Milano alla prova dei dazi di Trump: conseguenze per tre aziende su quattro. Possibile aumento dei prezzi del 5%

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di
Giampiero Rossi

Confcommercio e Assolombarda: «Aggravio dei costi e contrazione delle vendite». Gli Stati Uniti sono il secondo partner commerciale delle imprese che esportano dall’area metropolitana di Milano

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I dazi di Trump spaventano l’economia milanese. Tra annunci roboanti ed effettive iniziative, gli imprenditori stanno facendo i conti, tratteggiando scenari, ipotizzando misure correttive. Secondo i 408 imprenditori del terziario interpellati da Confcommercio nei territori di Milano, Monza Brianza e Lodi, sono prevedibili conseguenze per tre aziende su quattro e un aumento dei prezzi al consumo del 5 per cento. Perché l’economia ambrosiana è molto legata a quella americana.
 
L’analisi elaborata dal Centro studi di Confcommercio spiega infatti che gli Stati Uniti sono il secondo partner commerciale (10,6%) delle imprese che esportano dall’area metropolitana di Milano (dopo la Svizzera, 10,8%) con oltre 4 miliardi e 494 milioni di euro fra gennaio e settembre del 2024. I prodotti milanesi più esportati negli States nel terzo trimestre 2024 sono le apparecchiature elettriche e quelle per uso domestico non elettriche (227,77 milioni di euro); i macchinari e impianti (193,13 milioni); abbigliamento, comprese pelli e pellicce (173,91 milioni); articoli in pelle (escluso abbigliamento) e simili (155,44 milioni); prodotti chimici (149,10 milioni). E poi ci sono le importazioni.

Che fare, dunque, se arrivano i dazi? La soluzione maggiormente indicata dagli imprenditori del terziario è l’aumento dei prezzi di vendita (37%), ma molte imprese (35%) pensano alla diversificazione dei mercati. E il 21% mette nel conto la riduzione dei margini di profitto. Pochissime (2%) indicano come alternativa l’interruzione degli scambi commerciali con gli Usa. «Un eventuale rialzo dei dazi Usa e la risposta europea preoccupano il sistema delle imprese — osserva Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio —. L’effetto, infatti, sarebbe quello di un aggravio di costi con una contrazione delle vendite in un momento ancora molto delicato per la nostra economia. Con conseguenze inevitabili per famiglie e imprese. È vero che si tratta solo di ipotesi, ma è bene che siano chiare le possibili ripercussioni di un confronto commerciale con gli Stati Uniti. Da qui la necessità di concertare una linea comune europea ferma e responsabile».




















































Anche gli industriali sono preoccupati e anche Assolombarda ha elaborato un proprio studio. Nel 2023, la Lombardia ha esportato negli Stati Uniti per 14,2 miliardi di euro, contribuendo all’8,7% dell’export totale e al 2,9% del Pil regionale. Ma ci sono forti differenze tra i diversi settori produttivi: meccanica ed elettronica (32,4%), di cui il 20,5% rappresentato dalla meccanica, l’8,3% dagli apparecchi elettrici e il 3,6% dall’elettronica; chimica e farmaceutica (17,0%), rispettivamente per il 9,8% e il 7,2%; moda (14,6%), di cui l’8,5% rappresentato da abbigliamento e altri prodotti tessili, il 3,3% dalle calzature e il 2,8% da pelli e cuoio; metalli (12,4%); agroalimentare (8,7%). E dopo il rimbalzo post-pandemia, il tessuto industriale si è ritrovato a fare i conti con choc energetici, guerre e recessione tedesca.

Il presidente di Assolombarda, Alessandro Spada, offre la sua analisi: «I dazi rischiano di compromettere seriamente la nostra competitività. Gli Stati Uniti negli ultimi 30 anni hanno perso capacità industriale e manifatturiera e già da tempo fanno tutto il possibile per ricostruirla — spiega —. Da questa parte dell’Atlantico, l’Europa arranca: l’energia costa molto, mancano investimenti per rafforzare la capacità industriale e l’innovazione, la tassazione è decisamente meno favorevole e la burocrazia pesa come un macigno sulle spalle degli imprenditori». Quindi il messaggio alla politica: «Il nocciolo della questione è concentrarsi su cosa può e deve fare l’Europa per non perdere la sua industria. Sicuramente, una profonda de-regulation; grandi investimenti comuni soprattutto in settori alla frontiera della tecnologia; cambiare l’approccio, ora ideologico, verso la transizione ecologica che attualmente è perlopiù “green” ma ancora per niente “deal”».

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13 febbraio 2025 ( modifica il 13 febbraio 2025 | 07:21)

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