Antonia Pozzi, la sua breve vita, la sua grande forza poetica – Alessandria Today Italia News Media

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Oggi, 13 febbraio, nasceva Antonia Pozzi. La poeta tra le poete. Morta suicida a soli 26 anni, nel 1938. Per molti anni la sua famiglia disse che era morta di polmonite, per la vergogna e per mantenere lo status di famiglia tradizionale e fascista. Solo pochi giorni dopo la sua morte, il padre, “fascista perfetto” (così era chiamato al di fuori della famiglia) bruciò decine di poesie nel camino. Interi quaderni scomparirono nel fuoco. Un’amica di Antonia disse pubblicamente che il padre aveva bruciato decine di tele di Caravaggio; venne arrestata.

Solo negli anni 70, e cioè più di 30 anni dopo, i parenti dovettero ammettere la verità: si era ammazzata perché non riusciva più a resistere psicologicamente agli arresti, alle torture, alle violenze che venivano inflitte alle sue amiche e amici ebrei.

Una delle tante leggende, forse quella che ha, in qualche modo, più fondamento, è quella che indica il suo suicidio come un ultimo atto d’amore tossico nei confronti del suo professore. Ma anche questa, leggendo le varie biografie pubblicate, cade di fondamento. Se è pur vero che vi è stato un amore forte e passionale per quest’uomo molto più grande di lei, è altrettanto vero che loro lo affrontarono con coraggio e determinazione, nonostante le critiche feroci e moraliste del tempo. E far apparire, alla società, una donna debole e assoggettata a un uomo era molto più comodo e “sano”, piuttosto che a una donna che rifiutava e disprezzava il fascismo. Non dimentichiamo l’anno della sua morte: 1938. Le leggi razziali.

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Non sappiamo cosa abbiamo perso, ma se le poesie bruciate avevano lo stesso valore di quelle salvate (quasi 300) allora possiamo comprendere chi era l’inarrivabile Antonia. Dal 1950 è universalmente riconosciuta nel mondo come la poeta della natura, delle montagne, degli animali. Meravigliosa alpinista, si rifugiava nelle alte vette per respirare l’infinito, il silenzio, e trarre ispirazione per i suoi versi. Nessuno e nessuna come lei ha saputo raccontare la liberazione animale e della terra. Non era una corpo attraversato dalla passione, era l’essenza stessa della poesia. Probabilmente la più grande poeta della storia. Pari solo ad Arthur Rimbaud. Cesare Pavese, Salvatore Quasimodo, Giuseppe Ungaretti avevano letteralmente una venerazione.

È pressoché impossibile scegliere una poesia specifica per l’anniversario della sua nascita, così ho deciso di mettere le prime sei che mi vengono in mente:

DESIDERIO

Ma giungerà una sera
a queste rive
l’anima liberata:
senza piegare i giunchi
senza muovere l’acqua o l’aria

Salperà
con le case dell’isola lontana,
per un’altra scogliera

Di stelle.

PERIFERIA

Sento l’antico spasimo:
è la terra!
Che sotto coperte di gelo
solleva le sue braccia nere

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Saldo e stralcio

 

E ho paura
dei tuoi passi fangosi,
cara vita,
che mi cammini a fianco, mi conduci
vicino a vecchi dai lunghi mantelli,
a ragazzi
veloci in groppa a opache biciclette,
a donne,
che nello scialle si premono i seni

E già sentiamo
a bordo di betulle spaesate
il fumo dei comignoli morire
roseo sui pantani.

Nel tramonto le fabbriche incendiate
ululano per il cupo avvio dei treni
ma pezzo muto di carne io ti seguo

E ho paura
pezzo di carne
che la primavera percorre
con ridenti dolori.

29 OTTOBRE

E poi
se accadrà ch’io me ne vada
resterà qualche cosa
di me
nel mio mondo

Resterà un’esile scìa di silenzio
in mezzo alle voci.

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LAMPI

Stanotte un sussultante cielo
malato di nuvole nere
acuisce a sprazzi vividi
il mio desiderio insonne

E lo fa duro e lucente
come lama d’acciaio.

SFIDUCIA

Tristezza di queste mie mani
troppo pesanti
per non aprire piaghe

Troppo leggere
per lasciare un’impronta

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Tristezza di questa mia bocca
che dice le stesse
parole tue

Altre cose intendendo:
e questo è il modo
della più disperata
lontananza.

PER UN CANE

Sei stato con noi per undici anni

Una sera siamo tornati:
eri disteso davanti al cancello
il muso nella polvere della strada
le zampe già fredde
il dorso tiepido ancora.

Ora sei tutto
nella buca che ti abbiamo scavata

Ma gli undici anni
della tua umile vita
il gemere
per ognuno che partiva
il soffrire di gioia
per ognuno che ritornava

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E verso sera
se qualcuno
per una sua tristezza
piangeva
tu gli leccavi le mani:

Oh gli undici anni del tuo amore!

Tutto qui
sotto questa terra
sotto questa pioggia
crudele?
Esitavi
sulla ghiaia umida:
sollevavi
una zampa tremando

Ora nessuno ti difende
dal freddo

Non ti si può chiamare
non ti si può più dare
niente

Sole le foglie fradicie morte
cadono su questo pezzo
di prato

E pensare che altro rimanga
di te
è vietato:
di questo il nostro assurdo

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Pianto si accresce.


Infine, la sua lettera d’addio, scritta venti giorni prima di uccidersi:

Sotto un masso della Grigna
fra cespi di rododendro
mi ritroverete

Mi ritroverete in tutti i fossi
che ho tanto amato
e non piangete
perché ora io sono in pace

In riva alla vita.

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