Cosa ha scritto Il Sole 24 Ore, quotidiano di Confindustria, sugli Esg. L’analisi di Liturri.
Stentavamo a credere ai nostri occhi leggendo il titolo in prima pagina di ieri sul Sole 24 Ore («le grandi aziende: serve un rinvio sui bilanci ESG»). Finalmente, una delle più inutili e grandiose costruzioni della burocrazia della Ue al servizio del Green Deal, trova sul quotidiano di Confindustria il suo meritato “de profundis”.
Perché di questo si tratta. Se il Sole esce allo scoperto sul tema, significa che da viale dell’Astronomia è arrivato il semaforo verde per uscire allo scoperto, dopo mesi di lavoro sottotraccia di cui vi abbiamo dato puntuale documentazione.
Quella che era stata fino a qualche settimana fa solo la manifestazione di preoccupazioni, oggi è diventata un’esplicita richiesta di rinviare di due anni il report di sostenibilità per le grandi imprese non quotate, cancellarlo per le PMI quotate e non avviare nemmeno il processo di recepimento dell’altra elefantiaca direttiva sulla due diligence di sostenibilità (CSDDD).
È ora di dire basta, questo il messaggio forte e chiaro, ancorché tardivo, che lancia il quotidiano di Confindustria. Ma, lungi da noi volere avanzare riconoscimenti di primogenitura del tema (ci fa solo piacere che altri si uniscano a sostenere una tesi che qui avanzammo in solitaria all’indomani della pubblicazione del D.Lgs. 125 di recepimento della Direttiva), su cui siamo tornati poi in altre occasioni, oggi ci preme evidenziare come questo risveglio sia profondamente intriso di ipocrisia.
Infatti, i problemi sollevati oggi da “la meglio gioventù” di Confindustria, Assonime, Oic (Organismo Italiano di Contabilità) e Consiglio Nazionale dei commercialisti, erano già evidenti, a un lettore normale, da mesi. Non pretendiamo di spingerci addirittura prima dell’adozione della Direttiva sul report di sostenibilità (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Ue il 5 gennaio 2023, con 18 mesi a disposizione per il recepimento da parte dei singoli Stati membri), ma ci basta fermarci ai mesi intercorsi fino al 18 marzo 2024, durante i quali la bozza di disegno di legge delega e poi lo schema del decreto delegato di recepimento è stato posto in consultazione dal Mef.
Mesi in cui si sono susseguiti convegni di presentazione in cui al massimo si paventavano come quisquilie delle difficoltà applicative, e nessuno si azzardava ad avanzare l’unica vera e sostanziale obiezione: era un obbligo informativo inutile, costoso e pericoloso a causa dell’elevata discrezionalità degli standard di rendicontazione, caratterizzati da scarsa o nulla misurabilità dei fenomeni oggetto di rilevazione.
Mesi di consultazione pubblica spesi solo per inneggiare alle “magnifiche sorti e progressive” della sostenibilità e dei fattori Esg.
Mentre noi parlavamo di “insostenibile mantra della sostenibilità” per il resto del mondo imprenditoriale e della consulenza sembrava che non ci fosse nulla da obiettare. A gennaio 2024, tutta la compagnia di giro che oggi chiede rinvii non poteva non sapere ciò che noi leggevamo e denunciavamo, mentre al Senato passava in cavalleria senza colpo ferire il disegno di legge delega. Addirittura Assonime e Consiglio Nazionale dei Commercialisti si prodigavano nella pubblicazione di linee guida e indicazioni per i consigli di amministrazione. Secondo questi ultimi, la transizione verso la sostenibilità offriva opportunità di business in termini di «riduzione di costi operativi, resilienza della catena di fornitura e ottimizzazione della gestione dei rischi aziendali, compresi i rischi normativi, di reputazione e di mercato, ciò agevolando l’impresa nella conquista di nuove quote di mercato, garantendone la redditività e attraendo investitori».
Insomma, un vero affare. Dodici mesi dopo, apprendiamo attoniti dal Sole che il Presidente del consiglio nazionale dei commercialisti, Elbano De Nuccio, dichiara che «senza una drastica semplificazione diventano difficile la lettura e la comparabilità dei rendiconti».
Ovviamente nulla che non fosse già ampiamente noto un anno fa, bastava solo leggere, come abbiamo fatto noi scrivendo decine di articoli, e avere il coraggio di dire che «Il Re è nudo».
Prendiamo atto che quel coraggio è clamorosamente mancato e oggi accogliamo con piacere Confindustria, Assonime, Oic, il Consiglio dei commercialisti, a bordo del carro del rifiuto di uno strumento per il quale sono terminati gli aggettivi dispregiativi.
Avremmo solo gradito una preventiva richiesta di scuse, per aver taciuto o, peggio, sostenuto in passato quell’assurdo sottoprodotto di un’ideologia green in salsa talebana che ora ci si appresta a smaltire nei rifiuti indifferenziati.
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