Com’è che Renzi e Meloni sono diventati acerrimi rivali

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Sembra che tutto sia iniziato la sera del 17 luglio scorso, allo stadio Gran Sasso dell’Aquila. Al 79° minuto della “Partita del cuore” tra Nazionale dei cantanti e dei politici, coi primi in vantaggio 7 a 4, Matteo Renzi fece l’assist che consentì a Elly Schlein di segnare il momentaneo 7-5. Il gol venne poi annullato per evidente fuorigioco, ma l’esultanza dell’ex presidente del Consiglio insieme alla segretaria del Partito Democratico, il loro abbraccio, apparve subito un’immagine emblematica di una riconciliazione per certi versi inaspettata. Due giorni dopo, Renzi disse di voler abbandonare l’idea di un “Terzo Polo” di centro per tornare stabilmente nel centrosinistra.

La partita di calcio di beneficenza era solo una scusa. Renzi e Schlein erano tornati a parlarsi già da qualche settimana, e per Renzi la scelta era maturata ben prima e per motivi più seri. Sta di fatto che da allora Renzi ha contribuito ad alimentare in maniera sempre più determinata l’opposizione a Giorgia Meloni e al suo governo, fino a diventarne uno dei principali avversari, in certi momenti senza dubbio il più preso di mira da Meloni stessa e dai dirigenti di Fratelli d’Italia.

Da dicembre, poi, il rapporto tra Renzi e Meloni, che pure aveva avuto iniziali momenti di sintonia, è degenerato in uno scontro sempre più aperto sia sul piano mediatico che su quello parlamentare. Meloni ha voluto inserire nella legge di bilancio una norma pensata specificamente per danneggiare gli interessi di Renzi; Renzi ha, tra l’altro, portato avanti iniziative al Senato per mettere in imbarazzo Meloni e la sua famiglia su alcune vicende piuttosto delicate, che chiamano in causa sia la gestione dei servizi di sicurezza della presidente del Consiglio sia i suoi affari personali. Nel fare gli auguri di Natale ai suoi parlamentari, Renzi ha promesso che il 2025 sarà un anno particolarmente divertente, facendo riferimento al gioco del Risiko. «È come quando si pesca la carta del “distruggi le armate di un certo colore”: ecco, a me è toccata la carta obiettivo che mi impone di distruggere le armate… nere, ovviamente».

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Non è sempre stato così. Quando il governo di Meloni si formò, Renzi tenne un atteggiamento un po’ enigmatico: di critica ma non radicale, e anzi lasciando intravedere qua e là la disponibilità a collaborare con la maggioranza di destra su alcuni temi, come quello della giustizia e delle riforme istituzionali. Nel suo discorso al Senato durante il voto di fiducia, Renzi insistette molto su quelli che riteneva errori del centrosinistra, irridendo i toni e gli argomenti scelti dal PD per contestare Meloni. La quale si complimentò poi con Renzi per quel suo intervento, e confidò ai suoi colleghi di governo che quello di Renzi era stato il discorso più lucido di tutti. I voti di alcuni senatori renziani (come del resto anche quelli di alcuni del PD e del M5S) furono determinanti per l’elezione di Ignazio La Russa a presidente del Senato, pochi giorni dopo, e consentirono a Meloni di superare il veto di Forza Italia sul suo candidato.

Nei mesi seguenti Renzi e Meloni si studiarono e tra loro si sviluppò una certa confidenza. I due si scrivevano e discutevano su temi di politica estera, ma anche sulla dieta e sul fitness (Renzi pratica il digiuno intermittente e va spesso a correre, Meloni ha parlato anche pubblicamente della sua fatica nel tenersi in forma). Dopo pochi mesi dal giuramento del governo nel 2022, Meloni e Renzi si confrontarono sulle rinunce e lo stress che l’essere presidente del Consiglio comporta, su quanto i ritmi di sonno e veglia finiscano spesso per essere sballati. Renzi, un po’ scherzando e un po’ no, suggerì a Meloni di non trascurare il riposo, e le regalò un Oura Ring, un anello che monitora i battiti cardiaci, il respiro, i bioritmi e la qualità del sonno. C’era anche un riferimento giocoso alla saga del Signore degli Anelli, per cui Meloni e buona parte dei dirigenti di Fratelli d’Italia hanno una specie di venerazione, ma era soprattutto un gesto di cordialità (Renzi quell’anello già lo usava da tempo).

