In materia di responsabilità contrattuale, per il solo fatto dell’inadempimento c’è una presunzione di colpa in capo al debitore superabile mediante la prova dello specifico impedimento che abbia reso impossibile la prestazione o, almeno, la dimostrazione che, qualunque sia stata la causa dell’impossibilità, la medesima non possa essere imputabile al medesimo. Peraltro, perché l’impossibilità della prestazione costituisca causa di esonero del debitore da responsabilità, non basta eccepire che la prestazione non possa eseguirsi per fatto del terzo, ma occorre dimostrare la propria assenza di colpa con l’uso della diligenza spiegata per rimuovere l’ostacolo frapposto da altri all’esatto adempimento.
E’ quanto enunciato con l’ordinanza n. 27702 del 25.10.2024 con la quale la Suprema Corte, sezione 2 civile, ha accolto l’impugnazione e cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Catania che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame della causa uniformandosi ai principi di seguito svolti. La vicenda sulla quale la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi si colloca nell’ambito del giudizio promosso innanzi il Tribunale di Catania che dichiarava risolto, con i conseguenti obblighi restitutori, il contratto avente ad oggetto la permuta-vendita ed appalto di un immobile per grave inadempimento della Società appaltatrice in ordine alla realizzazione e alla consegna ai venditori, entro il pattuito termine triennale decorrente dal rilascio della concessione edilizia, di alcune unità immobiliari costituenti corrispettivo di vendita e di appalto, avendo quest’ultima realizzato alla scadenza di detto termine soltanto un parziale sbancamento. In sede di gravame, la Corte d’Appello di Catania rigettava l’appello. Interposta impugnazione sulla base di tre motivi, in questa sede rilevano le doglianze svolte con il secondo.
La Suprema Corte ha rilevato come “ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive ai sensi dell’art. 1453 c.c., non sia sufficiente la sussistenza di un inadempimento caratterizzato da gravità, ma occorre altresì, che questo, quand’anche in presenza di una clausola risolutiva espressa, sia imputabile a dolo o quantomeno a colpa del debitore, non essendo sufficiente, perché sia ravvisabile la responsabilità di quest’ultimo, la sua diffida ad adempiere ai sensi dell’art. 1454 c.c. mediante richiesta fatta per iscritto dal creditore“. Gli Ermellini hanno avuto modo di affermare, quanto al primo requisito, che “l’importanza delle inadempienze di una delle parti va valutata non isolatamente, ma nel suo complesso, dovendo intendersi non in senso generico, cioè in relazione alla stima di un danno avulso dagli specifici interessi violati, ma in relazione all’attitudine dell’inadempimento a turbare, reagendo sulla causa del contratto, l’equilibrio contrattuale, quale risulta dalle clausole cui i contraenti hanno attribuito valore maggiore ed essenziale, sotto un profilo oggettivo, in relazione alla funzione economico-sociale del contratto, o soggettivo, in relazione a particolari interessi dei contraenti medesimi”. Nel quadro delle reciproche obbligazioni facenti carico alle parti e dell’impegno di cooperazione previsto per contratto, proseguono i giudici di Piazza Cavour, “l’inadempimento o il ritardato adempimento sia considerato colposo o doloso, configurandosi soltanto così, ai sensi dell’art. 1218 c.c., la responsabilità del debitore (…) la quale deve, dunque, escludersi quando costui provi che l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione sia determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (…), ossia dimostri la sussistenza di circostanze obiettivamente apprezzabili, idonee a far escludere l’elemento psicologico “. Sulla scorta di tali principi, prosegue la Cassazione, la risoluzione del contratto a carico del debitore può pronunciarsi soltanto quando sussista la responsabilità del debitore nei termini sopra precisati, ma non anche quando quest’ultimo superi la presunzione di colpevolezza, deducendo e provando che, nonostante l’uso della normale diligenza, non è stato in grado di eseguire tempestivamente le prestazioni dovute per cause a lui non imputabili, e, per il tramite di risultanze positivamente apprezzabili, sia chiara l’incolpevolezza dell’inadempimento. Argomentano gli Ermellini che il Collegio distrettuale è incorso in errore limitandosi ad affermare che “la consapevolezza, in capo alla società, della presenza della cabina elettrica sul fondo interessato dalle lavorazioni dell’appalto e l’assunzione, da parte della stessa, di procedere agli opportuni accordi con la società elettrica per la sua eliminazione o il suo spostamento, in uno con l’assunzione dell’obbligo, nonostante ciò, della consegna del bene nel termine di tre anni, fosse in sé sufficiente per ‘elidere’ l’inadempimento, così valutando incondizionatamente il contenuto di quell’obbligo”. I giudici di merito non hanno affrontato la diversa questione dell’imputabilità alla debitrice della violazione del termine pattuito di cui all’art. 1218 c.c. Il giudice del rinvio dovrà riesaminare la vicenda alla luce delle dedotte doglianze non avendo la Corte distrettuale fatto buon governo dei principi succitati.
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