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La consultazione sindacale nei trasferimenti d’azienda: la procedura ex articolo 47, L. 428/1990 #finsubito prestito immediato


Con il presente elaborato si esamineranno le disposizioni inerenti alla tutela dei lavoratori nei trasferimenti d’azienda. Preliminarmente, verranno osservate quelle residenti nell’articolo 2112, cod. civ., dopodiché, si vaglierà la procedura imposta dall’articolo 47, L. 428/1990, in caso di trasferimento d’azienda con organico superiore a 15 unità. In conclusione, ci si soffermerà sulle possibili deroghe adottabili nei trasferimenti d’imprese sottoposte a operazioni straordinarie.

 

Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda

Il Legislatore, nel regolamentare le conseguenze sui rapporti di lavoro a seguito del mutamento della titolarità di “un’attività economica organizzata”, ha attribuito all’articolo 2112, cod. civ., un carattere c.d. imperativo. In primo luogo, con il comma 1, viene disposto che “il rapporto di lavoro continua con il cessionario”. Viene, inoltre, previsto un mutamento automatico della titolarità del rapporto – senza lasciare spazio a una diversa volontà delle parti, ivi compresa quella del lavoratore che non può opporsi al trasferimento – con il mantenimento in capo al cessionario dei diritti che il lavoratore vantava nei confronti del cedente. La norma[1] stabilisce, altresì, che il cedente e il cessionario sono obbligati in solido per i crediti che il lavoratore vantava al momento del trasferimento. È fatta salva la facoltà del lavoratore, mediante le procedure ex articoli 410[2] e 411[3], c.p.c., di liberare il cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. Il cessionario sarà tenuto[4]: “ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti[5] da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario”.

Il datore di lavoro potrà comunque esercitare il recesso[6], ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, fermo restando che il trasferimento d’azienda, di per sé, non può configurare motivo di licenziamento. Nel caso in cui le condizioni di lavoro subiscano una sostanziale modifica nei 3 mesi successivi al trasferimento d’azienda, il lavoratore potrà rassegnare le proprie dimissioni c.d. per giusta causa – ex articolo 2119, comma 1, cod. civ. – con diritto all’erogazione dell’indennità sostitutiva del mancato preavviso e conseguente possibilità, ove ne ricorrano i requisiti di legge, di accesso alla NASpI. Il Legislatore[7] ha ritenuto opportuno fornire una definizione di trasferimento d’azienda, ai fini e per gli effetti dell’articolo 2112, cod. civ., da identificarsi in: “qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento[8].

Sul punto, la giurisprudenza è intervenuta più volte per definire quando si possa configurare una cessione d’azienda c.d. di fatto – egualmente soggetta all’articolo 2112, cod. civ. – ovvero in tutti i casi in cui la cessione non risulti da uno specifico atto negoziale, ma esclusivamente da elementi di fatto. La Suprema Corte, con sentenza n. 21481/2009, ha ricordato che con precedenti disposizioni[9] si è consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui: “deve intendersi come cessione di azienda il trasferimento di un’entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità e consenta l’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di uno specifico obbiettivo; al fine di un simile accertamento occorre la valutazione complessiva di una pluralità di elementi, tra loro in rapporto di interdipendenza in relazione al tipo di impresa, consistenti nell’eventuale trasferimento di elementi materiali o immateriali e del loro valore, nell’avvenuta riassunzione in fatto della maggior parte del personale da parte della nuova impresa, dell’eventuale trasferimento della clientela, nonché del grado di analogia tra le attività esercitate prima o dopo la cessione. … Si deve, quindi, verificare che si tratti di un insieme organicamente finalizzato “ex ante” all’esercizio dell’attività di impresa[10], di per sé idoneo a consentire l’inizio o la continuazione di quella determinata attività”.

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Appare evidente come nella disposizione non vi siano riferimenti ad atti negoziali, bensì agli elementi di fatto che configurano il trasferimento d’azienda e, conseguentemente, alla tutela dei lavoratori ex articolo 2112, cod. civ..

A livello europeo, la nozione di trasferimento d’azienda è stata definita con la Direttiva 2021/23/UE[11], per la quale: “è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria”.

