Il caso Rubiales oltre il processo

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«Mi stava baciando il mio capo. E questo non deve succedere in nessun ambito lavorativo». La frase della giocatrice della nazionale spagnola Jennifer Hermoso riassume il senso del caso che ha fatto il giro del mondo e che questo mese, finalmente, arriva a giudizio.

Si tratta del processo per il bacio non consentito stampato da Luís Rubiales, allora direttore della Real Federazione Spagnola del Calcio (Rfef), sulle labbra della capitana della Roja in occasione della vittoria del mondiale in Australia nell’estate del 2023. Un bacio che ha cristallizzato un cambiamento profondo nella società spagnola e che in questi giorni torna alla ribalta, a margine dalle schermaglie giudiziarie.

Ieri la magistrata ha ascoltato la versione di Rubiales, dopo aver ascoltato qualche giorno fa quella di Hermoso. Mentre lei incarnava anni di lotte per l’emancipazione femminile, con le sue frasi semplici e dirette, lui cercava di smentire la violenza che hanno visto miliardi di persone nei video del momento, arrivando a sostenere che alla giocatrice aveva chiesto il permesso di baciarla, e che lei glielo avesse concesso.

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IN AULA, NEL TRIBUNALE di San Fernando de Henares, vicino a Madrid, devono ancora sfilare numerosi testimoni per ricostruire non solo quella giornata ma anche i momenti e i giorni successivi, in cui emissari di Rubiales avevano cercato di costringerla a modificare la sua versione dei fatti, minacciando lei e la sua famiglia di conseguenze professionali.

Ma finisca come finisca questo processo – difficile immaginare che Rubiales non venga condannato – è chiaro che portare questo caso sotto le luci mediatiche ha sfondato un muro, e non solo nel mondo del calcio. Un po’ come il caso di Giselle Pellicot in Francia, che ha messo in luce la banalità e la normalità della violenza maschilista da parte di persone perfettamente integrate nel loro contesto sociale: ci sono voluti la fisicità e il coraggio di Pellicot per costringere la società francese a interrogarsi e a guardare l’orrore.

QUI È STATA HERMOSO che, mettendo a repentaglio la propria carriera calcistica costruita con fatica doppia, essendo donna, e scontrandosi con un sistema omertoso di maschi nei posti di potere, è riuscita a infrangere il tabù e a dire basta. E come le femministe insegnano, lo ha potuto fare assieme alle sue compagne, che l’hanno sostenuta dal principio e che da tempo lottavano contro la prepotenza e il maschilismo della dirigenza.

Nell’assordante silenzio dei colleghi maschi, assai meglio pagati e che, salvo un paio di timide eccezioni, sono invece rimasti completamente indifferenti alla violenza e alla differenza nel trattamento verso le loro colleghe, che pure vedono nella federazione.

Non è un caso che in questo ambiente tossico, il calcio sia rimasto uno degli ultimi sport che invisibilizza e stigmatizza l’omosessualità: qualcuno si immagina cosa sarebbe accaduto se Rubiales avesse dato lo stesso «innocente bacino» a Álvaro Morata, capitano della nazionale maschile?

Ma l’emancipazione di Hermoso è frutto di anni di femminismo. Di marce femministe dell’8 marzo, di «sorella, ti credo», di «solo sì è sì», di «non è un caso isolato, si chiama patriarcato». Di una legge molto avanzata fortemente voluta dall’ex ministra Irene Montero che metteva al centro di ogni relazione sessuale di qualsiasi tipo il consenso della donna.

Se Jennifer Hermoso può dire in aula che si è sentita «poco rispettata» e che «non è che debba stare seduta a piangere nell’ultima fila per far capire che non mi è piaciuto», e che lo stesso Rubiales debba inventarsi una versione secondo la quale lei gli diede il permesso di baciarla, è anche perché in Spagna il femminismo è riuscito a costruire una coscienza nelle donne del proprio diritto a essere protagoniste e non vittime.

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PROPRIO QUESTA SETTIMANA si sono celebrati i 20 anni della prima legge europea sulla violenza di genere, varata dal governo socialista di José Luís Rodríguez Zapatero. Sono stati 20 anni in salita, ci sono ancora 50 femminicidi all’anno (nel 2025 sono stati due, l’ultimo proprio questa settimana) e la violenza non smette.

Ma la cultura del consenso comincia a radicarsi, anche fra le più giovani, anche grazie a modelli come quello di Hermoso.

Il problema, sempre di più, sono gli uomini, di tutte le età, intrappolati nella logica machista del privilegio, preda dei discorsi vittimisti delle destre che vedono nell’uguaglianza e nella diversità un pericolo e una minaccia. Non basterà una Jennifer a rompere questo muro.



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