Pietro Liberi (Padova 1605 – Venezia 1687) attribuito
Madonna col Bambino e farfalla
Olio su tela
75 x 58 cm
Opera pubblicata nel libro La chiesa dello ‘spedaletto’ in Venezia, pag. 97, come Pietro Liberi.
Opera corredata da uno studio del professore Giuseppe Maria Pilo, come Pietro Liberi. Disponibile via email.
Pietro fu quasi certamente allievo del Padovanino, dal quale nacque il suo amore per Tiziano. Poi si imbarcò per Costantinopoli vivendo anni avventurosi tra Grecia e Nord Africa, come soldato. Nel 1638, dopo molte peripezie, fu a Roma dove ebbe modo di rinverdire la sua passione per l’arte osservando il patrimonio pittorico della Città Eterna, accompagnato dall’amico Cavalier d’Arpino. In questo contesto vide il Giudizio di Michelangelo, le Stanze di Raffaello, gli affreschi di Annibale Carracci in Galleria Farnese e soprattutto, visti i suoi sviluppi pittorici, gli affreschi di Pietro da Cortona a palazzo Barberini, senza dimenticare il Bernini egemone nella Roma del tempo. Risalendo l’Italia operò a Siena e Firenze, passando per Parma dove ammirò in particolare il Correggio, a Bologna dove osservò Tibaldi e Niccolò dell’Abate a Palazzo Poggi. Non mancò una visita a Mantova dove studiò i riflessi raffaelleschi di Giulio Romano. Dal 1643 operò a Venezia e nel 1658 fu invitato a Vienna, dove l’imperatore Leopoldo I lo nominò conte palatino dell’impero. Dalla capitale asburgica si spostò in Ungheria, Boemia e Germania operando con successo e godendo di molta fama. L’anno seguente, oramai maturo e famoso tornò in patria dipingendo le sue opere più famose come il Serpente di bronzo nella cattedrale di San Pietro di Castello a Venezia e il soffitto della sagrestia nel duomo del Santo a Padova. Elemento fondamentale del Seicento veneto, seppe fondere con animo barocco l’eredità tizianesca con le spinte innovatrici portate da Sebastiano Mazzoni e Luca Giordano. A lui guardarono artisti come Gregorio Lazzarini, Antonio Bellucci e Paolo Pagani. Di riflesso a quest’ultimo la sua lezione fu organica alla formazione di Giovanni Antonio Pellegrini e Gianantonio Guardi. Furono suoi allievi il figlio Marco, Giuseppe Diamantini, Antonio Triva, Antonio Domenico Beverense e Federico Cervelli.
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