In considerazione di quanto appena emerso, gli operatori di settore, nel valutare le attività da attuare in caso di trasferimento d’azienda, non possono limitarsi a verificare se vi sia o meno un atto negoziale che identifichi il passaggio della titolarità dell’attività d’impresa, ma dovranno indagare se vi sia la presenza di elementi di fatto che configurino il trasferimento. Uno dei casi più scivolosi si verifica quando un’azienda comunica agli organi competenti – anche per il tramite dei professionisti ai quali ha conferito mandato – la cessazione dell’attività d’impresa. Questo, in genere, comporta la necessità di procedere al licenziamento di tutto l’organico aziendale[12] per gmo, fondato, appunto, sulla cessazione dell’attività d’impresa. In taluni casi, si potrebbe verificare, a posteriori, che da parte di un’altra impresa venga svolta la medesima attività economica – negli stessi luoghi e con la stessa attrezzatura – in favore della precedente clientela. Questo configurerebbe una cessione d’impresa c.d. di fatto. Conseguentemente, il motivo a supporto dei licenziamenti, ovvero la cessazione dell’attività d’impresa, risulterebbe del tutto assente, generando – oltre che le conseguenze giuridico-economiche per la nullità dei licenziamenti – la soggezione dei rapporti di lavoro alle tutele di cui all’articolo 2112, cod. civ., in argomento.

 

Il trasferimento d’azienda con oltre 15 dipendenti

Con l’articolo 47, L. 428/1990, sono stati regolamentati gli adempimenti che il cedente e il cessionario sono tenuti a porre in essere quando intendono trasferire aziende, o parti di esse – ex articolo 2112, cod. civ. – nelle quali siano occupati, all’atto del trasferimento, complessivamente più di 15 dipendenti. Nel caso in cui il trasferimento riguardi il solo ramo d’azienda, considerato il significato letterale della disposizione normativa, non si evince chiaramente se il Legislatore volesse riferire il limite dimensionale al solo ramo oppure all’azienda nella sua interezza. La dottrina, che negli anni si è più volte espressa in merito, tende a riferire l’avverbio “complessivamente” a tutto l’organico aziendale. Si segnala, inoltre, che la giurisprudenza[13] ha imposto l’applicazione degli obblighi derivanti dall’articolo 47, L. 428/1990, anche a ipotesi in cui all’atto del trasferimento non vi fossero oltre 15 dipendenti, per il solo fatto che parte dell’organico si fosse dimessa con effetto dal giorno precedente alla cessione.

In questi trasferimenti d’azienda, il cedente e il cessionario devono darne comunicazione scritta[14] – con un preavviso minimo di 25 giorni rispetto al perfezionamento del trasferimento[15]: “alle rispettive rappresentanze sindacali unitarie, ovvero alle rappresentanze sindacali aziendali costituite, a norma dell’articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nelle unità produttive interessate, nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento”.

La locuzione “nonché” è chiara nel definire che la comunicazione debba essere inviata sia ai sindacati c.d. interni che a quelli territoriali. Nel caso di assenza delle Rsa, “resta fermo l’obbligo di comunicazione nei confronti dei sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi e può essere assolto dal cedente e dal cessionario per il tramite dell’associazione sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato”.

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La comunicazione dovrà contenere[16] le seguenti informazioni:

  1. la data o la data proposta per il trasferimento;
  2. i motivi del programmato trasferimento d’azienda;
  3. le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori;
  4. le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi.

Nei trasferimenti d’aziende, nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e delle procedure d’insolvenza – disciplinati dal D.Lgs. 14/2019 – la comunicazione preventiva appena osservata potrà essere effettuata anche solo da chi intenda proporre offerta di acquisto dell’azienda[17] o proposta di concordato preventivo concorrente con quella dell’imprenditore. In tal caso, l’efficacia degli accordi ex articolo 47, commi 4-bis e 5, L. 428/1990, che si esamineranno nel paragrafo seguente, potrà essere subordinata alla successiva attribuzione dell’azienda ai terzi offerenti o proponenti.

In relazione ai motivi del programmato trasferimento – da indicare nella comunicazione e in considerazione della ratio della norma – si ritengono necessari quelli che consentono il controllo del nesso tra le motivazioni e la scelta imprenditoriale. Questo per consentire alle organizzazioni sindacali di decidere se richiedere o meno l’esame congiunto. Infatti, le rappresentanze sindacali, o i sindacati di categoria, entro 7 giorni dal ricevimento dell’informativa potranno manifestare per iscritto, a entrambe le parti, la volontà di avviare un esame congiunto. Quest’ultimo dovrà essere convocato, sempre a cura o del cedente o del cessionario, entro ulteriori 7 giorni dalla richiesta pervenuta dalle parti sindacali. Al tavolo della consultazione dovranno necessariamente sedersi sia la parte cedente sia la parte cessionaria. La consultazione si riterrà esaurita con il raggiungimento di un accordo oppure, qualora le parti non lo abbiano raggiunto, decorsi 10 giorni dal suo inizio[18].

