Oltre il carcere, verso il futuro: il ruolo del lavoro con “Seconda Chance” | Cesvot

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Il lavoro svolto dai detenuti in Toscana rappresenta una leva fondamentale per il reinserimento sociale, contribuendo a restituire dignità e a ridurre il rischio di recidiva. In Toscana, grazie alla collaborazione tra istituzioni, associazioni e imprese locali, il lavoro carcerario sta assumendo un ruolo sempre più centrale nel percorso di riscatto di molte persone private della libertà.

La legge Smuraglia e il ruolo di “Seconda Chance”

Questo sistema si basa sulla Legge Smuraglia (n. 193/2000), che incoraggia le aziende ad assumere detenuti mediante sgravi fiscali e agevolazioni, rendendo vantaggiosa l’assunzione sia a livello economico sia etico. Un attore fondamentale di questo processo è “Seconda Chance“, associazione che lavora attivamente per presentare alle imprese i benefici della Legge Smuraglia e le opportunità di inserimento dei detenuti, promuovendo un approccio di sensibilizzazione “porta a porta”. Tra il 2022 e oggi, grazie agli interventi dell’associazione “Seconda Chance” in Toscana più di 40 detenuti hanno avuto opportunità lavorative, con una dozzina di aziende che hanno accolto i lavoratori provenienti dalle carceri regionali.
Molte imprese hanno risposto positivamente, non solo per le agevolazioni, ma anche per l’opportunità di rafforzare il valore etico della loro attività e contribuire al reinserimento sociale dei detenuti. Queste iniziative si concentrano spesso nelle aree vicine ai centri di detenzione, favorendo una maggiore facilità di accesso e logistica per i detenuti ammessi al lavoro esterno.

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I settori lavorativi e la formazione professionale

In Toscana, i detenuti sono impiegati in mansioni artigianali, agricole e di utilità pubblica; in edilizia, industria tessile, manutenzione del verde, ristorazione, logistica, ambiti che richiedono competenze specifiche. Un esempio significativo è l’istituto penitenziario dell’Isola di Gorgona, dove il lavoro agricolo ha dimostrato di avere un grande impatto sul reinserimento sociale. Dai dati di Antigone, nonostante una rilevata volontà di incrementare gli investimenti nel settore, permangono le criticità dei numeri ancora esigui di persone detenute coinvolte in attività lavorativa e la problematicità di accesso alle forme di specializzazione professionale. Complessa anche l’istituzione della turnazione all’interno dei singoli istituti che se da un lato consente a una porzione più ampia di persone l’accesso alle attività lavorative, allo stesso tempo comporta per altri la permanenza in un lungo stato di inattività. 

L’impatto sul reinserimento e la riduzione della recidiva

Il lavoro per i detenuti si è dimostrato un fattore chiave nella riduzione del tasso di recidiva. Dai dati delle rilevazioni di Cnel, i detenuti che partecipano ad attività lavorative hanno una probabilità di ricaduta del 2%, molto inferiore rispetto al 68% di coloro che non sono coinvolti in attività lavorative o formative. In Italia il 33% dei detenuti risulta coinvolto in attività lavorative (19.153 impiegati nel 2023), ma solamente l’1% di essi è impiegato presso imprese private e il 4% presso cooperative sociali. 

Le sfide del sistema carcerario toscano e le prospettive future

Nonostante i risultati incoraggianti, il sistema penitenziario toscano deve affrontare sfide importanti. Il sovraffollamento cronico delle carceri, che registra tassi di occupazione del 125% dalle rilevazioni di Antigone, limita l’accesso al lavoro e peggiora le condizioni generali di vita dei detenuti. La formazione professionale è inoltre distribuita in maniera diseguale, con difficoltà per i detenuti a pene più lunghe o più gravi.
Le domande di agevolazioni fiscali presentate dalle imprese per l’assunzione di detenuti mostrano anche una forte disparità geografica: la maggior parte proviene dal Nord e Centro Nord Italia, lasciando il Sud in una posizione marginale. Tuttavia, le cooperative sociali e le aziende che offrono impiego all’interno e all’esterno delle carceri toscane rappresentano un esempio virtuoso di come il lavoro possa realmente trasformare vite e contribuire alla sicurezza collettiva.

