Omicidio di Pietro Sanua, il figlio Lorenzo: «Da trent’anni domande senza risposte. La verità giudiziaria è vicina, vogliamo sapere se qualcuno ha coperto gli autori»

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di
Cesare Giuzzi

La mattina del 4 febbraio 1995 Pietro, ambulante e sindacalista, venne ucciso a Corsico: Lorenzo era sul furgone. Nell’aprile 2023 le perquisizioni della casa del fratello di un boss della ‘ndrangheta: c’è finalmente una verità storica e per la prima volta siamo vicini a quella giudiziaria

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«C’è finalmente una verità storica e per la prima volta siamo vicini a quella giudiziaria. Ma dopo trent’anni ci sono domande irrisolte».

Quali sono?
«Come sono state condotte le indagini in questi tre decenni, soprattutto nei primi anni? Ci sono state delle complicità che oggi ci impediscono di arrivare agli autori?».




















































Lorenzo Sanua, 50 anni, la mattina del 4 febbraio 1995 era sul furgone con suo padre Pietro. Nelle orecchie ha ancora il frastuono delle fucilate che lo hanno svegliato nel dormiveglia all’altezza di via Di Vittorio, a Corsico. Era sul sedile del passeggero, i colpi di fucile lo hanno sfiorato. Suo padre, commerciante ambulante e rappresentante sindacale nei mercati, 47 anni, non ha avuto scampo.

Due anni fa le indagini della Direzione distrettuale antimafia hanno portato a perquisizioni in Calabria.
«Nell’aprile 2023 la polizia ha perquisito la casa del fratello di un boss della ‘ndrangheta a Oppido Mamertina».

Si tratta di Vincenzo Ferraro, fratello di Giuseppe, capobastone della famiglia. Uno scenario che indica un legame preciso con una pista che porta alla criminalità organizzata?
«In questi anni come famiglia ci siamo battuti perché papà venisse riconosciuto come vittima di mafia. Ma anche, tre volte, chiedendo la riapertura del caso. Sono state fondamentali anche le ricerche di Mattia Maestri e del professor Nando dalla Chiesa. Importantissime le parole del capo della Dda Alessandra Dolci che ha intrapreso con convinzione questa pista».

In quegli anni a Corisco, Buccinasco, Cesano Boscone il potere della ‘ndrangheta, anche dal punto di vista della violenza, era ancora fortissimo.
«Esattamente. Mio papà poteva essere ucciso in qualsiasi momento mentre rientrava a casa da solo dopo il lavoro o in un luogo più isolato. Invece chi ha progettato l’agguato ha agito in quel preciso territorio, con modalità mafiose usando un fucile a canne mozze. Chi poteva agire indisturbato in quel luogo?».

Dopo così tanti anni c’è la speranza che si arrivi a identificare i killer?
«Sappiamo che è molto difficile. La speranza c’è sempre, sappiamo che l’impegno della procura c’è stato e abbiamo la massima fiducia nel lavoro della dottoressa Dolci».

Il magistrato domani sera sarà a Corsico insieme don Luigi Ciotti di Libera per la fiaccolata sul luogo dell’omicidio.
«Questo testimonia il grande attaccamento verso questa vicenda e affinché la verità emerga davvero. È naturale però che dopo trent’anni ci siano domande che risuonano nella nostra testa. Viene da chiedersi se davvero ci siano state sottovalutazioni, omissioni, complicità».

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E quindi, che cosa avete intenzione di fare?
«Chiederemo alla Commissione parlamentare antimafia di indagare su quanto è stato fatto dalle istituzioni e su chi ha svolto le indagini».

Lei negli anni s’è avvicinato a Libera. Oggi è referente per il Sud-ovest di Milano, l’area più calda da un punto di vista mafioso. Ma lo ha fatto senza «sfruttare» il ruolo di figlio di una vittima.
«È stato un percorso lento, in punta di piedi. Ho raccontato a migliaia di giovani la storia di mio papà in tutta Italia. Ma si tratta di due ruoli diversi. Ora sono al servizio di altri, perché non si ripeta».

E la verità sull’assassinio di suo papà?
«La cercherò finché sarò vivo. Non posso fare altro».

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3 febbraio 2025

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