In caso di mancato rispetto della procedura appena esaminata, ivi incluse le tempistiche, sia da parte del cedente sia da parte del cessionario, si configura condotta antisindacale ai sensi dell’articolo 28, S. Lav.[19]. Sul punto la giurisprudenza, in termini sanzionatori, ha assunto 2 diversi orientamenti:

a) il primo[20], il meno recente e più rigido, tende a ritenere l’informazione e l’eventuale esame congiunto presupposto di legittimità del trasferimento, con la conseguenza che l’inadempienza lo renderebbe nullo; in questa circostanza i lavoratori resterebbero in forza all’azienda cedente;

b) il secondo, più recente e autorevole, ma meno rigido, tende a ritenere che in ogni caso il trasferimento sarebbe valido, salvo il verificarsi del comportamento antisindacale per la lesione del diritto d’informativa. Questo orientamento non la considera presupposto di legittimità del trasferimento. In questo caso, il trasferimento dei rapporti resterà sospeso sino a quando la procedura d’informazione e consultazione non verrà esaurita.

Gli obblighi d’informazione e di esame congiunto devono essere assolti anche nel caso in cui la decisione relativa al trasferimento sia stata assunta da altra impresa controllante, in quanto la mancata trasmissione da parte di quest’ultima non giustifica l’inadempimento degli obblighi in capo alle parti[21]. Ove nel corso delle consultazioni venga raggiunto un accordo[22], con finalità di salvaguardia dell’occupazione – fermo rimanendo il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro – l’articolo 2112, cod. civ., troverà applicazione per quanto attiene alle condizioni di lavoro, nei termini e con le modalità previste nell’accordo stesso, che potrà concludersi anche tramite la sottoscrizione di contratti collettivi, ex articolo 51, D.Lgs. 81/2015, sempreché il trasferimento riguardi aziende per le quali:

  1. vi sia stata la dichiarazione di apertura della procedura di concordato preventivo in regime di continuità indiretta[23] con trasferimento di azienda successivo all’apertura del concordato stesso;
  2. vi sia stata l’omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, quando gli accordi non hanno carattere liquidatorio.

Sono state previste ulteriori particolarità derogatorie[24], qualora il trasferimento riguardi imprese nei confronti delle quali vi sia stata apertura della liquidazione giudiziale o di concordato preventivo liquidatorio, ovvero emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata. In questi ultimi casi, i rapporti di lavoro continuano con il cessionario. Tuttavia – con finalità di salvaguardia dell’occupazione – si potranno sottoscrivere contratti collettivi, sempre ai sensi dell’articolo 51, D.Lgs. 81/2015, in deroga all’articolo 2112, commi 1, 3 e 4, cod. civ. Resta, altresì, salva la possibilità di stipulare accordi individuali, anche in caso di esodo incentivato dal rapporto di lavoro, da sottoscriversi nelle sedi di cui all’articolo 2113, ultimo comma, cod. civ.. Nelle ipotesi appena esaminate, ovvero dove non sia prevista la continuazione dell’attività, è stato, inoltre, previsto che non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 2112, comma 2, cod.civ., e, pertanto, la liquidazione del Tfr è immediatamente richiedibile alla parte cedente. In considerazione di quanto appena evidenziato, il Fondo di garanzia del Tfr, istituito presso l’Inps[25], interviene anche in favore dei lavoratori che passano senza soluzione di continuità alle dipendenze dell’acquirente. In questi casi, la data del trasferimento equivarrà quale data di cessazione del rapporto di lavoro, anche ai fini dell’individuazione dei crediti di lavoro diversi dal Tfr sempre garantiti dal Fondo di garanzia[26]. I richiamati crediti saranno liquidati, dal Fondo di garanzia stesso, nel loro ammontare integrale, indipendentemente dalla percentuale di soddisfazione stabilita[27] in sede di concordato preventivo.

Per quanto attiene, invece, ai trasferimenti inerenti a imprese ammesse all’amministrazione straordinaria, troverà applicazione la normativa speciale di riferimento[28].

