Il giornale delle toghe rosse assolve il governo su Almasri

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l «soccorso rosso» che non ti aspetti. Nell’intricata vicenda della liberazione del generale libico Osama Almasri, che ha portato all’iscrizione sul registro degli indagati per favoreggiamento e peculato del premier Giorgia Meloni, dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano, il governo viene scagionato da Nello Nappi, ex giudice delle Sezioni unite della Cassazione ed ex consigliere della corrente dei Verdi (oggi Area) al Csm, sulla rivista delle toghe progressiste di Md, Questione giustizia. Piccolo riassunto delle puntate precedenti: lo scorso 21 gennaio la Corte d’appello di Roma, composta da tre magistrati moderati (il presidente Flavio Monteleone e i consiglieri Francesco Neri e il davighiano Aldo Morgigni), ha ordinato l’«immediata scarcerazione» del militare africano, dopo che la polizia aveva eseguito l’arresto su segnalazione (la cosiddetta «red notice») dell’Interpol. I giudici italiani hanno preso la loro decisione su «conforme richiesta del procuratore generale» Giuseppe Amato e «in accoglimento delle istanze difensive».

Il pg, storico esponente di Unicost, corrente centrista della magistratura, aveva sottolineato «l’irritualità dell’arresto in quanto non preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia (Carlo Nordio, ndr), titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale» e aveva affondato il Guardasigilli, rimarcando come, pur investito dalla Procura generale della spinosa questione, non avesse fatto pervenire «alcuna richiesta in merito». La decisione dell’arresto doveva passare dal ministero di via Arenula, punto e basta. Nordio ha fatto pippa e il libico è stato liberato.

Riassumendo: la Corte non ha ordinato l’arresto perché il pg non l’ha chiesto dal momento che il ministro Nordio è stato zitto. Uno scaricabarile che potrebbe essere perfettamente cantato da Angelo Branduardi in una riedizione di Alla Fiera dell’Est. Ma uno dei totem della magistratura di sinistra, Nappi appunto, la pensa in modo opposto e, ieri, ha pubblicato in apertura del sito di Md il suo parere. Il titolo è anodino: «Far chiarezza sul caso Almasri». Ma poi quella chiarezza diventa un clamoroso salvacondotto per il governo di destra. «Non è vero che la polizia non avrebbe potuto arrestare Almasri senza previa “interlocuzione” con il ministro della Giustizia, che non ha alcun ruolo formale in questa procedura», scrive chiaro e tondo Nappi. «La Corte di appello avrebbe potuto convalidare il fermo di Almasri, avendone ricevuto notizia dalla polizia, che il fermo lo aveva operato su diretta richiesta della Corte penale internazionale. Il procuratore generale presso la Corte di appello di Roma avrebbe dovuto comunque chiedere l’applicazione della custodia cautelare in carcere. Diversamente da quanto è previsto per il procedimento di estradizione, infatti, sono di esclusiva competenza del Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma gli adempimenti conseguenti alle richieste di arresto e di consegna provenienti dalla Corte penale internazionale». Nappi qui cita le norme e ammette che, secondo l’articolo 2 della legge 237 del 2012, «i rapporti di cooperazione tra lo Stato italiano e la Corte penale internazionale sono curati in via esclusiva dal ministro della Giustizia, al quale compete di ricevere le richieste provenienti dalla Corte e di darvi seguito». Ma, poi, ricorda anche che il ruolo di Nordio, in questi casi, è quello del semplice passacarte: avrebbe dovuto trasmettere le richieste formulate dalla Cpi ad Amato, il quale avrebbe dovuto eseguirle, perché «è appunto il procuratore generale, non il ministro, che deve formulare la richiesta di applicazione della misura cautelare, adempiendo così l’obbligo impostogli dall’articolo 59 dello statuto», istitutivo della Corte penale internazionale, ratificato dal nostro Parlamento nel 1998 con un’apposita legge. Nell’esecuzione degli ordini è esclusa «qualsiasi valutazione circa il fondamento probatorio della richiesta», sulla «necessità della consegna» e sull’«opportunità nell’adempimento dell’obbligo di cooperazione». Ecco il motivo dell’«attribuzione della competenza al procuratore generale, anziché al ministro come per l’estradizione», dove, invece, il Guardasigilli può scegliere di non obbedire.

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Dunque la Corte d’appello e il pg si sarebbero dovuti mettere sull’attenti allorquando «la Corte penale internazionale ha precisato di aver “inoltrato una richiesta all’Interpol di emettere un avviso rosso”, che legittimava evidentemente un intervento diretto a iniziativa della polizia». Ed eccoci alla batosta finale: «I magistrati romani hanno quindi commesso un grossolano errore di diritto quando hanno rifiutato di convalidare il fermo di Almasri e di applicargli la misura della custodia in carcere». L’unica colpa che l’ex magistrato addossa a Nordio è quella di non aver offerto una ciambella di salvataggio ai vecchi colleghi «ciucci»: «Questo errore sarebbe stato possibile evitarlo, se il ministro della Giustizia, rispondendo all’interpello della Corte romana, avesse comunicato di non essere legittimato a intervenire in un procedimento di esclusiva competenza del procuratore generale». E per evitare la figuraccia ai giudici e al pg, Nordio non avrebbe dovuto impegnare neppure troppe energie: «Per fornire questa informazione il ministro non avrebbe dovuto impegnarsi nello studio di un “complesso carteggio”, perché, non essendo chiamato a pronunciarsi in alcun modo sulla richiesta di consegna, sarebbe stato sufficiente leggere la legge o comunque avvalersi della collaborazione degli uffici ministeriali cui quella legge era presumibilmente nota», conclude Nappi. Il quale sospetta che lo sgambetto ai giudici il governo lo abbia fatto consapevolmente: «È omettendo di impedire l’errore dei magistrati romani che il governo ha potuto realizzare il programma di rimpatrio di Almasri, già organizzato prima che la corte d’appello si pronunciasse».

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