Le testimonianze 
Un’impresa tra restauro e reinserimento sociale: il modello di inclusione che parte da Prato

Da 149 anni, la Piacenti Spa di Prato si dedica alla conservazione dei beni culturali, al restauro di affreschi, dipinti e monumenti storici. Con sedi in Italia e all’estero e un team di 80 dipendenti, l’azienda ha deciso di ampliare il proprio impatto sociale, guardando oltre la semplice donazione: offrire un’opportunità concreta di reinserimento lavorativo ai detenuti ed ex detenuti.
L’idea nasce dall’osservazione dell’esperienza di Gorgona, un progetto che ha mostrato come il lavoro possa essere uno strumento di recupero della dignità per chi ha scontato una pena. Iniziando ad assumere alcuni ragazzi in uscita dal carcere, l’azienda ha realizzato in prima persona le difficoltà legate al sistema penitenziario: dal rischio di recidiva ai problemi psicologici, fino alle rigidità burocratiche che spesso ostacolano il ritorno alla società.
L’impresa collabora con l’associazione Seconda Chance che funge da facilitatore: organizza i colloqui in carcere, seleziona i candidati e accompagna coloro che hanno l’autorizzazione a lavorare all’esterno. 
Oltre all’inserimento lavorativo, l’azienda si impegna a offrire corsi di formazione, in particolare sulla sicurezza e sulla gestione dei cantieri. Per chi ha già esperienza nel settore, le competenze emergono rapidamente, ma la vera sfida è adattarsi a una quotidianità che impone regole e orari rigidi, soprattutto per chi ha vissuto a lungo in carcere.
Il reinserimento passa anche dalla possibilità di una sistemazione abitativa dignitosa: per chi è in semilibertà, l’affitto di un appartamento rappresenta una spesa elevata, spesso proibitiva. Aiutare queste persone significa offrire loro non solo un impiego, ma un supporto concreto per riconquistare uno status sociale e un ruolo attivo nella comunità.

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Non tutti i percorsi sono lineari, e non tutte le storie hanno un lieto fine immediato: alcuni si perdono lungo la strada, altri faticano a ritrovare la loro direzione. Ma scommettere su chi ha fallito una volta significa credere nella capacità delle persone di rialzarsi, nel potere di una seconda occasione. E se l’impatto economico di questo progetto può sembrare marginale (circa il 10% del costo di un dipendente), il valore che genera è inestimabile. Ogni opportunità concessa non è solo un atto di responsabilità sociale, ma una scintilla che può accendere un cambiamento duraturo, trasformando vite e restituendo dignità attraverso il lavoro” spiega Giammarco Piacenti, presidente dell’azienda

La testimonianza di Rachid

Grazie al progetto Seconda Chance, scoperto tramite l’educatrice del carcere, Rachid, oggi in regime di semi-libertà si è inserito nel mondo del lavoro alla Piacenti Spa, dove si occupa principalmente del restauro di beni culturali, ricoprendo anche il ruolo di responsabile per la sicurezza. Il percorso di riscatto comincia già da quando Rachid era recluso in media-sicurezza, periodo in cui lavorava all’interno del carcere come aiuto cuoco e aveva deciso di completare gli studi fino ad arrivare ad iscriversi all’Università, alla facoltà di Agronomia. 

La vita in carcere ti distrugge mentalmente, il tempo sembra schiacciarti” racconta – “ma l’opportunità di lavorare ti permette di ricostruire te stesso e di essere giudicato per le tue capacità, non per il tuo passato. Se si vuole cambiare, l’occasione si trova. L’impegno apre gli occhi anche quando tutto sembra perduto.”
Dopo due rinnovi di contratto Rachid spera di poter continuare a lavorare nello stesso contesto una volta libero. Il suo sogno più grande è ricostruire la propria famiglia e offrire stabilità a suo figlio diciassettenne. “Il lavoro dà dignità e fiducia. Permette di essere visti per ciò che siamo oggi, non per gli errori che si sono compiuti”.
 





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