai pensato di cambiare la norma del limite a 65 anni e di restare?
«No. Rispettare le regole è un dovere, soprattutto per chi ricopre ruoli di responsabilità. Credo nel rinnovamento, che apre spazi ai più giovani e garantisce un futuro solido per la Cisl. Si può continuare a contribuire al sindacato in molti modi, anche fuori dai ruoli di vertice».
Quale Cisl lascia? Ha un consiglio per Daniela Fumarola, che le succederà?
«È stato un cammino esaltante. Non privo di difficoltà e di scelte anche solitarie e in controtendenza. Il bilancio è positivo. La Cisl ha sempre avuto un ruolo centrale, responsabile senza rinunciare al conflitto. Lascio un’organizzazione in salute: più 172 mila iscritti tra i lavoratori attivi negli ultimi 4 anni, molti sotto i 35 anni. Daniela Fumarola la conosco da una vita, è preparata, determinata e soprattutto concreta, come deve essere un leader sindacale. Ha la fiducia di tutta la Cisl e non ha certo bisogno di consigli».
La vostra legge sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese fa passi in avanti. Per la Cisl è una battaglia identitaria: quali vantaggi e quali rischi?
«È la prima legge di iniziativa popolare che ambisce ad attuare un principio costituzionale, esaltando la contrattazione. L’obiettivo è riconoscere ai lavoratori il diritto di esercitare un ruolo centrale nelle scelte delle aziende sotto il profilo organizzativo, di governance, finanziario e consultivo. Un obiettivo storico. Puntiamo a migliorare i salari, aumentare la qualità e la stabilità del lavoro, rafforzare la sicurezza e accrescere la produttività. Non vedo rischi, ma solo un’enorme opportunità».
Lei critica Landini che fa la cinghia di trasmissione dell’opposizione, lui la accusa di fare la ruota di scorta del governo e di indebolire la contrattazione.
«Mi sono sempre battuto per un sindacato riformista, protagonista dei cambiamenti. La Cisl non ha mai fatto la stampella ad alcun governo. Landini, e non la Cgil che ha una storia fatta anche di grandi leader riformisti, ha invece una visione movimentista, antagonista, ancorata al Novecento, che pretende di scegliere le controparti in base al proprio credo ideologico e politico. A parole dice di voler difendere la contrattazione e poi non solo si oppone ai rinnovi contrattuali del settore pubblico, ma vuole affidare alla legge materie esclusive del sindacato come il salario, l’orario di lavoro o la rappresentanza. Una concezione subalterna del ruolo del sindacato rispetto ai partiti».
Lei e Landini, parole sue, siete due figli del popolo. Perché è così difficile capirsi?
«Non è una questione personale. Io e Maurizio abbiamo fatto tante battaglie comuni in questi anni. Ma noi abbiamo sempre valorizzato e ci siamo intestati i risultati del dialogo sociale con i governi Draghi e Meloni. Penso al taglio del cuneo fiscale, alle risorse per i rinnovi dei contratti pubblici, alla rivalutazione delle pensioni, alla detassazione del salario di risultato e welfare contrattuale, alla patente a crediti. Noi non abbiamo lasciato mai questi risultati alla politica, perché sono stati il frutto delle nostre mobilitazioni. La Cgil ha scelto la linea di uno scontro radicale, che si fatica a non definire ideologico, che trasforma e indebolisce la rappresentanza sindacale, trasformandola nel surrogato di un partito. Così però il sindacato rischia di diventare irrilevante».
Come giudica le parole di Landini sulla rivolta sociale? È un cattivo maestro?
«Il sindacato confederale rappresenta più di dieci milioni di persone in Italia. Non deve incendiare le piazze, perché ha una grande responsabilità collettiva. Bisogna lavorare per riformare il Paese, non per rivoltarlo, favorendo la coesione sociale, la partecipazione, stimolando la concordia nazionale come ci indica il capo dello Stato».
Lei ha incrociato le lame anche con il leader Uil, Pierpaolo Bombardieri.
«Abbiamo sempre avuto un rapporto franco ma rispettoso. Qualche parola in questi anni è andata fuori posto, ma siamo uomini di mondo. La scelta, quasi sistematica, di sovrapporsi alle scelte della Cgil, quella invece, davvero, non l’ho mai capita. Spero che la Uil possa consolidare in futuro la propria linea riformista».
Qual è il suo giudizio sul governo Meloni?
«Ha saputo interpretare il sentimento del Paese tenendo i piedi per terra su asse atlantico, Ucraina, Europa e patto di Stabilità. Sulle politiche di sviluppo ha dimostrato di saper ascoltare, come confermano molti provvedimenti delle ultime tre manovre. Ma ora serve più dialogo, un contratto sociale tra governo, sindacato e sistema delle imprese sulle riforme da fare insieme: alzare i salari, tagliare le tasse al ceto medio, cambiare le pensioni, attuare il Pnrr, combattere la denatalità e la fuga dei giovani, investire in formazione, sanità e sicurezza sul lavoro, costruire una nuova politica industriale ed energetica. Un grande patto sociale da negoziare con chi ci sta».
Che cosa pensa di Donald Trump e Elon Musk?
«Sono figli del nostro tempo, frutto di una America che ha la forte tentazione di rinchiudersi nel suo recinto, con la voglia di risolvere in modo bilaterale i conflitti internazionali attraverso la sua grande forza industriale, finanziaria e tecnologica. L’Europa deve svegliarsi, non ha più una badante, che ci piaccia o no».
L’unità sindacale è una chimera?
«È una grande risorsa quando si basa sulla proposta e i contenuti e non solo sulla protesta, tanto più se collaterale alla politica. Serve invece un’impostazione partecipativa che sgombri il campo dall’antagonismo».
Che farà da (più) grande Sbarra? Nel suo futuro c’è la politica, come per Furlan e Camusso, o andrà a dare il pane alle papere a villa Borghese?
«Continuerò ad impegnarmi dove potrò dare un contributo. Ovunque sarà, resterò sempre un sindacalista al servizio delle persone più deboli».
© RIPRODUZIONE RISERVATA




















































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3 febbraio 2025



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