Che a papa Francesco non fosse per nulla simpatico il presidente americano Donald Trump era evidente. Tanto che anche la recente nomina del cardinale Robert W. McElroy a nuovo arcivescovo di Washington era stata letta come uno sgarbo al neo-presidente. Ma un attacco così diretto come la lettera ai vescovi statunitensi sull’immigrazione datata 10 febbraio e diffusa ieri, è qualcosa di assolutamente inedito. E anche di sconcertante (al pari della sua performance ieri sera al Festival di Sanremo, accompagnato dal canto di Imagine).
L’obiettivo esplicito della lettera è «l’avvio di un programma di deportazioni di massa» che «si sta verificando negli Stati Uniti», verso cui il Papa manifesta «aperto dissenso» e invita i vescovi e i cattolici americani tutti a fare lo stesso, anche vivendo in «solidarietà e fratellanza»; cosa peraltro che la Chiesa americana fa da decenni promuovendo opere di aiuto agli immigrati e – forse in Vaticano non lo sanno – quasi interamente finanziate dal governo americano.
Francesco fa appello non solo al rispetto della «dignità infinita di tutti» ma anche al principio secondo cui l’espulsione degli immigrati illegali è lecita solo nel caso abbiano commesso «crimini violenti o gravi durante la permanenza nel Paese o prima di arrivare». Principio quantomeno discutibile quest’ultimo visto che l’ingresso illegale, come ogni violazione di legge, esige una sanzione e la riparazione. Ed è anche grottesco che a prendere questa posizione sia il sovrano dello Stato del Vaticano che proprio a dicembre scorso ha varato nuove norme che inaspriscono le pene detentive e pecuniarie per chi entra illegalmente nel suo territorio. Insomma, sono tutti bravi a fare accoglienza con i confini degli altri.
Dicevamo all’inizio che la lettera è sconcertante. Anzitutto perché dimostra una scarsa conoscenza di quanto accade negli Stati Uniti. È vero, l’immigrazione illegale è stato uno degli argomenti più caldi della campagna elettorale e Trump – come suo stile – ha usato toni sopra le righe e anche nelle prime settimane alla Casa Bianca ha fatto sull’immigrazione degli show discutibili, come l’ostentazione dei video che mostrano decine di migranti illegali in manette durante l’operazione di rimpatrio o di trasporto a Guantanamo. E anche con i vescovi cattolici americani ci sono state delle polemiche.
Ma molte delle dichiarazioni roboanti e delle minacce hanno l’obiettivo di costringere i Paesi di origine e di transito a sorvegliare le loro frontiere. Metodo criticabile, certo, ma rimaniamo sempre nel campo delle opzioni politiche davanti a un problema oggettivo che tutte le amministrazioni hanno dovuto affrontare.
Tanto è vero che Trump sta facendo esattamente ciò che prima di lui hanno fatto le amministrazioni Biden e Obama. Certamente sorprenderà sapere che il record delle espulsioni e dei rimpatri è della presidenza Biden: 4,44 milioni di persone rimpatriate soltanto nei primi due anni di presidenza, più dell’intera precedente amministrazione Trump che aveva raggiunto i 3,13 milioni, numero addirittura inferiore ai 3,16 milioni di rimpatri effettuati durante la presidenza di Barack Obama. Ma anche per quel che riguarda i soli rimpatri forzati Biden ha fatto peggio del primo mandato di Trump; e l’anno fiscale 2024 ha raggiunto il record di rimpatri forzati con 271mila immigrati illegali portati fuori dai confini, contro i 267mila registrati nel 2019, che è stato il picco dell’era Trump I. E l’anno record è stato il 2014, 316mila rimpatri forzati sotto la presidenza Obama.
È anche possibile che il Trump II segni nuovi record, ma per intanto i dati assodati sono questi. Eppure da Santa Marta non è mai venuta una parola di critica quando a “deportare” erano gli amici Democratici.
Così pure non c’è mai stata una lettera di papa Francesco ai vescovi americani che stigmatizzasse la diffusione universale dell’aborto libero da parte dell’amministrazione Biden, che ne aveva fatto addirittura una bandiera. Tutt’altro, papa Francesco ha messo in difficoltà quei pochi vescovi americani che avevano avuto il coraggio, a norma di diritto canonico, di negare la comunione ai politici che sostengono l’aborto. Come è stato il caso dell’arcivescovo di San Francisco, Salvatore Cordileone, che ha negato la comunione all’allora speaker della Camera Nancy Pelosi.
È vero, sull’aborto il Papa ha spesso usato parole di fuoco – che peraltro ai suoi predecessori non sarebbero state perdonate – ma a parlare sono i fatti. Biden e la Pelosi, abortisti fanatici, sempre benvenuti in Vaticano, trattati da buoni cattolici, e guai a negare loro la comunione. E non parliamo del gender e della promozione dell’agenda Lgbtecc. che per Biden è stata addirittura una priorità di politica estera.
Le contraddizioni sono fin troppo evidenti, ma il vero problema all’origine è che ogni volta che interviene su temi sociali e politici, il Papa dà sempre l’impressione di essere di parte. Non richiama a criteri e valori ultimi a cui tutti devono guardare, ma entra nell’arena dei conflitti sostenendo l’uno contro l’altro e viceversa; sempre rimanendo sul piano orizzontale e piegando le citazioni bibliche e la Dottrina sociale della Chiesa alle sue convinzioni.
È così che il Papato sta perdendo credibilità dentro e fuori la Chiesa.
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