Anche in Italia in crescita il fenomeno del dead mall

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Roma, 3 febbraio 2025 – La nascita di centri commerciali sempre più forniti, su più livelli, con ampi parcheggi e migliaia di mq di esposizione, negli anni ha probabilmente raggiunto un picco oltre il quale non si andrà, viste anche le nuove tendenze di acquisto da Internet, una diversa percezione del business e i costi enormi di affitto e del personale. Ecco allora che questa nuova tendenza commerciale porta con sé un fenomeno, in America definito “dead mall”, letteralmente “centro commerciale morto”, che intristisce il paesaggio urbano e pone le amministrazioni comunali dinanzi al problema di come riconvertire enormi spazi non più appetibili.

Il caso del Cloverleaf Mall

Gli Stati Uniti sono la patria di questi spazi commerciali, se è vero che già negli anni ‘60 ne esistevano ben 4.500, e si arrivò a superare i 25mila negli anni ‘80. Ora se ne contano appena 700 (nel solo 2020 hanno chiuso in 12mila) con la nota catena Macy’s che di recente ha comunicato la chiusura, entro i prossimi 18 mesi, di ben 150 punti grandi magazzini. Stando ai dati di una ricerca condotta da Global Data, nel 2023 la percentuale di acquisti sul totale, fatta presso i centri commerciali, è scesa al 2,6% dal 14,5% di 40 anni fa.

Il primo caso che pose l’attenzione su questo fenomeno, fino a qualche anno fa impensabile, fu quello del Cloverleaf Mall, nella contea di Chesterfield, in Virginia. Stando a quanto dichiarato da alcuni manager, l’inizio della fine fu la paura che le persone provavano ad andare a fare lì gli acquisti, in quanto il centro commerciale era stato scelto da giovani del luogo che si radunavano lì con abiti particolari, pantaloni enormi, catene appese alla cintura, come fossero delle divise che ne sottolineavano l’appartenenza a una gang. Il calo degli acquisti, la voce che si spargeva, la paura di essere oggetto di aggressioni portarono alla chiusura nel giro di pochi mesi. Un’analisi più profonda potrebbe indicare invece il problema nella fine della cosiddetta classe media, con l’aumento del divario fra classi sociali, e la scelta dei poveri di rivolgersi ai discount, e dei ricchi di andare in negozi di lusso o comunque di non comprare in centri commerciali e negozi in franchising.

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La situazione in Italia

In Italia per anni si è vista una corsa al centro commerciale più grande, con più negozi, più mq di esposizione. Oggi la situazione è un po’ diversa, con oltre il 50% delle strutture considerate ormai obsolete, dunque non oggetto di ammodernamento da almeno 10 anni. In particolare, lo sono il 75% delle strutture in Veneto, il 60% di quelle in Trentino Alto Adige, e il 58% di quelle in Emilia Romagna e Liguria.

Anche la riconversione è complicata, in quanto la destinazione d’uso rende i centri commerciali difficilmente utilizzabili per altre finalità. Una delle aree che più facilmente potrebbe essere reimpiegata è quella dei parcheggi, anche se la loro ubicazione spesso in periferia, o nei pressi di uscite di tangenziali, ne riduce l’utilità. Vi sono però anche dati che fanno ben sperare, come quelli dell’Osservatorio Retail Real Estate, raccolti da Reno Your Retail Partners in esclusiva per Confimprese. Entro il 2027 sono previste 15 nuove aperture, che consolidano una realtà che conta su 1.346 strutture commerciali attive. “I centri commerciali sono canali di aggregazione – dichiara Mario Resca, presidente Confimprese – e si devono evolvere con idee innovative per attirare un consumatore che mostra un atteggiamento prudente in relazione al ridotto potere di spesa e all’instabilità geopolitica. Non stupisce che sia in aumento lo sviluppo del settore food&beverage e del pet&garden, entrambi retaggi del post-covid. Le persone si orientano verso offerte ristorative più economiche senza rinunciare ai consumi fuori casa e mostrano una rinnovata attenzione per gli animali. Si tratta di tendenze che potrebbero diventare strutturali e indicare ai retailer la via da seguire nello sviluppo delle reti distributive”.

I progetti di riqualificazione più usati

Per rispondere al problema, comunque presente, di centri commerciali in crisi, o in abbandono, esistono varie operazioni di demalling: “urban discrict”, cioè la demolizione della grande superficie di vendita e la sua sostituzione mediante un nuovo quartiere multifunzionale con uffici, edifici culturali e strutture civiche; “single-use development”, che prevede la demolizione della grande superficie di vendita e la sua sostituzione con un’altra struttura commerciale più innovativa; “adaptive reuse”, che prevede il riuso funzionale degli spazi in crisi, mantenendo la struttura esistente e adattandola ad una nuova funzione; “mall plus”, che prevede l’aggiunta di nuove funzioni all’impianto originale in modo che la struttura esistente venga integrata con nuovi volumi, con nuovi spazi pubblici e connessioni pedonali fra le diverse destinazioni d’uso; “reinvested mall”, che prevede un’operazione di ristrutturazione del centro commerciale in crisi e un importante rinnovamento estetico della struttura commerciale in modo da attrarre nuovamente i consumatori.



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