Residenza fiscale delle persone fisiche: nuovi criteri e recenti chiarimenti della prassi

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La norma che consente di individuare la residenza fiscale delle persone fisiche è da sempre contenuta nell’articolo 2, Tuir, rubricato “soggetti passivi”, il quale individua un criterio di carattere formale (l’iscrizione all’anagrafe delle popolazioni residenti in Italia) e due criteri sostanziali (domicilio e residenza del contribuente ex articolo 43 cod. civ.).

Prima delle modifiche (operative dal 2024), il legislatore aveva previsto che “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile”.

Il domicilio è da sempre definito dall’articolo 43, comma 1, cod. civ., come “il luogo nel quale la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi”.

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Sempre l’articolo 43, cod. civ., definisce la residenza come il luogo in cui la persona ha la dimora abituale, cioè il luogo in cui il soggetto vive abitualmente e in cui ha l’indirizzo della sua abitazione principale.

Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 301 del 28.12.2023, del D.Lgs. 209/2023, la riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale è entrata definitivamente in vigore.

Simmetricamente, sono state introdotte nel nostro ordinamento giuridico importanti novità che hanno radicalmente modificato i criteri di collegamento con il territorio dello Stato, con particolare riferimento alla residenza fiscale delle società, degli enti, delle associazioni e delle persone fisiche.

In data 4.11.2024, l’Agenzia delle entrate ha emanato la circolare n. 20/E/2024, recante le “Istruzioni operative agli uffici in materia di residenza fiscale delle persone fisiche e delle società ed enti a seguito delle modifiche apportate dal decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209”.

In particolare, per le persone fisiche sono state introdotte significative novità, scindendo la nozione fiscale di domicilio dall’accezione civilistica a cui era precedentemente ricondotta, prevedendo un criterio del tutto nuovo, consistente nella presenza fisica nel territorio dello Stato e attribuendo al dato formale dell’iscrizione anagrafica la valenza di presunzione relativa.

L’Agenzia delle entrate rileva che, come già chiarito dalla circolare n. 25/E/2023, l’accertamento dei presupposti per stabilire la residenza, diversi dal dato formale dell’iscrizione anagrafica, presuppone un riscontro fattuale da eseguirsi caso per caso, al fine di una concreta ponderazione degli elementi che consentono di verificare il luogo di domicilio o di residenza nonché, dall’1.1.2024, la presenza fisica nel territorio dello Stato.

Il predetto documento di prassi, a tal fine, chiarisce che si considerano fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta (ossia 183 giorni in un anno, o 184 giorni in caso di anno bisestile):

  • hanno la residenza, ai sensi del codice civile, nel territorio dello Stato;
  • hanno il domicilio, nella nuova definizione resa dal medesimo articolo 2, comma 2, Tuir, nel territorio dello Stato;
  • sono presenti nel territorio dello Stato, tenuto conto anche delle frazioni di giorno;
  • sono iscritte nell’anagrafe della popolazione residente, condizione, quest’ultima, che a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. 209/2023, non riveste più carattere di “presunzione assoluta” bensì di “presunzione legale relativa” che, come tale, ammette la prova contraria.

Giova evidenziare che, ai fini del computo della maggior parte del periodo d’imposta, si devono considerare anche periodi non consecutivi nel corso dell’anno, sommandoli, quindi, tra loro.

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Pertanto, ai fini della residenza fiscale in Italia, non è necessario che i criteri di collegamento richiesti dalla norma ricorrano in modo continuativo ed ininterrotto, ma è sufficiente che si verifichino per 183 giorni nel corso di un anno solare, ossia 184 in caso di anno bisestile.

Sul punto, la circolare n. 20/E/2024 precisa che la novella normativa non ha modificato il criterio di collegamento consistente nella configurazione della “residenza ai sensi del codice civile” nel territorio dello Stato, in relazione al quale restano validi i chiarimenti già forniti nella prassi da parte dell’Agenzia delle entrate (da ultimo, con la circolare n. 25/E/2023), nonché dalla giurisprudenza di legittimità.

Nello specifico, la suprema Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 3841/2021, ha in passato precisato che “secondo la previsione dell’art. 43 c.c. la nozione di residenza di una persona fisica … è determinata dall’abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, caratterizzata dalla compresenza dei seguenti due elementi: l’elemento oggettivo, consistente nella permanenza in tale luogo per un periodo prolungato apprezzabile, anche se non necessariamente prevalente sotto un profilo quantitativo; e l’elemento soggettivo, rappresentato dall’intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali, familiari, affettive”.

Il criterio riferito all’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente, oltre alla residenza e al domicilio,  continua a costituire uno dei tre criteri alternativi di radicamento della residenza fiscale in Italia, sebbene ne venga mitigata la valenza presuntiva a favore di un approccio sostanziale.

Infatti, in base alla previgente disposizione di cui all’articolo 2, comma 2, Tuir, l’iscrizione anagrafica determinava una presunzione assoluta (fatta salva l’applicazione di eventuali accordi internazionali) che, tenuto conto dell’alternatività dei criteri di collegamento, non poteva essere confutata contestando l’assenza di dimora abituale o domicilio nel territorio dello Stato.

In ragione della prevalenza del diritto internazionale pattizio su quello interno, il dato formale dell’iscrizione anagrafica poteva essere, tuttavia, superato in applicazione delle cosiddette tie breaker rules dettate da eventuali Convenzioni contro le doppie imposizioni in vigore tra l’Italia e il Paese di volta in volta interessato.

A seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. 209/2023, la nuova disposizione conferisce, a tale criterio, l’efficacia di presunzione relativa, lasciando al contribuente la possibilità di dimostrare che il dato formale è disatteso da una differente situazione fattuale.

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Di conseguenza, a parere dell’Agenzia delle entrate, le persone iscritte nell’anagrafe della popolazione residente per la maggior parte del periodo d’imposta, continuano a essere considerate fiscalmente residenti in Italia, a meno che non siano in grado di dimostrare che l’iscrizione anagrafica non corrisponde ad una residenza effettiva nello Stato italiano.

A tal fine, il contribuente dovrà essere in grado di provare, sulla base di elementi oggettivamente riscontrabili, che – per la maggior parte del periodo d’imposta – non si sia configurato nessuno dei criteri alternativi – diversi da quello anagrafico – previsti dall’articolo 2, comma 2, Tuir, ossia che, per la maggior parte del periodo di imposta, non ha avuto in Italia né la residenza civilistica, né il domicilio e non è stato presente fisicamente nel territorio dello Stato.

Infine, con riferimento alla presunzione legale relativa di residenza in Italia per i cittadini italiani che si trasferiscono in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, la circolare n. 20/E/2024, rileva che la riforma non ha apportato modifiche normative, con la conseguenza che continua a trovare applicazione la presunzione legale relativa di residenza fiscale in Italia per i cittadini italiani “cancellati dalle anagrafi della popolazione residente” e trasferitisi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, individuati nel decreto del Ministro delle Finanze 4.5.1999.

Sul punto, si ricorda che la lista dei Paesi interessati dalla presunzione è stata da aggiornata dal decreto Mef 20.7.2023, con cui si è provveduto a dare attuazione al disposto dell’articolo 12, L. 83/2023, eliminando la Svizzera dall’elenco con efficacia dal’1.1.2024.



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