Viene, infine, previsto un particolare regime di diritto di precedenza[29] – per i lavoratori che comunque non passano alle dipendenze dell’acquirente, dell’affittuario o del subentrante – nelle assunzioni effettuate entro un anno dalla data del trasferimento, ovvero entro il periodo maggiore stabilito dagli accordi collettivi. Nei confronti di questi lavoratori, nel caso di riassunzione da parte dell’acquirente, dell’affittuario o del subentrante, in un momento successivo al trasferimento d’azienda, non troveranno applicazione le disposizioni di cui all’articolo 2112, cod. civ..

 

Il trasferimento d’azienda in caso di crisi d’impresa  

Preme ricordare, innanzitutto, che la disciplina del trasferimento d’azienda in crisi, di cui all’articolo 47, L. 428/1990, è stata oggetto di recenti modifiche da parte dell’articolo 368, Codice[30]. Come abbiamo osservato nel paragrafo precedente, con i commi 4-bis, 5 e 5-bis dell’articolo 47, L. 428/1990, è stata disciplinata la gestione dei rapporti di lavoro, e dei relativi crediti, coinvolti in un trasferimento d’azienda in caso di crisi d’impresa.

Le disposizioni devono essere necessariamente lette in combinato disposto con quelle inerenti alle singole procedure concorsuali. Infatti – a differenza dell’articolo 2112, cod. civ., che disciplina il trasferimento d’aziende c.d. sanenei casi di crisi d’impresa vi è la necessità di un bilanciamento tra gli interessi dei singoli lavoratori al mantenimento del rapporto di lavoro, e dei relativi diritti, con altri, come, ad esempio, il diritto dei creditori a vedersi soddisfatti oppure quello generale, e sociale, al mantenimento dei livelli occupazionali o quello economico del rilancio dell’attività imprenditoriale in crisi. Questo è il motivo principale per il quale – a differenza di quanto disciplinato per le aziende in bonis, dove le tutele riguardano quasi esclusivamente gli interessi dei singoli lavoratori – nei passaggi societari nel corso delle procedure concorsuali è la legge stessa a consentirne il depauperamento a discapito dei lavoratori per agevolare il trasferimento d’azienda, che, in assenza di una simile concessione derogatoria, sarebbero talmente appesantite dalla massa debitoria da non attrarre l’interesse, nel passaggio della titolarità, da parte di altri operatori economici.

Un primo regime di deroga riguarda le aziende la cui attività continua in capo al cessionario e per le quali vi sia stata:

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  • la dichiarazione di apertura della procedura di concordato preventivo in regime di continuità indiretta, con trasferimento d’azienda successivo all’apertura del concordato stesso;
  • l’omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, quando gli accordi non hanno carattere liquidatorio;
  • la disposizione dell’amministrazione straordinaria, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività.

Per questa tipologia d’aziende trova applicazione la deroga ex comma 4-bis, a mente del quale, nel caso in cui sia raggiunto un accordo con finalità di salvaguardia dell’occupazione, fermo rimanendo il trasferimento dei lavoratori in capo alla parte cessionaria, l’articolo 2112, cod. civ., troverà attuazione, per quanto attiene alle condizioni di lavoro, nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo sottoscritto a conclusione dell’esame congiunto. La formulazione letterale potrebbe trarre in inganno, inducendo gli addetti ai lavori a pensare che le tutele dell’articolo 2112, cod. civ., siano limitate esclusivamente alle condizioni di lavoro. Contrariamente, la legge abilita l’accordo alla sola modifica delle condizioni di lavoro, mentre tutte le altre tutele, garantite dall’articolo 2112, cod. civ., come già esaminate, sono inderogabili e applicabili direttamente ai lavoratori trasferiti in capo al cessionario. A titolo esemplificativo, le parti potrebbero prevedere che i rapporti di lavoro siano trasferiti in capo all’acquirente con un nuovo, e diverso, assetto retributivo e d’inquadramento rispetto a quello in essere alla data del trasferimento della titolarità del rapporto di lavoro.

Gli altri regimi derogatori sono residenti nei commi 5 e 5-bis[31] dell’articolo 47, L. 428/1990, e sono adottabili esclusivamente nel caso in cui l’attività aziendale non prosegua, perché la continuazione non è stata disposta o perché l’attività è cessata. In queste ipotesi, i rapporti di lavoro continuano con il cessionario. Le aziende che possono beneficiare di questo regime derogatorio sono quelle per le quali è intervenuta:

  • l’apertura della liquidazione giudiziale o di concordato preventivo liquidatorio;
  • l’emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa.