Meloni lo indossò solo qualche volta, poi smise. Secondo alcuni dei suoi collaboratori per evitare che la cosa si sapesse in giro, visto che Renzi aveva iniziato a raccontare di questo regalo. Secondo altri, addirittura, perché qualcuno l’aveva messa in guardia sul rischio che nell’anello potesse esserci un GPS o qualche altro dispositivo in grado di registrare i suoi spostamenti. Fu un episodio. Ma come sarebbe poi avvenuto con l’abbraccio alla “Partita del cuore”, l’episodio divenne simbolo di un peggioramento dei rapporti tra i due leader, benché di questa storia all’epoca sapessero in pochi.

Nell’autunno del 2023 in Senato si chiuse un ciclo. Proprio nell’aula di Palazzo Madama, un anno prima, Renzi e Meloni avevano fatto intravedere una certa sintonia. Invece durante il cosiddetto premier time del 23 novembre ci fu la rottura.

Renzi attaccò Meloni su alcune sue incoerenze e sull’aumento del costo della vita, Meloni replicò sprezzante dicendo che per quel che riguardava i carburanti «dipende soprattutto dalle scelte che fanno i paesi che detengono il petrolio», per cui «se ci volesse dare una mano con il suo amico Mohammad bin Salman, forse ci aiuterebbe ad abbassare il prezzo della benzina». Il riferimento era ovviamente alla consuetudine che Renzi aveva, e ha, col principe ereditario e primo ministro dell’Arabia Saudita, con cui peraltro proprio in quelle settimane l’Italia era in concorrenza per l’assegnazione dell’Expo 2030 (pochi giorni dopo sarebbe stato attribuito appunto a Riad, mentre la candidatura di Roma avrebbe ottenuto pochissimo consenso).

Renzi rispose a sua volta in maniera maliziosa, dicendo a Meloni che «ci sono centinaia di SMS» a dimostrare che «io per il mio paese le do una mano su qualsiasi cosa e lei lo sa», alludendo evidentemente a favori che Meloni gli aveva chiesto privatamente.

Ma al di là dei rapporti personali, a determinare il definitivo cambio di orientamento di Renzi fu l’analisi del pessimo risultato dei partiti di centro alle elezioni europee del giugno 2024. L’impossibilità di ricomporre la problematica alleanza tra Renzi e Calenda rese evidente a Renzi che non c’erano più le condizioni politiche per portare avanti il progetto del Terzo Polo, cioè di un centro moderato e liberale che potesse essere equidistante tra destra e sinistra e allearsi alternativamente con l’uno o con l’altro a seconda delle circostanze e delle convenienze.

Inoltre la situazione a livello internazionale stava cambiando in una maniera allo stesso tempo rapida e radicale. Donald Trump era diventato il candidato presidente dei Repubblicani, negli Stati Uniti, e questo spostava i partiti di destra europei su posizioni più estreme. Dialogare con loro sarebbe dunque diventato fatalmente più difficile, per un partito di centro. D’altro canto, la disponibilità di Meloni a coinvolgere la parte meno ostile delle opposizioni nell’operato del governo, anche solo in maniera indiretta, è sempre stata scarsissima, se non nulla: forte della sua posizione, consapevole della solidità della sua maggioranza e del suo consenso personale, la presidente del Consiglio ha anzi guardato con crescente fastidio ai movimenti del leader di Italia Viva e ai suoi tentativi di condizionare le scelte della maggioranza. Persino il fatto che alcuni ministri – come Guido Crosetto, o Daniela Santanchè, o Carlo Nordio – avessero un buon rapporto con Renzi è diventato a un certo punto motivo di sospetto e di polemica all’interno di Fratelli d’Italia.

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Ma la decisione di Renzi di ricollocarsi stabilmente nel centrosinistra per Meloni può diventare un problema. La costituzione di un’alleanza ampia di centrosinistra, che è l’obiettivo in nome del quale Schlein ha deciso di tentare una sorta di intesa con Renzi dopo anni di reciproca ostilità, potrebbe infatti togliere a Meloni il vantaggio enorme che ebbe alle ultime elezioni politiche del settembre del 2022: quando, cioè, da leader della coalizione di destra e di un partito che aveva il 26 per cento dei voti si trovò contro un fronte progressista diviso in tre parti, che pur avendo nel complesso più voti ha vinto però un basso numero di collegi uninominali. È questo fattore che di fatto consentì a Fratelli d’Italia e ai suoi alleati di vincere con facilità.

