Il successo del made in Italy agroalimentare si basa su qualità, tradizione e sostenibilità. Tuttavia, per distinguersi sui mercati globali e rispondere alle esigenze dei consumatori, i prodotti italiani devono essere certificati in modo rigoroso e trasparente. La certificazione non è solo un attestato di qualità, ma un vero e proprio strumento di valorizzazione economica che garantisce tracciabilità e sostenibilità.
Nel contesto attuale, il dato gioca un ruolo cruciale nel processo di certificazione. Ogni passaggio della filiera, dalla produzione alla trasformazione, fino alla commercializzazione, deve essere documentato con precisione. Questo flusso di informazioni permette agli enti certificatori di validare le pratiche aziendali, dimostrando il rispetto degli standard richiesti. Come sottolineato da Ivano Valmori, ceo di Image Line® e direttore responsabile di AgroNotizie®, “la tracciabilità non è solo un obbligo, ma una leva di competitività che può dare valore aggiunto ai prodotti italiani”.
Di questi temi si è discusso durante Fieragricola TECH 2025, dove Veronafiere, in collaborazione con Image Line® e Accademia dei Georgofili, lo scorso 30 gennaio ha organizzato un convegno dal titolo “I dati per dare valore al Made in Italy: certificazione, carbon credits e sostenibilità”. Insieme a Ivano Valmori, sul palco sono saliti Giuseppe Liberatore, direttore generale di Valoritalia, e Roberta Farina, ricercatrice del Crea.
Dati e made in Italy
Il ruolo di Valoritalia nella certificazione del made in Italy
Giuseppe Liberatore ha aperto il suo intervento illustrando il lavoro di Valoritalia, ente leader nel campo della certificazione agroalimentare. Fondata nel 2009, Valoritalia è oggi il principale organismo di certificazione per il settore vitivinicolo italiano, certificando circa il 60% della produzione nazionale, con quarantanove Docg, centotrentatré Doc e trentasette Igt. La società conta duecentoventicinque dipendenti, trentacinque sedi in tutta Italia e oltre 1.250 ispettori esterni.
Nel corso degli anni, Valoritalia ha ampliato le proprie attività anche al settore agroalimentare e alla certificazione della sostenibilità, offrendo servizi per il biologico, la produzione integrata (SQNPI), la certificazione ambientale e la carbon footprint.
Liberatore ha poi evidenziato tre pilastri fondamentali della sostenibilità:
- Ambientale, legato alla tutela delle risorse naturali.
- Sociale, che riguarda il benessere dei lavoratori e delle comunità.
- Economico, ovvero il mantenimento della competitività aziendale in modo sostenibile.
Tra le certificazioni più richieste spiccano il biologico e l’SQNPI, il Sistema di Qualità Nazionale Produzione Integrata, che negli ultimi anni ha registrato una crescita significativa. Valoritalia certifica oggi 9.600 aziende SQNPI (circa il 25% del totale nazionale), segno di un crescente interesse da parte delle aziende agricole verso metodi produttivi più sostenibili.
Da sinistra a destra: Giuseppe Liberatore, Ivano Valmori e Roberta Farina
(Fonte foto: Tommaso Cinquemani – AgroNotizie®)
Una ricerca interessante presentata da Liberatore durante il convegno riguarda l’indagine Nomisma sui criteri di scelta dei consumatori nei mercati europei. Secondo i dati, sebbene il prezzo sia uno dei fattori dirimenti di scelta, la certificazione di sostenibilità è un fattore di scelta importante per i consumatori, anche italiani e non solo nordeuropei, superando anche il marchio biologico e le denominazioni d’origine (Dop e Igp). Questo dimostra come il mercato si stia orientando sempre più verso prodotti certificati dal punto di vista ambientale e sociale.
Giuseppe Liberatore ha poi illustrato l’evoluzione delle certificazioni di sostenibilità nel settore vitivinicolo, concentrandosi sullo standard Equalitas. Questo protocollo volontario, nato nel 2016, certifica la sostenibilità della filiera vitivinicola e sta riscuotendo un certo successo sia in Italia che all’estero. Attualmente, Equalitas certifica trecentosettantaquattro aziende, 4mila ettari coltivati e un giro d’affari di 5,3 miliardi di euro, pari a circa il 20% della produzione vinicola italiana.