Nel corso delle consultazioni sindacali le parti possono definire accordi[32], con finalità di salvaguardia dell’occupazione, derogando il principio della c.d. continuazione dei rapporti di lavoro ex articolo 2112, commi 1, 3 e 4, cod. civ.[33]. Resta sempre possibile la stipula di accordi individuali, da sottoscriversi nelle sedi c.d. protette di cui all’articolo 2113, cod. civ., anche in caso d’incentivazione all’esodo dei lavoratori. In queste ipotesi è, inoltre, esclusa la responsabilità solidale – ex articolo 2112, comma 2, cod. civ. – tra il cedente e il cessionario per i crediti che i lavoratori vantano al momento del trasferimento[34] e il Tfr è immediatamente esigibile nei confronti del cedente[35].

 

 

[1] Articolo 2112, comma 2, cod. civ..

[2] Rubricato: “Tentativo di conciliazione”.

[3] Rubricato: “Processo verbale di conciliazione”.

[4] Articolo 2112, comma 3, cod. civ..

[5] È bene ricordare che l’effetto della sostituzione si produce esclusivamente fra Ccnl del medesimo livello.

[6] Articolo 2112, comma 4, cod. civ..

[7] Articolo 2112, comma 5, cod. civ..

[8] Comma così sostituito dall’articolo 32, D.Lgs. 276/2003. Lo stesso articolo 32 ha, inoltre, disposto che restano fermi i diritti dei prestatori di lavoro in caso di trasferimento d’azienda di cui alla normativa di recepimento delle Direttive europee in materia.

[9] Sentenze n. 6452/2009, n. 5709/2009 e n. 5932/2008.

[10] Sentenza n. 1913/2007.

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[11] Si ricorda che nella Direttiva 2001/23/UE è stato travasato quanto previsto dalla Direttiva 1977/187/CE.

[12] A seconda delle dimensioni aziendali si verificheranno o dei licenziamenti individuali plurimi oppure un licenziamento collettivo che imporrà la gestione della relativa procedura d’informazione e consultazione sindacale ex L. 223/1991.

[13] Tribunale di Varese, 22 settembre 2011.

[14] Articolo 47, comma 1, L. 428/1990.

[15] Anche nel caso in cui si sia precedentemente raggiunta un’intesa vincolante tra le parti. Nel caso di fusione o scissione societaria, ad esempio, l’informazione e la consultazione sindacale devono seguire la delibera assembleare con la quale viene disposta l’operazione societaria, ma la comunicazione deve, in ogni caso, avvenire con un preavviso di 25 giorni rispetto all’atto di fusione o scissione.

[16] Il contenuto della comunicazione è frutto dell’attuazione della sentenza della Corte di Giustizia UE – causa C-235/84, sentenza del 10 luglio 1986 – che ha condannato l’Italia per il mancato adeguamento alla Direttiva 1977/187/CE.

[17] Articolo 47, comma 1-bis, L. 428/1990, inserito dall’articolo 368, comma 4, lettera a), D.Lgs. 14/2019.

[18] Articolo 47, comma 2, L. 428/1990.

[19] Articolo 47, comma 3, L. 428/1990.

[20] Cassazione, n. 23/2000, n. 9130/2003 e n. 2908/2016.

[21] Articolo 47, comma 4, L. 428/1990.

[22] Articolo 47, comma 4-bis, L. 428/1990.

[23] Ai sensi dell’articolo 84, comma 2, D.Lgs. 14/2019.

[24] Articolo 47, comma 5, L. 428/1990.

[25] In presenza delle condizioni previste dall’articolo 2, L. 297/1982.

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[26] Ai sensi dell’articolo 2, comma 1, D.Lgs. 80/1992, in attuazione della Direttiva 1980/987/CE.

[27] Nel rispetto dell’articolo 84, comma 5, D.Lgs. 14/2019.

[28] Articolo 47, comma 5-ter, L. 428/1990.

[29] Articolo 47, comma 6, L. 428/1990.

[30] D.Lgs. 14/2019, attuativo della delega per la Riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

[31] Il comma 5-ter è un mero rimando alla normativa speciale di riferimento nel caso in cui il trasferimento riguardi aziende ammesse all’amministrazione straordinaria.

[32] Ex articolo 51, D.Lgs. 81/2015.

[33] Comma 5.

[34] Comma 5-bis.

[35] Con possibilità di accesso al fondo di garanzia del Tfr, come osservato nei paragrafi precedenti.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Contratti collettivi e tabelle



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