(ASI) Riceviamo e Pubblichiamo – L’opinione pubblica italiana si è giustamente indignata per le condizioni di detenzione della giornalista Cecilia Sala in Iran, detenuta in un contesto caratterizzato da violazioni dei diritti umani e trattamenti disumani. Pensiamo però troppo poco alla situazione all’interno delle carceri italiane, dove permangono gravi carenze strutturali, sanitarie e umanitarie. Il caso di Dmitry Chirakadze, cittadino russo residente in Svizzera, ne è un drammatico esempio.
La vicenda di questo uomo arrestato nel giugno 2024 e sottoposto in Italia a custodia cautelare nel carcere di Opera a Milano in condizioni inadeguate, rappresenta un inquietante monito su come il nostro sistema giudiziario e penitenziario talvolta tratti i detenuti, siano essi italiani o stranieri.
Dmitry Chirakadze, co-fondatore del gruppo russo Pravo.ru e figura ben nota in patria, è stato all’aeroporto di Roma-Fiumicino mentre era in transito verso la Svizzera per sottoporsi a ulteriori accertamenti relativi a una forma aggressiva di cancro diagnosticata appena un mese prima dell’arresto. L’ordinanza applicativa della misura cautelare in carcere emessa dal GIP di Milano su richiesta della locale Procura, lo accusa di essere il coordinatore dell’evasione di Artem Uss, figlio di un governatore russo, fuggito dagli arresti domiciliari nel marzo 2023. Secondo gli inquirenti, Chirakadze avrebbe orchestrato la fuga, gestendo i rapporti tra la famiglia di Uss e coloro che hanno materialmente agevolato l’evasione. Tuttavia, queste accuse, ancora tutte da provare, non giustificano, il trattamento ricevuto dopo la sua incarcerazione in custodia cautelare.
Trasferito al carcere di Opera, Dmitry Chirakadze è stato collocato in una sezione dedicata a condannati definitivi per reati gravi, nonostante il suo status di indagato in attesa di giudizio. In questa struttura, secondo i suoi avvocati, sono state ignorate le sue condizioni di salute critiche, aggravando una situazione già precaria. La diagnosi oncologica, confermata successivamente dall’Istituto Oncologico di Milano, rendeva la detenzione inopportuna rispetto alle necessità di cura del paziente. Eppure, per mesi, ogni richiesta di esami e trattamenti è stata rifiutata, con il pubblico ministero che ha messo in dubbio che i vetrini con i campioni istologici sottoposti ad analisi nell’istituto di Milano appartenessero effettivamente a Chirakadze.
Solo a settembre 2024, dopo tre mesi di detenzione e numerose richieste da parte dei legali, a seguito di perizia medico-legale, è stato concesso a Dmitry Chirakadze di sottoporsi a un intervento chirurgico. Tuttavia, il trattamento successivo ha suscitato ulteriore indignazione: Dmitry Chirakadze è stato riportato in carcere un giorno e mezzo dopo l’operazione, senza un’adeguata convalescenza e senza rapido accesso ai farmaci post-operatori prescritti dai medici. I suoi avvocati denunciano che i punti non sono ancora stati rimossi, causando forti dolori e rischi di infezione. Nel frattempo, ogni richiesta di esami diagnostici o controlli oncologici è stata ignorata dall’amministrazione penitenziaria e dall’Autorità giudiziaria, con il risultato che lo stato di salute del detenuto rimane un’incognita.
Questa vicenda non è un caso isolato ma riflette una crisi sistemica nel sistema giudiziario e penitenziario italiano. Secondo recenti rapporti di organizzazioni sanitarie e per i diritti umani, le carceri italiane soffrono di sovraffollamento cronico, condizioni igienico-sanitarie precarie e una carenza endemica di personale medico. La Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria ha segnalato un aumento allarmante di malattie croniche e mentali tra i detenuti, spesso aggravate dalla mancanza di cure adeguate. Le temperature nei locali durante l’inverno si attestano intorno ai 15 gradi, il cibo è di scarsa qualità, e i detenuti stranieri, che spesso non parlano italiano, si trovano in una posizione di estrema vulnerabilità, incapaci di far valere i propri diritti o di accedere ai servizi.
Nel caso di Chirakadze, queste dinamiche assumono contorni particolarmente drammatici.
Il suo avvocato, Tatiana Della Marra, ha più volte sottolineato nelle varie istanze formulate come il suo cliente sia vittima di un accanimento giudiziario che mina il principio di presunzione di innocenza e il diritto alla salute, entrambi garantiti dalla Costituzione italiana e dagli standard internazionali sui diritti umani. La Corte di Cassazione ha recentemente annullato l’ordinanza di custodia cautelare stabilendo l’illegittimità in relazione al caso Chirakadze dell’applicazione dell’articolo 61 –bis, cioè della circostanza aggravante del contributo all’azione dei concorrenti di un gruppo criminale organizzato, in relazione al caso Chirakadze, rinviando il caso al Tribunale del Riesame per una nuova valutazione. L’abrogazione di questa circostanza aggravante riduce automaticamente la previsione della pena edittale massima da 7 anni e 6 mesi a 5 anni e porta, ritenuto il presofferto e l’incensuratezza dell’imputato, ad una prognosi di pena non superiore ai 3 anni.
Sennonché, del tutto inaspettatamente, la detenzione dell’imputato (e, di fatto, in cella di punizione) è stata confermata, poiché il giudice ha ritenuto prematura la scarcerazione, poiché «è possibile che nel processo il Pubblico Ministero possa provare la legittimità dell’applicazione dell’articolo 61-bis”. Mentre i media italiani condannano a gran voce il trattamento disumano che ricevono nelle carceri di altri paesi, dovrebbero prestare attenzione a ciò che accade sotto i loro occhi – nella culla del diritto romano, che ha più di 2000 anni.
La tutela dei diritti umani non può essere selettiva né subordinata agli interessi geopolitici. Tanto in Iran quanto in Italia, il rispetto della vita e della salute dei detenuti deve essere una priorità assoluta per qualsiasi società che voglia definirsi civile. La vicenda di Dmitry Chirakadze, come quella di molti altri, resta un monito delle sfide che ancora dobbiamo affrontare per garantire giustizia e dignità a tutti, indipendentemente dal loro status giuridico o nazionalità, tanto più quando nemmeno sappiamo se l’accusato é colpevole.
Le informazioni contenute nel presente articolo sono state confermate dai legali che seguono il caso. Avv. Tatiana Della Marra.
Fonte foto creata con AI Gemini
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