La Corte europea dei diritti dell’uomo ha emesso una sentenza contro la Grecia per le deportazioni illegali di migranti, definite “sistematiche”. Questa decisione fondamentale potrebbe influenzare il modo in cui l’Europa gestisce la migrazione ai suoi confini
In una sentenza storica, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) di Strasburgo, in Francia, ha emesso all’unanimità una sentenza contro la Grecia per i respingimenti illegali di cittadini di paesi terzi, definendoli una pratica “sistematica”.
Questo è il primo caso in cui la Grecia è ritenuta pubblicamente responsabile per l’attuazione di una politica che ha sempre negato, nonché la prima volta che la Corte europea dei diritti dell’uomo affronta un reclamo per respingimento che coinvolge le autorità greche.
In base alla decisione della Corte del gennaio 2025, ci sono “forti indizi” che la Grecia abbia espulso migranti senza adeguate valutazioni del rischio, trattenuto illegalmente individui e condotto operazioni segrete alla frontiera.
Queste azioni costituiscono una violazione degli articoli 3 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo , che proibiscono rispettivamente la tortura e i trattamenti inumani e degradanti.
La sentenza si è concentrata su due casi significativi presentati da 47 richiedenti totali tra gennaio e dicembre 2021.
In un caso, la corte ha decretato che la Grecia ha espulso una cittadina turca senza offrirle la possibilità di presentare domanda di asilo e l’ha detenuta illegalmente in quella che è stata considerata una “sparizione forzata”.
La donna, che aveva attraversato l’Evros per sfuggire alla persecuzione politica in Turchia, aveva caricato un video che mostrava la sua posizione in Grecia; questo è stato utilizzato come prova concreta del suo arrivo nel paese, che i giudici hanno preso in considerazione. La CEDU ha ordinato alla Grecia di pagare 20.000 Euro di risarcimento alla vittima.
Un secondo caso che coinvolgeva un minorenne afghano non accompagnato è stato ritenuto inammissibile per mancanza di prove.
I casi pendenti riguardano richiedenti provenienti da più paesi, tra cui Turchia, Iraq, Siria e Afghanistan. Queste persone denunciano violazioni dei diritti umani fondamentali, tra cui il diritto alla vita, il divieto di tortura, il diritto alla libertà e l’accesso a cure efficaci.
I rappresentanti del governo greco che hanno partecipato alle udienze hanno respinto le accuse, mettendo in dubbio la credibilità delle prove fornite e affermando che le politiche di confine del paese rispettano il diritto internazionale.
Le prove di una “pratica fantasma”
Un intervento congiunto di terze parti presentato ad agosto 2023 dalle organizzazioni per i diritti umani ECCHR (Centro europeo per i diritti costituzionali e umani), PRO ASYL e Refugee Support Aegean aveva affermato che i respingimenti non sono incidenti isolati, ma parte di una politica coordinata di deterrenza delle migrazioni.
Le prove contengono dettagli inquietanti sulle operazioni di controllo delle frontiere della Grecia, descrivendone i metodi come diversificati e brutali: rifugiati detenuti segretamente nella regione di Evros, rimpatriati forzatamente su gommoni, fermati vicino alle coste e costretti a salire su gommoni nel Mar Egeo.
Le organizzazioni hanno documentato ostacoli sistematici che impediscono di accertare le responsabilità, evidenziando come la natura segreta di queste operazioni e lo status di clandestinità delle vittime proteggano efficacemente i responsabili dalle indagini.
Eirini Vareltzidou, avvocato associato con sede nella Grecia settentrionale e parte di un team di avvocati specializzati in diritto dell’immigrazione, ha ripetutamente affrontato la burocrazia di casi complessi che coinvolgono richiedenti asilo.
Nonostante l’elevato numero di casi segnalati, dimostrarli rimane estremamente difficile: “La prassi prevede la detenzione informale di individui senza registrare i loro dati e il loro immediato rientro, il che preclude la possibilità di ottenere documenti o prove ufficiali”, spiega Vareltzidou a OBCT.
“L’unica prova disponibile è spesso limitata ai messaggi inviati a parenti o amici prima o durante l’arresto. Sebbene questo mezzo di prova possa essere considerato insufficiente da alcune autorità, ciò non nega il fatto che tali respingimenti si verifichino”.
Nel corso degli anni, le autorità greche hanno costantemente ed enfaticamente negato tali pratiche. Dato che i canali legali nazionali si dimostrano inefficaci, le vittime di respingimenti si rivolgono sempre più frequentemente a tribunali internazionali come la CEDU per cercare giustizia, nonostante gli elevati standard probatori applicati a tali casi.
Le conclusioni della corte sottolineano un grave problema di impunità istituzionale, e le autorità greche non riescono a riconoscere e indagare sulle accuse di violazioni dei diritti umani.
Mentre le narrazioni ufficiali negano l’esistenza dei respingimenti, gli operatori umanitari in prima linea continuano a raccogliere resoconti strazianti di persone arrestate ed espulse senza un giusto processo.
“Non è mai stata nostra intenzione documentare o denunciare i respingimenti, ma queste storie sono diventate parte della nostra quotidianità”, racconta a OBCT il mediatore culturale e interprete Zhegir Tayib. “I dottori e gli assistenti sociali con cui lavoro vogliono sapere come le persone del campo sono entrate nel paese con il solo scopo di fornire supporto medico e psicologico”.
Con esperienza nel lavoro sia con organizzazioni internazionali che con centri comunitari più piccoli che assistono i richiedenti asilo, Tayib racconta di aver tradotto le testimonianze dei migranti respinti con la forza alle frontiere, spesso in condizioni disumane, che sono riusciti a rientrare in territorio greco.
“Quando traduci, diventi la voce dell’altra persona. Da un punto di vista umano, la mia esperienza è che le vittime di respingimento portano con sé il trauma per molto tempo; influenza le loro decisioni e colpisce le loro famiglie e comunità. Non importa in quale paese finiscono, la violenza spesso innesca altra violenza e questo non può essere positivo per nessuna società”.
Confini, diritti e preoccupazioni nazionali
Il verdetto della CEDU giunge in un momento critico in cui diversi stati membri dell’UE invocano controlli più severi sull’immigrazione, creando potenzialmente una sfida legale e politica significativa.
Stabilendo un precedente che dà priorità ai diritti umani individuali rispetto alle misure di sicurezza generalizzate, la sentenza potrebbe costringere i paesi europei a rivalutare radicalmente il proprio approccio alla gestione delle frontiere, forzando un delicato equilibrio tra preoccupazioni per la sicurezza nazionale e obblighi umanitari internazionali.
Paesi come Italia, Spagna e Malta hanno affrontato sfide legali simili per quanto riguarda le loro pratiche di controllo delle frontiere, poiché le organizzazioni per i diritti umani fanno sempre più spesso riferimento a meccanismi legali internazionali per contestare espulsioni sommarie e pratiche di detenzione.
La sentenza sulla Grecia potrebbe creare un precedente decisivo, costringendo potenzialmente i paesi europei a sviluppare approcci più sfumati e rispettosi dei diritti alla gestione delle migrazioni che bilancino le preoccupazioni per la sicurezza nazionale con le fondamentali tutele dei diritti umani.
Questo articolo è stato prodotto nell’ambito di “MigraVoice: Migrant Voices Matter in the European Media”, progetto editoriale realizzato con il contributo dell’Unione Europea. Le posizioni contenute in questo testo sono espressione esclusivamente degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni dell’Unione europea
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