Il mondo che abbiamo costruito non è un posto sicuro per i bambini

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Un momento del summit vaticano sui diritti dei bambini – Ansa

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Ma noi adulti li amiamo i bambini? La domanda, che dovrebbe ricevere un sì scontato, oggi pesa invece come un atto di accusa per generazioni che hanno saputo affrancarsi dal bisogno, hanno accelerato lo sviluppo, costruito città e macchine sempre più complesse, esplorato mondi lontanissimi, studiato galassie e singoli atomi di materia, ma forse hanno perso di vista il fine vero per cui tutto vale la pena di essere fatto: l’esistenza e la felicità di chi viene dopo, dei figli nostri non meno che di quelli degli altri.

Il dubbio che si sia smarrito questo obiettivo primario dovrebbe sorgere in noi anche solo scorrendo l’elenco dei temi sollevati nel summit internazionale “Accogliamoli e proteggiamoli” organizzato in Vaticano con personalità della politica, dell’economia e della società civile. Il Papa, aprendo i lavori, ha elencato una ad una le situazioni di violenza, prevaricazione, sfruttamento che colpiscono i bambini. Ha chiesto di pronunciare finalmente un “no” deciso «alle guerre, alla cultura dello scarto e del profitto, in cui tutto si compra e si vende senza rispetto né cura per la vita, soprattutto quella piccola e indifesa». Ha ribadito l’inaccettabilità dell’aborto che miete ogni anno milioni di vittime e «recide la fonte della speranza di tutta la società». Questo è il punto focale. Non condannare e incarcerare le donne che ricorrono all’aborto – a volte per scelta libera e consapevole, più spesso sotto la spinta di una costrizione determinata da circostanze schiaccianti – ma prima ancora prendere coscienza, tutti, di come questa violazione del diritto alla vita di un essere umano innocente non possa essere sopportabile, se non in casi davvero eccezionali. Non può diventare norma. Non può soprattutto assurgere a diritto, addirittura costituzionale: una nostra “libertà” che viene prima del diritto a esistere di qualcun altro.

A ben guardare è la stessa logica delle guerre: quella per cui, quasi con leggerezza, si mettono in conto morti e devastazioni del “nemico” e del proprio popolo. Si progettano feroci pogrom facendo strage di persone innocenti, si calcolano le possibili ritorsioni, si “investe” addirittura sulla controreazione che l’uccisione della propria gente può determinare. Si fomenta l’odio su tutti i fronti, si investe solo in armi anziché in benessere per le future generazioni: razzi da un lato e bombe dall’altro, si depositano arsenali sotto le scuole e si bloccano i tir con gli aiuti d’emergenza. Si decide – coscientemente, a tavolino – che neonati vengano decapitati e decine di migliaia di bambini muoiano per i bombardamenti e la fame, che centinaia di migliaia non vadano più a scuola, che milioni crescano nella miseria, sotto una tenda in un campo profughi lontano dalla loro terra. Fino a quando, magari, tentano di emigrare attraversando un mare o un fiume, annegandovi o finendo per essere respinti indietro. Anziché rassicurare i più piccoli, farli crescere sereni, si fa sì che nessuno si senta più “sicuro” né da un lato né dall’altro di muri che continuiamo a costruire per dividerci, nell’illusione di proteggerci così alla loro ombra.

Intervenendo in Vaticano, la regina Rania di Giordania ha spiegato che a Gaza «il 96% dei minori sentiva che la sua morte era vicina e quasi la metà dei ragazzi ha detto di voler morire. Non di sognare di diventare astronauti o pompieri, come gli altri ragazzini, ma di preferire la morte. Come abbiamo permesso che la nostra umanità arrivasse a questo?». Ecco, questa è la vera domanda. Che vale per il Medio Oriente come per l’Ucraina, per l’Africa dei conflitti come per i tanti luoghi e situazioni in cui la vita dei bambini viene violata. E si ripropone – in proporzioni minori, certo, eppure non meno preoccupanti – anche nelle nostre società del benessere, in cui si rinuncia in radice a dare la vita o la si sfrutta, si negano i diritti fondamentali dei più piccoli che pure abbiamo scritto nero su bianco 35 anni fa o, ancora, si caricano i piccoli dei nostri troppi pesi e condizionamenti, li si carica di nostre aspettative di successo che, quando vanno deluse, mandano in crisi e fanno ammalare.

Dove e perché abbiamo perso la nostra umanità? Dove e come possiamo recuperarla se non ritrovando il senso profondo dell’essere “umani”? Che non è restare eternamente concentrati sull’”io”, proiettare sempre e solo sé stessi, ma coltivare e fare crescere una speranza, costruire un futuro possibile, salvarci facendo sviluppare la vita degli altri, a cui siamo inscindibilmente legati e affratellati. A cominciare da quella dei bambini, nostri e degli altri, dei figli dell’uomo.

Il Papa ieri ha annunciato un’Esortazione apostolica sui diritti dei bambini. Nelle fonti del magistero papale questo tipo di documento ha un “valore” minore rispetto a un’enciclica. Ma la Chiesa su questo non deve ribadire dottrine, ciò che serve oggi è appunto un’esortazione alle nostre coscienze. Sono queste che vanno risvegliate e ripulite: quelle dei potenti e di ciascuno di noi che non possiamo mai essere semplici spettatori della vita.

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