Israele demolisce interi quartieri in Cisgiordania: oltre 40.000 sfollati in tre settimane


Mentre la tregua a Gaza appare appesa a un filo, c’è un’altra regione di quello che, secondo il diritto internazionale, dovrebbe essere lo Stato di Palestina, dove l’esercito israeliano continua a condurre operazioni ufficialmente catalogate come «anti-terrorismo», ma che in realtà stanno mettendo a ferro e fuoco città e campi profughi e causando migliaia di sfollati. Nella Cisgiordania occupata, in particolare tra Jenin, Tulkarem e Tubas, almeno 50 palestinesi sono stati uccisi nelle ultime tre settimane, mentre centinaia di abitazioni sono state demolite dai bulldozer dell’esercito israeliano, bruciate o fatte esplodere. Solo a Jenin, una decina di giorni fa, 23 edifici sono stati fatti saltare in aria contemporaneamente nel cuore della città. Secondo UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso dei Rifugiati Palestinesi, il numero degli sfollati ha ormai superato le 40.000 persone.

Il campo profughi di Jenin è ormai quasi deserto, con oltre 20.000 residenti costretti a lasciare le proprie abitazioni sotto la minaccia di droni, bombe e cecchini. Molti degli sfollati sono stati obbligati a registrarsi e farsi identificare attraverso telecamere biometriche installate dai militari. Altre migliaia di persone hanno dovuto abbandonare il campo di Tulkarem, sotto assedio da 17 giorni, mentre migliaia di famiglie sono state forzate a lasciare le proprie case anche a Tammoun e nel campo profughi di al-Far’a, a Tubas, dove l’offensiva è entrata ieri nel decimo giorno.

Numerose abitazioni sono state trasformate dai militari in centri per interrogatori o avamposti per cecchini.

L’operazione “Iron Wall” (Muro di ferro), iniziata 23 giorni fa con l’assalto a Jenin, per molti non è altro che la prosecuzione della guerra a Gaza. La retorica è la stessa, le tecniche simili. In nome della lotta al terrorismo, i militari di Tel Aviv stanno devastando interi quartieri e uccidendo decine di palestinesi, con l’obiettivo reale di rendere alcune aree inabitabili e costringere la popolazione a fuggire. Le immagini che arrivano da Jenin ricordano quelle già viste a Jabalia, nel nord di Gaza: macerie su macerie, mezzi israeliani, strade deserte.

Gli sfollati trovano rifugio in moschee, scuole o nelle case di parenti. Quasi tutti gli ospedali nelle città sotto attacco sono isolati, mentre le ambulanze vengono sistematicamente bloccate e impedite dal raggiungere i feriti. Nelle ultime settimane sono state arrestate centinaia di persone, in quella che è considerata l’aggressione più violenta in Cisgiordania dai tempi della Seconda Intifada.

E mentre i giornali di mezzo mondo parlano di “decine di terroristi eliminati”, e il ministro Salvini difende a spada tratta le assurde dichiarazioni di Trump su Gaza, moriva Saddam Rajab, un bambino di 10 anni colpito all’addome dai proiettili israeliani. Un video agghiacciante riprende la scena, testimoniando com’è facile morire nella strada sotto casa, in Palestina. L’ambulanza che stava cercando di salvarlo è stata bloccata per almeno un’ora. Alla morte di Saddam è seguita poco dopo quella di altre due donne e un uomo nel campo profughi du Nur Shams, sempre a Tulkarem. Una delle donne era all’ottavo mese di gravidanza; il marito è gravemente ferito. Sono questi, i “terroristi” di cui parla Israele. Ma fossero anche militanti armati: la “colpa” sarebbe comunque quella di difendere il proprio quartiere e la propria gente dalle incursioni israeliane e dall’occupazione sionista in continua espansione. Il cui governo – dopo il genocidio commesso a Gaza – sta parlando di annettere l’intera Cisgiordania a Israele nel 2025. Terroristi? O resistenti?

Mentre i giornali di mezzo mondo parlano di «decine di terroristi eliminati» e il ministro  italiano Salvini difende senza esitazione le dichiarazioni di Trump su Gaza, moriva Saddam Rajab, un bambino di 10 anni, colpito all’addome dai proiettili israeliani. Un video agghiacciante documenta la scena, mostrando quanto sia facile morire per strada, sotto casa, in Palestina. L’ambulanza che tentava di soccorrerlo è stata bloccata per almeno un’ora. Poco dopo la sua morte, altre tre persone hanno perso la vita nel campo profughi di Nur Shams, a Tulkarem: due donne e un uomo. Una delle vittime era incinta di otto mesi; il marito è rimasto gravemente ferito. Sono questi i «terroristi» di cui parla Israele. Ma anche se fossero militanti armati, sarebbe legittimo considerarli terroristi per il solo fatto di opporsi con le armi alla violenza quotidiana dell’occupazione? In verità, si tratterebbe di condotte che le convenzioni internazionali (per la precisione la Risoluzione ONU 37/43 del 1982) inquadrano nella legittima resistenza armata della quale possono avvalersi i popoli e le nazioni costretti a vivere sotto occupazione straniera.

Il governo italiano, mentre libera e riporta in Libia l’assassino e torturatore Osama Almasri Najim, mentre – quasi unico in UE, insieme all’Ungheria di Orbán – si rifiuta di firmare il documento a difesa della Corte Penale Internazionale, minacciata di sanzioni da Trump, e mentre in Cisgiordania e a Gaza i palestinesi continuano a morire, non smette di difendere Israele e i suoi leader da ogni accusa di pulizia etnica e genocidio. Dimostrando così di schierarsi dalla parte della violenza del più forte, e non del diritto internazionale.

[di Moira Amargi]





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