Prima di arrivare sulle nostre tavole sotto forma di cioccolato sono necessarie lunghe e faticose operazioni nelle piantagioni di cacao. Tutto il lavoro viene svolto manualmente dai dai coltivatori. I frutti (cabosse) maturano in tempi diversi e la loro raccolta, estrazione dei semi (fave), fermentazione ed essiccazione impegnano senza sosta gli agricoltori nel corso di tutto l’anno. Siamo di fronte a uno dei processi produttivi più complessi del settore agricolo e, per consentire alle preziose fave di raggiungere le industrie di trasformazione, si consumano forme di sfruttamento insostenibili nelle aree di produzione, in particolare in Costa d’Avorio e Ghana.
IN QUESTI DUE PAESI LE MULTINAZIONALI del cioccolato hanno ottenuto i profitti maggiori, mentre ai piccoli agricoltori e ai raccoglitori vanno le briciole del giro d’affari miliardario che ruota intorno al cacao. Il modello attuale delle colture da reddito (cacao, caffè) genera ricchezza nei paesi di trasformazione e povertà nei luoghi di produzione. Secondo uno studio dell’Università olandese di Wageningen, si assiste a una rete di sfruttamento lavorativo che porta la maggior parte dei coltivatori di cacao della Costa d’Avorio e del Ghana a vivere con meno di due dollari al giorno, al di sotto della soglia di povertà estrema fissata a 2,5 dollari dalla Banca mondiale. Gli attivisti dell’associazione umanitaria EcoCare Ghana in questi anni hanno lanciato numerosi appelli per sensibilizzare industrie e governi sulle condizioni di povertà di chi coltiva il cacao e si chiedono «come sia possibile che i coltivatori ricevano solo il 5-6% dei profitti realizzati sul mercato globale del cacao».
I PICCOLI AGRICOLTORI DEI PAESI dell’Africa occidentale sono quelli che forniscono alle industrie la quota maggiore di cacao, quasi il 70% del totale, ma sono i più penalizzati perché hanno scarso potere contrattuale e il prezzo lo fanno gli intermediari e le industrie di trasformazione. Anche quando il prezzo del cacao aumenta considerevolmente sul mercato internazionale, come è avvenuto nell’ultimo anno, i coltivatori non traggono benefici economici. Attualmente i contadini ricevono meno del 7% del prezzo finale che il cacao spunta sui mercati internazionali. Il settore del cacao, che ha fatto la fortuna di commercianti e industrie alimentari e che ogni anno genera un fatturato superiore ai 100 miliardi di dollari, non riesce a garantire un livello minimo di sussistenza a chi lo produce.
LE AUTORITA’ DEL GHANA HANNO aumentato negli ultimi due anni il prezzo garantito ai produttori, ma l’aumento serve solo a coprire l’inflazione che supera il 60% annuo. Il prezzo pagato ai coltivatori dalle industrie di trasformazione non può consentire in nessuna delle aree del cacao una produzione sostenibile e rispettosa dei diritti umani. L’Unicef ha indicato il settore del cacao come uno dei più critici per quanto riguarda il lavoro minorile. Lo sfruttamento minorile nella filiera del cacao è un fenomeno antico che non si è riusciti a sradicare, nonostante gli impegni sottoscritti da aziende e governi.
SECONDO I DATI DELL’ONG Slave Free Chocolate, un minore su quattro di quelli che vivono in Africa occidentale è stato impiegato nelle piantagioni di cacao. Nella sola Costa d’Avorio sono più di tre milioni i bambini che vivono nelle comunità legate alla filiera del cacao e molti di essi sono coinvolti nelle diverse operazioni. Non ci sono dati ufficiali, ma un report elaborato nel 2021 dal Centro nazionale di ricerca dell’Università di Chicago ha calcolato in 1,6 milioni i minori compresi tra i 5 e i 17 anni che in Costa d’Avorio e Ghana partecipano direttamente alle attività di raccolta e trattamento dei frutti, ma anche nello spargimento di pesticidi e fertilizzanti. La maggior parte di essi non ha mai visto una barretta del cioccolato che viene proposto in tutte le forme e dimensioni nei nostri supermercati. Molte ricerche hanno messo in relazione come il lavoro minorile sia più diffuso nelle aree in cui sono più bassi i redditi dei coltivatori e più precarie le loro condizioni di lavoro. Per molto tempo le industrie del cioccolato hanno negato il problema dello sfruttamento del lavoro minorile e solo nel 2001 è stato firmato il primo protocollo che avrebbe dovuto eliminare entro il 2005 questo fenomeno nell’Africa occidentale.
ALTRI PROTOCOLLI SONO STATI FIRMATI in questi ultimi 20 anni, ma le organizzazioni dei diritti umani presenti in Africa continuano a denunciare il ricorso a minori nelle piantagioni di cacao. I progetti volti a migliorare la sostenibilità del cioccolato e il rispetto dei diritti umani si scontrano con i redditi da fame dei coltivatori. Un report di Oxfam del maggio 2023 ha analizzato il mercato del cacao in Costa d’Avorio e Ghana negli anni della pandemia. Quello che emerge è che, a partire dal 2020, le società del cioccolato che operano nell’area hanno viso salire i loro utili con un incremento medio annuo del 16%. Nel contempo, una indagine svolta su un campione di 400 coltivatori del Ghana ha messo in evidenza che il loro reddito, nello stesso periodo, era diminuito del 20%, avendo sempre meno risorse disponibili per i bisogni essenziali.
L’«INTERNATIONAL COCOA INITIATIVE» ha documentato che proprio durante la pandemia si è accentuato il ricorso al lavoro minorile per compensare il calo di reddito dei coltivatori. Attualmente è in corso una class action avviata da International Rights Advocates nei confronti di tre grandi industrie del cioccolato (Mars, Cargill, Mondelez) presso la Corte distrettuale Usa della Columbia per aver impiegato nelle piantagioni di cacao del Ghana bambini e minori di età compresa tra i 6 e i 16 anni. L’accusa è di sfruttamento del lavoro minorile con esposizione a pesticidi senza dispositivi di protezione. La class action è aperta a tutte le persone che hanno svolto un lavoro manuale nelle piantagioni a partire dal novembre 2020.
NEL 2017 L’UNIONE EUROPEA aveva stabilito che, entro il 2025, l’80% del cacao importato deve provenire da fonti sostenibili, ma ancora non c’è nessun obbligo di indicare sulle confezioni di cioccolato la provenienza della materia prima. Nel 2023 il Consiglio della Ue e il Parlamento europeo hanno varato norme che impegnano le aziende che operano in Europa a «porre fine o mitigare gli impatti negativi che le loro attività hanno sull’ambiente e sui diritti umani», come deforestazione, sfruttamento di mano d’opera, ricorso al lavoro minorile. Una realtà complessa quella che sta dietro le tavolette di cioccolato e la sostenibilità del cacao, sbandierata dalle industrie trasformatrici, è più di facciata che sostanziale.
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