In uno scenario di centrosinistra unito, il consenso di Renzi – dato tra il 2 e il 3 per cento – può pesare parecchio: come hanno dimostrato le elezioni regionali in Liguria nell’ottobre scorso, e quelle in Basilicata ad aprile, in molti collegi e in varie parti d’Italia i partiti di centro, spostandosi da una parte o dall’altra, possono contribuire a indirizzare l’esito del voto.

Ma prima di arrivare alle prossime elezioni, sono altri gli ambiti in cui l’attivismo di Renzi preoccupa i dirigenti di Fratelli d’Italia. Uno è quello parlamentare, dove Renzi ha spesso dimostrato di avere una grande abilità tattica. In questi mesi ha iniziato peraltro a intervenire con una frequenza e un puntiglio insoliti per i leader di partito e per gli ex presidenti del Consiglio, che di solito prendono la parola solo in rare occasioni rilevanti o solenni. Invece Renzi lo si vede spesso, nell’aula di Palazzo Madama, attaccare i ministri e i sottosegretari, battibeccare con gli esponenti della maggioranza, infervorarsi e polemizzare in maniera spesso aspra col presidente La Russa.

Benché i margini della maggioranza siano ampi sia alla Camera sia al Senato, di recente alcuni dei senatori di Italia Viva sono stati avvicinati dai dirigenti di Fratelli d’Italia per essere convinti a lasciare il partito di Renzi. Dafne Musolino, per esempio, ha raccontato di essere stata contattata direttamente dal presidente La Russa, che ha negato senza troppa convinzione.

Renzi, dal canto suo, ha iniziato da mesi una campagna di attacco diretto a Meloni e alla sua famiglia. Questa è stata forse la novità più rilevante nell’opposizione degli ultimi mesi. Parlando con alcuni parlamentari a lui vicini, Renzi ha detto che questo cambiamento serve a far capire che è inutile continuare a prendersela solo con Matteo Salvini o con altri ministri di seconda fila, e che invece è opportuno far emergere i limiti e le incoerenze di Meloni e dei suoi familiari. Si spiega così anche l’alto numero di interrogazioni parlamentari e di denunce sui giornali che Renzi ha fatto sulla gestione del potere da parte del governo, tutto accentrato intorno a Meloni e alla sua famiglia. Solo nelle ultime settimane, in ordine sparso, Renzi ha interrogato i vari ministri competenti su nomine che riguardano la cultura, sui regali che Meloni ha ricevuto durante il suo mandato, sui finanziamenti concessi dal governo a iniziative promosse da giornalisti vicini al governo stesso.

In particolare, Renzi ha più volte fatto riferimento a dubbi su due questioni che in Fratelli d’Italia ritengono particolarmente delicate: una riguarda i metodi con cui Meloni ha pagato la sua nuova casa, l’altra ha a che vedere con uno strano episodio in cui è coinvolto anche Andrea Giambruno, l’ex compagno di Meloni. Nella notte tra il 30 novembre e il primo dicembre del 2023, due persone si sono avvicinate all’auto di Giambruno parcheggiata sotto la casa di Meloni, e due agenti della scorta di lei sono dovuti intervenire per allontanarli: pochi giorni dopo, Meloni decise di cambiare la composizione della sua scorta. I due agenti in servizio quella sera, nella fattispecie, vennero destinati a incarichi internazionali ben retribuiti, e allontanati da Roma. I contorni di queste decisioni, che sono inconsuete, non sono mai stati chiariti del tutto, e questo ha alimentato i sospetti su cosa sia successo quella notte.

Ma l’insistenza di Renzi su questi temi genera, di riflesso, ricostruzioni maliziose tra i dirigenti di Fratelli d’Italia, che lo accusano di avere un atteggiamento ambiguo e sempre allusivo. Del resto Renzi è temuto dai collaboratori di Meloni anche per la sua conoscenza degli apparati dello Stato: nei ministeri, nelle istituzioni, nei servizi di intelligence, capita spesso di sentire esponenti di Fratelli d’Italia additare qualche dirigente o funzionario come “renziano” o come “amico di Renzi”. Sono sospetti non sempre fondati, ma che danno l’idea di come l’attivismo di Renzi generi paranoie e timori.

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