Intelligenza artificiale generativa low cost: la Cina ha di recente lanciato al mondo la sua sfida e ha già reso disponibili applicazioni a basso costo in quei mercati che non hanno posto veti (come ad esempio l’Italia, dove il Garante della Privacy ha ritenuto insufficiente la protezione dei dati degli utenti). Siamo già entrati nella fase dell’AI commodity? Le barriere all’ingresso imposte dalle big tech americane sono già saltate? Forse.
DeepSeek e Alibaba, in ogni caso, sono l’ennesima prova dell’estrema velocità evolutiva dell’AI che alimenta la confusione tra persone e imprese, incerte sul se e come utilizzare la tecnologia per sfruttarne capacità e potenzialità, garantendo affidabilità e sicurezza.
L’innovazione cinese, modificando potenzialmente i termini economici dell’AI, deve indurre a ripensare ambiti applicativi e piani d’investimento? È presto per rispondere, anche perché la portata della novità è tale da impattare sugli equilibri geopolitici e aprirà quindi una partita che non potrà essere risolta con le sole regole dell’economia di mercato.
Di certo c’è che oggi le imprese, di ogni dimensione e settore, stanno valutando i potenziali effetti dell’AI su prodotti e servizi così come su modelli di business e organizzativi, mentre la velocità evolutiva obbliga giorno dopo giorno a riscrivere le priorità e a rivalutare opportunità e rischi. A che punto sono le imprese italiane? Come stanno approcciando il tema? L’esperienza sul campo disegna un quadro molto fluido. Le grandi imprese sono avanti nell’adozione delle policy (che cosa si può fare o non si può fare) e front runner nella sperimentazione di casi d’uso e nella successiva loro adozione in caso di successo. Le medio-piccole, più indietro nel percorso di adozione, sono comunque orientate a considerare l’AI la svolta per incrementare efficienza e produttività (tema storicamente molto sentito in Italia).
La questione fondamentale, per tutti, è il governo, da intendersi in un’accezione estesa, al di là, cioè, di stabilire chi fa che cosa o ne è responsabile. Il governo include diverse voci: definizione dei processi organizzativi; impatto su competenze, persone e organizzazione; controllo dei dati; utilizzo degli output; gestione dei rischi e della sicurezza; controllo dei costi (trasparenti e occulti); governo di chi fornisce l’AI o la utilizza nei servizi che rende all’impresa; valutazione e gestione degli aspetti di sostenibilità.
Per ogni voce vanno stabilite linee guida e regole chiare. Prendiamo, per esempio, il controllo dei dati, alimento base dei modelli di AI generativa. Se si vuole integrarla pienamente nei processi aziendali, bisogna stabilire precisamente chi può accedere a cosa, per evitare che chiunque nell’organizzazione possa visionare informazioni sensibili (le performance del business, per dirne una). È quindi necessario segregare i dati e selezionare gli accessi stabilendo chi può visionarli, maneggiarli, autorizzarne l’uso.
Regole di governo, appunto, che devono essere stabilite per l’intero ciclo di vita dall’AI (analisi dei fabbisogni, studio delle soluzioni, sviluppo delle applicazioni; adozione; miglioramento continuo, dismissione o sostituzione), ancora più se la tecnologia è sviluppata autonomamente dall’impresa.
Il governo, anche nelle grandi organizzazioni, non è stato fin qui sempre tenuto nella dovuta considerazione ed è certamente una lacuna nelle imprese medie e piccole, meno strutturate nei processi organizzativi e gestionali e con minori disponibilità di competenze professionali adeguate. Se si vorrà rendere l’AI una svolta sicura e sostenibile per il business, insomma, le regole di governo non possono essere messe in secondo piano.
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