Bisogna sottolineare che la certificazione di sostenibilità sta diventando sempre più richiesta nei mercati internazionali. In Paesi come Finlandia, Norvegia e Svezia, i vini certificati Equalitas vengono inseriti in scaffali dedicati ai prodotti sostenibili. In Gran Bretagna, la catena Marks & Spencer ha riconosciuto Equalitas tra le certificazioni ambientali di riferimento, mentre in Canada e negli Stati Uniti i vini certificati ottengono punteggi più alti nelle selezioni di acquisto.
Infine, Liberatore ha parlato dell’importanza del bilancio di sostenibilità e della crescente richiesta di certificazioni ESG, Environmental, Social, Governance. Queste certificazioni non riguardano solo l’impatto ambientale, ma anche la governance aziendale e la responsabilità sociale. Oggi molte aziende si stanno adeguando a questi standard per migliorare la loro competitività e per accedere a finanziamenti, sia pubblici che privati.
Il mondo della certificazione si amplia
Dopo l’intervento di Giuseppe Liberatore, Roberta Farina, ricercatrice del Crea, ha affrontato il tema del carbon farming e dei crediti di carbonio, strumenti sempre più importanti per incentivare la sostenibilità in agricoltura. L’aumento delle temperature globali e la crescente instabilità climatica hanno infatti reso urgente la necessità di ridurre le emissioni di gas serra e aumentare l’assorbimento di carbonio nei suoli o nella biomassa.
L’Unione Europea ha fissato l’obiettivo di neutralità climatica entro il 2050, puntando sia sulla riduzione delle emissioni (decarbonizzazione) che sul sequestro di carbonio nel suolo e nella biomassa legnosa delle foreste (compensazione).
Il carbon farming rappresenta una delle soluzioni più promettenti, permettendo agli agricoltori di adottare pratiche che migliorano la capacità dei suoli di catturare e immagazzinare CO2.
Queste pratiche includono:
- Agroforestazione, che punta sull’aumento della biomassa legnosa.
- Gestione sostenibile dei pascoli, considerati oggi i migliori agroecosistemi per sequestrare carbonio.
- Adozione di colture perenni, che favoriscono la fertilità del suolo e il sequestro di CO2.
- Uso del biochar, poiché il carbone vegetale è una sostanza organica ricca di carbonio che rimane nel suolo per molti anni.
- Ottimizzazione dell’irrigazione e riduzione dei fertilizzanti chimici per limitare l’emissione di gas serra.
Gli agricoltori che adottano pratiche di carbon farming possono, in linea di principio, farsi certificare e vedersi riconosciuti dei crediti di carbonio. Un credito di carbonio altro non è che un certificato che attesta il sequestro di 1 tonnellata di CO2 equivalente. Questi crediti possono poi essere venduti nel mercato volontario, rappresentando una fonte di reddito. Il mercato volontario è piuttosto ricettivo, anche se con prezzi non sempre soddisfacenti, poiché molte imprese, anche della filiera agroalimentare, stanno cercando di compensare le loro emissioni acquistando crediti da chi pratica carbon farming.
Roberta Farina ha poi illustrato il Regolamento Europeo 3012/2024, che stabilisce le regole per la certificazione dei crediti di carbonio agricoli.
Per ottenere i crediti, un agricoltore deve dimostrare:
- L’addizionalità, ovvero che le pratiche adottate rappresentano un miglioramento rispetto alla gestione precedente.
- La durabilità, cioè l’impegno a mantenere nel tempo le tecniche di sequestro del carbonio.
- La tracciabilità, in modo da aumentare la trasparenza nel sistema e la fiducia tra chi vende e acquista.
Infine, la ricercatrice ha presentato dei progetti che il Crea sta sviluppando proprio sul fronte del carbon farming. Fra questi c’è LIFE VitiCaSe, di cui Image Line® è capofila, un progetto incentrato sull’implementazione del carbon farming in viticoltura.
L’approccio innovativo è caratterizzato da una serie di pratiche agricole e di gestione del suolo volte ad aumentare la capacità dell’ecosistema vitivinicolo di catturare e trattenere il carbonio atmosferico; a queste si aggiunge lo sviluppo di tool digitali che consentono di gestire al meglio i dati necessari per la validazione, il monitoraggio e la certificazione di tutto il processo. In questo modo non solo si migliora la qualità dei terreni agricoli, ma si fornisce al viticoltore un’ulteriore fonte di reddito.
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