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La grande bufala della concorrenza che crea valore #finsubito prestito immediato


È del 23 settembre 1987 l’intervista in cui la Thatcher dichiarava al mondo che «non esiste la società, ci sono solo gli individui e loro famiglie». Da allora abbiamo organizzato istituzioni, concepito e realizzato policy, con rarissime eccezioni, per consolidare un modello e un sistema fondato su alcuni assiomi che venivano considerati indubitabili. Vediamo quali sono e teniamoceli a mente. 

Il principio fondamentale è che l’essere umano persegua esclusivamente i propri interessi e che questo egoismo economico sia un fattore fondamentale del benessere collettivo, concetto che per lo più attribuiamo ad Adam Smith e alla sua “mano invisibile”.

Il secondo principio è che tale misteriosa magia del bene comune nasca per la legge della concorrenza; abbiamo applicato la concorrenza non solo allo scambio di merci e servizi per avere migliore qualità al minor prezzo, ma anche al lavoro e alle persone, “incorporando” il conflitto tra le persone (è proprio questa la tesi di Foucault e per questo parla di bio-politica). Non solo le aziende, ma anche i lavoratori competono tra loro, i membri delle comunità, gli organismi della società civile, finanche gli studenti.

Il terzo principio è che solo un sistema fondato su individualismo e concorrenza possa creare ricchezza e aumentare il benessere collettivo. È questa la famosa metafora della marea, che alza tutte le barche. Solo un capitalismo così inteso porta al bene comune, «there is no alternative» come diceva sempre la nostra beneamata Margaret Thatcher (in foto Wikipedia), modello di così tante leader della contemporaneità.

Ebbene questa narrazione, dopo quarant’anni, si è dimostrata falsa. Voglio ripeterlo perché il concetto è forte. Non debole, non inadatta, non spregevole dal punto di vista etico, non ingiusta, non brutta esteticamente: falsa, contraria alle prove sperimentali.

L’egoismo. La teoria dei giochi e l’economia sperimentale hanno dimostrato che le persone sono “altruisti condizionali”. Un lavoro bellissimo, seppure un po’ ostico, di Bowes e Gintis del 2013 “La specie cooperativa”, dimostra con un corpo molto solido di evidenze che la specie umana è essenzialmente fondata sui principi dell’altruismo e della reciprocità.

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Questo concetto (“reciprocità”) ci spiega perché diciamo che siamo altruisti condizionali. Perché ci possono fregare una volta, ma alla seconda ci facciamo “imparati”. Perdere la fiducia ci fa propendere per comportamenti reattivi, per la ritorsione e la rappresaglia e ci vuole molto lavoro, molte nuove prove positive per ristabilire l’equilibrio. Pensate cosa significa allora promuovere comportamenti egoistici! Significa che intorno a noi produrremo altro egoismo! Per fortuna vale il vice versa. Tenetelo a mente.

La concorrenza. Lavori di questi ultimi vent’anni ci raccontano che la concorrenza non esiste. Anche negli scambi. Jean Tirole ha vinto il Nobel per l’Economia dimostrando che le imprese più grandi creano modalità di mercato dove si comportano come quasi monopolisti. Le asimmetrie informative, la differenza di potere negoziale tra imprese e consumatori, o ancor peggio, tra imprese e lavoratori rendono i mercati opachi, inefficienti e anelastici. Se osserviamo la concorrenza tra le persone e la comunità vediamo gli impatti peggiori: gli stranieri sono visti come competitori per le risorse del welfare, non come alleati per la creazione di ricchezza, si altera il significato di “merito” creando i morti per disperazione e depressione perché alle difficoltà economiche e sociali si somma un giudizio errato su sé stessi solo perché “non ce l’hanno fatta”.

Questa concezione errata del merito crea situazioni insostenibili nella scuola (pensate allo stress e all’ansia per le valutazioni che possono condizionare gli accessi alle università), tra le famiglie (ed ecco i genitori elicottero, le richieste di performance ai figli “per il loro bene”), tra le comunità.

