L’Unrwa dopo lo stop in Israele: «Non ci fermeremo, a Gerusalemme Est curiamo 80 mila persone»

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Greta Privitera

Philippe Lazzarini, commissario generale dell’Unrwa: «Disinformazione contro di noi, anche l’Italia ci ha tagliato i fondi»

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Nel quartiere Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est, da 5 giorni il cancello bianco dell’Agenzia delle Nazioni Unite che assiste i profughi palestinesi è sigillato. A chiuderlo sono le due leggi della Knesset votate lo scorso autunno e appena entrate in vigore: una mette al bando le attività dell’Unrwa sul territorio israeliano — quindi, secondo Netanyahu, anche Gerusalemme Est, la cui annessione però non è riconosciuta a livello internazionale —, l’altra proibisce alle autorità di avere contatti con l’agenzia

In un’intervista esclusiva con il Corriere, dal suo ufficio di Amman, il Commissario generale dell’Unrwa Philippe Lazzarini spiega perché è necessario proteggere il loro lavoro.

Non operate più a Gerusalemme Est? 
«Per ora continuiamo. Ottantamila persone di quell’area si rivolgono alle nostre cliniche e oltre 1.100 bambini vanno nelle nostre scuole. Se dall’oggi al domani dovessero mancare questi servizi sarebbe un disastro. Dal 1949, forniamo istruzione, formazione professionale, servizi sanitari ai rifugiati palestinesi. Ce ne sono sei milioni che vivono dentro e fuori la Palestina». 

Quindi, non è cambiato nulla dopo il bando? 
«Abbiamo ritirato il personale internazionale perché rimasto senza visto. Stiamo lavorando quasi ovunque tranne che a Jenin: c’è in corso un’operazione dell’Idf. Ci preoccupa l’effetto che avrà la seconda legge che vieta contatti con le autorità israeliane». 

Perché? 
«Ha un grande impatto sul nostro lavoro in Cisgiordania e a Gaza. In Cisgiordania abbiamo 50.000 bambini nelle scuole e mezzo milione di persone che accedono ai nostri servizi sanitari. A Gaza ci sono due milioni di persone tra le macerie. Questo divieto significa che i convogli Unrwa non potranno entrare nella Striscia perché gli ingressi sono gestiti da Israele. 
Dall’inizio della tregua, abbiamo fornito il 60% dell’assistenza alimentare». 

Cosa pensate di fare? 
«Stiamo cercando modi alternativi per consegnare gli aiuti, affidandoci per esempio ad altre agenzie Onu». 

Un anno fa, il governo israeliano ha sostenuto che 19 dipendenti Unrwa hanno partecipato all’attacco del 7 ottobre. Le presunte infiltrazioni di Hamas sono uno dei motivi che hanno portato il governo, appoggiato dal parlamento, a votare questo bando. 
«Il segretario generale António Guterres ha subito avviato un’indagine indipendente basata anche sulle informazioni fornite da Israele. Siamo arrivati a queste conclusioni: un caso era un errore, per altri nove le prove non sono state sufficienti a confermare il coinvolgimento, e per i restanti nove, le prove, se autenticate, potrebbero indicare che i membri dello staff siano stati coinvolti: comunque sono già stati cacciati». 

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L’ex ostaggio Emily Damari ha raccontato di essere stata nascosta in una struttura dell’Unrwa a Gaza
«Fin dall’inizio della guerra i nostri edifici sono stati violati sia da Hamas, che dai gruppi armati, che dall’Idf. Come per tutte le accuse, è necessario indagare. Detto questo, dal 13 ottobre 2023 abbiamo dovuto evacuare molte delle nostre strutture a causa dei bombardamenti e non ne abbiamo più il controllo». 

Anche Hamas vi accusa. 
«Sì, di essere collusi con l’occupazione israeliana e di promuovere la cultura occidentale: incentiviamo l’uguaglianza di genere nelle scuole. Israele ci accusa di usare libri di testo dell’Autorità palestinese, ma noi formiamo bene gli insegnanti. È chiaramente un territorio complesso. Noi crediamo che l’istruzione sia la chiave: siamo tra i pochi a puntare sul pensiero critico ». 

Quattordicimila gazawi lavorano per l’Unrwa a Gaza: come prevenite il rischio di infiltrazioni?
«Noi siamo un’agenzia umanitaria: non abbiamo una policy interna. Però abbiamo linee guida ferree, facciamo molta formazione e ogni volta che c’è un’accusa indaghiamo. Vigiliamo». 

Lei ha detto che il bando israeliano è una mossa politica, che cosa intende? 
«C’è una campagna di disinformazione contro di noi. La ragione politica è togliere ai palestinesi lo stato di rifugiati e porre fine alla narrativa relativa al diritto al ritorno». 

Vi accusano di rendere i palestinesi rifugiati per sempre. 
«Se oggi i palestinesi hanno ancora lo status di rifugiati non è per l’Unrwa ma per la mancanza di soluzioni politiche: non c’è uno stato. Questo momento traumatico per entrambi i popoli è l’occasione per un accordo giusto, per la pace a cui contribuiamo con il nostro lavoro». 

Avete perso finanziamenti in questi 15 mesi? 
«Sì. L’Italia ci ha sempre sostenuto ma negli ultimi due anni ha tagliato notevolmente i fondi. Per aiutare il popolo palestinese, abbiamo bisogno del sostegno di tutti».

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4 febbraio 2025 ( modifica il 4 febbraio 2025 | 07:03)

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