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Il presidente del Veneto: «Il paziente ha il diritto di chiedere il fine vita, ma le Regioni non sono in condizioni di dare seguito alla richiesta»
«Cominciamo con il dire che in Italia il fine vita esiste già. Normato da una sentenza. Il dire che non esiste, significa non essere rispettosi dei cittadini». Luca Zaia ha incaricato i suoi tecnici di mettere a punto un regolamento per dare attuazione alla sentenza dela Corte costituzionale del 2019 che garantisce l’accesso alla morte volontaria in alcuni casi ben specificati. Il che non è piaciuto nè a Fratelli d’Italia né a Forza Italia.
Che cosa dovrà prevedere il regolamento?
«Semplicemente, il modo di dare una risposta ai cittadini che, in casi dolorosi e particolari, chiedono di porre fine alla loro esistenza. Come previsto dalla Consulta. Sennonché, la sentenza lascia in ombra due punti cruciali. Il regolamento dovrebbe colmare questa lacuna».
Quante persone hanno fatto richiesta di porre fine alla loro vita?
«In Veneto ci sono state sette domande dal 2019 a oggi. Di queste, tre sono state accettate, anche se uno dei pazienti è poi mancato senza l’applicazione della procedura.
Ci può ricordare quali sono questi vuoti?
«La sentenza prescrive che una persona possa chiedere il fine vita se è tenuto in vita da supporti vitali, ha diagnosi infausta, è in grande sofferenza fisica e psichica, e decide in libertà di intendere e di volere. Poi, il comitato etico dell’Ulss (Unità Locale Socio-Sanitaria, ndr) ospedaliera dà la sua risposta. Il problema della sentenza è che non dice due cose: i tempi entro cui deve arrivare una risposta, e chi deve gestire e somministrare il farmaco».
Nel concreto, il problema quale è?
«Il paziente ha il diritto di chiedere il fine vita, ma le Regioni non sono in condizioni di dare seguito alla richiesta. Arriva la richiesta, ma siccome non c’è un tempo entro cui dare seguito, rischia di rimanere lì. Sarebbe come se discutessimo di una legge sull’interruzione di gravidanza, l’aborto, ma senza stabilire i tempi obbligatori nel dare risposte alle donne e senza definire chi deve praticarla. Sul fine vita la grande ipocrisia di questo paese è far finta che le norme non ci siano. Ma a un amministratore non devi chiedere se è a favore o contro il fine vita. Devi chiedere di applicare le leggi».
Eppure, una parte della sua maggioranza è contraria…
«Ripeto, si tratta di non essere ipocriti. Se qualcuno è contrario, anche se io non condivido l’atteggiamento poco liberale, proponga una legge che vieti il fine vita e non se ne parla più. Ma è inaccettabile il non dare seguito a una sentenza della Corte».
Il problema non è anche nella difficoltà di fornire le cure palliative?
«Qualcuno vuole farlo credere, ma il Veneto è la prima Regioni in Italia per le cure palliative. Certo, non si fa mai abbastanza. Ma nessuna della sette domande che abbiamo ricevuto dipende da quello, i pazienti le rifiutano. Ma non compete a me valutare le loro scelte».
E a chi compete?
«Ci sono temi etici su cui va rispettata la posizione di tutti. E, prima di tutto, viene la libertà del cittadino. Io ho l’obbligo di rispondere se c’è una richiesta prevista dalla legge. Mi danno dell’estremista, ma chi lo fa non ha il problema di gestire la sanità, parlarne senza responsabilità è facile. Tenga conto che qui davvero la politica non c’entra…».
In che senso?
«Noi abbiamo i comitati etici che affrontano la questione, la politica non vede che cosa succede. Quando emerge un caso, lo apprendiamo dai giornali, perché è un fatto clinico. Quello che non è ammissibile è l’ipocrisia di consentire ai malati terminali di inoltrare le domande per accedere al fine vita, dare il responso di ammissibilità e poi far finta di nulla».
Ci sono tempi prevedibili per il provvedimento?
«Io ho dato il mandato ai tecnici e saranno loro ad indicare lo strumento migliore. Non è, come invece ha detto qualcuno, un’ossessione della politica. È solo il trovare il modo per fare quel che abbiamo il dovere di fare».
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