Si promuove addirittura la concorrenza tra realtà che nascono per cooperare, come accade con le gare d’appalto concorrenziali per la gestione di servizi sociali.

In ultimo la marea, il capitalismo che rende tutti più ricchi e felici (e già su questo binomio ci sarebbe da discutere). Il Premio Nobel per l’Economia 2024 è stato assegnato a Daron Acemoglu, Simon Johnson e James Robinson per i loro studi su come le istituzioni pubbliche influenzino la prosperità delle nazioni. I tre economisti hanno evidenziato che istituzioni solide, rispetto della legalità, efficienza della pubblica amministrazione e trasparenza siano fondamentali per la crescita economica e la riduzione delle disuguaglianze. L’effetto mareale è una conseguenza della democrazia, non di un capitalismo egoista e fondato sulla competizione. Ciò che sappiamo è questo particolare capitalismo ha degli effetti certissimi: la polarizzazione della ricchezza e il disastro climatico. E attenzione perché la rivoluzione industriale associata all’intelligenza artificiale peggiora le cose: è estremamente energivora e sembra causare ulteriore concentrazione di capitale. Non abbiamo alternativa, no di certo: dobbiamo già oggi svoltare radicalmente. Non solo: l’alternativa è già qui, sta a noi abbracciare il nuovo paradigma o respingerlo.

Immaginate allora un mondo in cui le imprese non avranno come obiettivo di dividere utili agli azionisti, ma di contribuire al bene comune anche attraverso l’inclusione attiva delle persone fragili e delle persone con disabilità. Non dunque come obbligo cogente, ma come mission aziendale. Pensate ad una applicazione sistematica e organica delle riserve di appalto alle cooperative sociali anche per importi sopra soglia e per tutte le tipologie di appalti e concessioni. Pensate a un mondo in cui gli oltre venti miliardi di acquisti di Regione Lombardia premino imprese virtuose nell’inclusione lavorativa. Pensate all’effetto domino e moltiplicatore.

Immaginate un mondo in cui tutta l’attività economica si ponga l’obiettivo di essere utile agli altri; anzi oltre, tutto il lavoro diventi il luogo dove vedere riconosciuta la propria identità e la propria differenza, in cui potere davvero essere utili agli altri, in cui potere contribuire alla costruzione di regole comuni. Per tutti, a partire dalle persone più in difficoltà. Ecco, coloro che ancora oggi si oppongono a questa traiettoria, lo fanno con argomenti falsi, che nascono da un paradigma superato. Se accettiamo la narrazione dell’individuo egoista condanniamo le persone alla perdita di una dimensione essenziale dell’esistenza, la dimensione solidale. Le condanniamo ad una prospettiva corta, fondata sul presente, sull’isolamento, sul benessere proprio a discapito di quello degli altri, i prossimi, e ancor più i lontani, gli stranieri, le generazioni future. Se abbracciamo il futuro, ci prendiamo cura degli altri, la vita acquisisce senso, creiamo oggi le condizioni perché tutti, anche i nostri figli, anche l’umanità del domani, possa scegliere i propri obiettivi e realizzarli, anzi possa avere le capacità e le risorse per immaginare i propri desideri e realizzarli. Si diceva che stiamo vivendo un cambio di paradigma epocale e forse conviene che ne prendiamo consapevolezza. La realtà è testarda, non si piega alle narrazioni che ne diamo, ed è la realtà che rende le scelte urgenti. Ci troviamo di fronte ad una alternativa: se vogliamo stare con il passato, con convinzioni che oggi sappiamo essere false, o con il nuovo, con un nuovo corpus di convinzioni, con i principi risultato delle nuove evidenze, e con il futuro che da esse nascerà. Non solo siamo in mezzo ad una rivoluzione: la stiamo facendo.

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