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Un bellissimo film, da far vedere agli studenti di 16-19 anni nell’ambito di un curricolo di educazione civica o di storia contemporanea: Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese (2023). Quest’ultimo ha contribuito alla sceneggiatura e alla produzione dell’opera cinematografica, di cui è regista.
La storia narrata è realmente accaduta. Convincente l’interpretazione di Leonardo DiCaprio (di origini italiane come Scorsese e De Niro), seducente e spregiudicato come il personaggio che incarna: Ernest Burkhart, reduce della Grande Guerra 1914-18, che dedica la propria vita ad impossessarsi dei giacimenti petroliferi appartenenti ai nativi americani della Nazione india Osage. Suo zio William “King” Hale (un grandissimo Robert De Niro) usa metodi ancor più spicci, ricorrendo a manipolazione e omicidio, fino a pianificare lo sterminio di una popolazione intera, di cui si fingeva amico e protettore.
Un film basato su un saggio storico di grande rilevanza
La sceneggiatura del capolavoro di Scorsese si basa su un saggio del giornalista statunitense David Elliot Grann, che lo ha intitolato Killers of the Flower Moon: The Osage Murders and the Birth of the FBI. Il libro è pubblicato in Italia dall’editore Corbaccio col titolo Gli assassini della Terra Rossa: Affari, petrolio, omicidi e la nascita dell’FBI. Una storia di frontiera. Di grande successo in America perché molto avvincente, il saggio può esser letto dagli studenti per un approfondimento della questione.
Storia di un popolo tranquillo
Da tempi antichissimi gli Osage — Wazhazhe in lingua sioux — erano un popolo di agricoltori e cacciatori-raccoglitori, stanziati nelle foreste allora presenti nelle Grandi Pianure degli odierni Stati Uniti, ad ovest del fiume Missouri, fino al Red River. Dal ‘600 la loro cultura cambiò in seguito al contatto con gli europei invasori. Francesi prima, spagnoli poi e in seguito gli statunitensi li spinsero sempre più a ovest, insieme a molte altre popolazioni native, con cui gli Osage entrarono presto in conflitto. I governi USA alimentarono le guerre tra i nativi, nell’intento di allontanarli tutti persino dai territori dell’Ovest, che il nuovo Stato intendeva consegnare ai coloni affamati di nuove terre da coltivare e/o sfruttare minerariamente.
Ai primi del ‘900 gli Osage erano ormai confinati in una riserva venduta loro dallo Stato federale nel territorio dell’Oklahoma: una piccola area inospitale, arida, improduttiva, in cui essi si arrangiarono a vivere come meglio potevano. Curarono tuttavia l’istruzione scolastica del figli, la loro educazione, acculturazione e integrazione in un contesto ormai totalmente dominato dai WASP.
I nativi americani più ricchi al mondo
Il caso volle però che proprio in quegli anni nella riserva concessa (per denaro) agli Osage si scoprissero grossi giacimenti di petrolio. Erano gli anni in cui l’“oro nero” conquistava il mondo, per la gioia dei Rockefeller, dei Getty e delle altre dinastie di supermiliardari, che ancor oggi tengono in pugno il pianeta intero (e lo soffocano col riscaldamento globale dovuto al petrolio). Nasceva così la Osage Mineral Estate (Proprietà mineraria degli Osage), che rendeva tutti gli Osage (circa 2.200 persone), titolari dei diritti — ereditari — sui pozzi petroliferi del loro territorio. Era il 1907.
Il petrolio è dei “musi rossi”? Basta toglierli di mezzo
Dopo l’inizio dello sfruttamento dei giacimenti petroliferi, i proprietari Osage, arricchitisi, giravano con auto di lusso e mandavano i propri figli nelle migliori scuole nordamericane ed europee. Ciò irritava il comune sentire della maggioranza bianca. Un popolo di “pellirosse” divenuto il popolo più ricco al mondo era una nota stridente nel concerto delle strapotenze “civili”, di cui gli USA si sentivano già leader e capiscuola. Allora (come purtroppo anche oggi) i razzisti erano moltissimi, e non si vergognavano affatto del proprio ripugnante razzismo. Fu così promulgata una legge federale, che dichiarava gli Osage “incompetenti” a gestire denaro. Di conseguenza, ogni singolo Osage fu affidato a un tutore bianco, incaricato di amministrarne i beni.
Dal 1920 al 1926 la situazione precipitò: furono almeno 24 gli Osage assassinati mediante avvelenamenti, colpi d’arma da fuoco, e persino con una bomba. Nei successivi cinque anni il numero delle vittime salì a 60. Tanto da attirar l’attenzione dell’FBI (Federal Bureau of Investigation, “Ufficio Federale d’Investigazione”), guidato da un allora giovane — e poi celeberrimo — John Edgar Hoover (1895-1972). Accertata e dimostrata la cospirazione ai danni della Nazione Osage, alcuni dei responsabili vennero condannati.
Macchine indietro: il mondo sta tornando alla propria versione più buia?
Quest’opera maestra dell’arte cinematografica offre spunti di riflessione su vari aspetti della società contemporanea. Un secolo dopo i fatti narrati nel film, il mondo vive una stagione di ritorno del liberismo estremo di cento anni fa, precedente la crisi del 1929. Conseguenza di quella ideologia, le brutture che oggi vediamo in tutto il mondo: diffusione di povertà estreme e di estreme concentrazioni di ricchezza; chiusura degli individui nel proprio privato e nell’edonismo più sfrenato; esplosione del razzismo a tutti i livelli; guerre terribili in ogni parte del mondo; fondamentalismi religiosi e nazionalistici; attacchi alla separazione dei poteri, alla libertà d’informazione, allo stato sociale, ai diritti fondamentali (sussistenza, salute, istruzione, opinione, stampa, lavoro). Il presidente USA Donald John Trump — come del resto molti altri governanti attuali del pianeta — non esita a farsi paladino di questo ritorno indietro nel tempo, a un passato oscuro, che 50 anni fa credevamo sepolto per sempre.
Il film di Scorsese, pertanto, è utile per meditare sul momento che stiamo vivendo e sulle sue radici vicine e lontane. Necessario per capire che il mondo in cui viviamo non è certamente il migliore dei mondi possibili.
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