Auditel, i servizi streaming sempre restii a farsi misurare

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In Italia gli over the top sono davvero restii a farsi misurare le audience da un Jic e trovano sempre un buon motivo per spostare più in là il momento in cui dovranno svelare al mondo i loro dati. A meno che non sia la legge, come nel caso Dazn-Serie A, a rendere operativo questo obbligo.

Perché è bellissimo diventare ricchi coi dati degli altri. Quando però si tratta dei propri, allora cala il silenzio.

Pure l’ultima vicenda di Amazon Prime Video e di Dazn è sintomatica. E suscita molte riflessioni.

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Ad esempio, viene alla mente il caso di Mtv: un canale televisivo che nella sua versione italiana nasce nel 1997, che ha una immagine meravigliosa, con ricerche su ricerche che ne esaltano il profilo, fortissimo sui giovani, con una raccolta pubblicitaria che arriva a sfiorare i 100 milioni di euro all’anno, tantissimi per l’epoca. Poi, nel 2012, Mtv Italia sceglie di farsi rilevare gli ascolti da Auditel. E ci si rende conto che quel canale, di cui la stampa aveva tanto scritto e che sembrava centrale nella dieta mediatica degli italiani, ha invece ascolti medi pari allo 0,5% di share. Il castello di carte crolla.

C’è, quindi, da parte degli over the top, il timore di mostrare quanto i loro numeri siano, forse, lontani dalla immagine, quella invece robustissima, che si sono costruiti in questi anni.

Un obbligo della legge Melandri

Poi, tornando al caso specifico Amazon-Dazn, si resta interdetti di fronte a un colosso come Amazon che a settembre 2024 si imbarca nella distribuzione, sulla piattaforma Prime Video, dei canali Dazn senza sapere che, in base alla legge Melandri, chiunque trasmetta le partite di calcio di Serie A deve farsi misurare gli ascolti da un Jic (Joint industry committee). Come può ignorarlo, dopo tutto quanto accaduto tra Dazn e Agcom-Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con Auditel che, dalla stagione 2022/23, misura le audience dell’over the top sportivo? È assolutamente normale che Agcom abbia chiesto ad Amazon di misurare gli ascolti di Dazn distribuita sulla piattaforma Prime Video, e di farlo attraverso un Jic. Amazon, che però di farsi misurare da Auditel non ha assolutamente intenzione, ha preferito scaricare Dazn, che dal 28 febbraio, quindi, non sarà più su Prime Video.

Esclusa la ingenuità di Amazon (Marco Azzani, country managing director Italia di Prime video, ha tuttavia appena lasciato l’incarico che ricopriva da quattro anni), perciò, questo tentativo è sembrato invece ai più una sorta di forzatura per provare a vedere cosa sarebbe accaduto. Forzatura che, naturalmente, non era osteggiata dalla Lega Serie A per due ordini di motivi: da un lato, l’organo di rappresentanza dei club di Serie A vede con favore l’allargamento della distribuzione di Dazn, tenuto conto degli attuali risultati deludenti di audience e delle lamentele da parte degli sponsor dei club, i cui marchi hanno scarsa visibilità (non parliamo della Serie B di calcio, in questa stagione trasmessa solo su Dazn e di fatto sostanzialmente scomparsa). Dall’altro, la Lega Serie A, provando ad affiancare Amazon in questo confronto con Agcom, ha l’occasione di stringere legami che poi potrebbero tornare buoni tra qualche anno, quando ci saranno le nuove aste per i diritti tv della serie A (il contratto con Dazn e Sky scadrà alla fine della stagione 2028-29). Ci sarà infatti bisogno di un pò di competizione per provare ad avvicinare i 900 milioni di euro all’anno versati da Dazn (700) e Sky (200) e che, visti ora, sembrano davvero tantissimi.

La controproposta di Amazon

Da un punto di vista tecnico, perché Amazon ha respinto la misurazione dei suoi ascolti da parte di Auditel o di Audicom? Perché questi due Jic fanno misurazioni attraverso gli Sdk, ovvero specifici software che danno l’indicazione precisa dei video trasmessi via web: un sistema creato a suo tempo da Auditel e validato da Agcom. Sistema che non piace ad Amazon e che avrebbe costretto l’ott pure a fare modifiche ai suoi server, con costi aggiuntivi. Il colosso di Seattle, allora, avrebbe proposto ad Agcom un altro metodo di misurazione, detto server-to-server, in cui la fornitura dei dati sarebbe chiusa (un pò sulla fiducia), con una validazione fatta da un certificatore esterno.

Agcom ha tenuto il punto e quindi si è arrivati alla rottura.

Google: non si può imporre la metodologia tv

Ufficialmente, Amazon non ha mai commentato l’accaduto, e come unico atto c’è la lettera che ha inviato agli abbonati in cui li avvisa che dal 28 febbraio non potranno più vedere Dazn su Prime Video.

Un intervento sul tema lo ha fatto, invece, Diego Ciulli, a capo di Government affairs and public policy di Google Italia. Ciulli contesta che siano le piattaforme ott a chiudere la porta in tema di misurazione degli ascolti nonostante gli appelli dei broadcaster tv che da tempo chiedono regole uguali per tutti. «Da anni, a onor del vero, siamo noi a lanciare appelli per la misurazione cross mediale. Certo è», commenta Ciulli, «che se si vuole misurare la tv insieme all’online non si può imporre di usare la stessa rigida metodologia, bisogna puntare sull’interoperabilità. Le soluzioni tecnologiche sono disponibili, per questo il metodo di misurazione non può essere lo strumento utilizzato per chiudere il mercato».

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Netflix cerca l’istituto

Evita Barra, head of advertising sales di Netflix per l’Italia, in relazione alle misurazioni delle audience di Netflix dopo il debutto delle offerte con pubblicità, ha detto invece a ItaliaOggi che «sin da quando abbiamo intrapreso questo percorso, sapevamo quanto importante fosse essere parte del più ampio ecosistema di misurazione della tv e quanto questo fosse importante per i nostri inserzionisti. Questa è stata una grande area di focus per noi in tutti i paesi (intese con Barb in Uk, e con Mediametrie in Francia, ndr) e stiamo facendo dei progressi continui. Ci stiamo impegnando a espandere la nostra suite di misurazione in tutti i paesi che hanno un piano con pubblicità, tra cui l’Italia, per dare ai nostri clienti maggiori informazioni sull’audience del nostro piano con pubblicità e la capacità di pianificare e ottimizzare le loro campagne su Netflix in modo più efficiente. Siamo attualmente in conversazione con alcuni dei più importanti istituti di ricerca e istituzioni operanti nel mercato italiano su questo fronte». Conversazioni che, tuttavia, almeno in Italia, sembrano non arrivare mai al dunque. Perché pure Dazn, se non ci fossero stati gli obblighi derivanti dalla legge Melandri e la conseguente decisione di Agcom, sarebbe ancora impegnata, c’è da scommetterci, in proficue conversazioni su più tavoli.



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