Migrazione, solidarietà, avventura. È al cinema il nuovo film del Premio Oscar Gabriele Salvatores dal titolo Napoli – New York. Una storia che arriva direttamente da un baule del passato e da un soggetto inedito del 1948 a firma di Federico Fellini e Tullio Pinelli. Si tratta della favola di due bambini che dalla Napoli del Dopoguerra, povera, distrutta e senza futuro certo, intraprendono un viaggio verso New York, verso il grande e colorato sogno americano. Napoli – New York è un film a metà tra il neorealismo cinematografico e la commedia italiana. È un racconto, scritto e visivo, che parla di noi italiani ma più in generale di tutti coloro che lasciano il proprio luogo di origine in cerca di speranza, felicità e nuove opportunità. Un film per tutti, seppur girato ad altezza di bambino. Tutto in questa storia è costruito e sta insieme in un’armoniosa e sfrontata fanciullezza oltre che leggerezza. Anche perché in questo racconto nessun personaggio piange (anche se i motivi ci sarebbero tutti). All’aspetto visivo di Napoli – New York – in cui fino ai 5 metri di altezza è tutto reale e dopo ci sono effetti speciali – ha contribuito anche e soprattutto Rita Rabassini. Collaboratrice da tempo immemore di Gabriele Salvatores, firma una scenografia buia, ma luminosa, cupa ma incantevole. È lei una delle risorse e artigiane del cinema che ha accompagnato il regista in questo viaggio transoceanico, che in realtà non è andato molto lontano da casa nostra. Il film è infatti stato girato tra Napoli, Trieste, gli studi di Cinecittà a Roma e Rijeka in Croazia.
E quindi la New York che vediamo è in realtà Trieste.
Quando con Gabriele abbiamo deciso che non saremmo andati in America, anche perché il budget non ce l’avrebbe nemmeno permesso, e poi l’America non è più quella di fine anni ‘40, abbiamo pensato subito a Trieste. È una città che conosciamo molto bene. Ci sono dei palazzi dei primi del 900, di mattoni insomma… Ha delle cose che ricordano molto la New York di quel tempo e soprattutto il Porto Vecchio la ricorda. Noi l’abbiamo creata per quella che era, ma anche un po’ improvvisando… Immaginandoci anche delle cose che magari a New York non ci sono, ma che a Trieste rimandano a quell’idea lì. Poi si è trattato anche di cambiare quello che c’era già, come cambiare gli arredi, costruire delle cose che non ci sono insomma.
In che modo dialogano in questo film la scenografia e gli effetti speciali?
È stato un dialogo parallelo che nasce addirittura durante i sopralluoghi. Da quando abbiamo deciso di stare in Italia in pratica. Io ho scenografato fino a 5/6 metri di altezza e poi i palazzi sullo sfondo, nelle inquadrature a Trieste e quindi in esterno, sono stati aggiunti in un secondo momento, in post produzione. È stato un dialogo continuo, dall’inizio alla fine. Nel senso che è proseguito, appunto, anche dopo la fine delle riprese anche perché questi sono lavori lunghi e quindi ci siamo sempre interfacciati.
A Napoli dove vi siete mossi? Era da Denti che Salvatores non tornava a girare nella sua città.
Siamo arrivati a Napoli che era tutta a righe bianche e celesti, perché avevano da poco vinto lo scudetto quindi abbiamo dovuto veramente fare i salti mortali… Abbiamo dovuto ritinteggiare delle cose e stendere molte lenzuola per coprire i condizionatori dell’aria. Abbiamo lavorato nel Rione Sanità, che è un quartiere in cui certe strade sono rimaste, in parte, come un tempo anche se in alcuni casi ho mascherato con delle porte fatte di legno vecchio, con delle assi robuste. E seppur non sia stato facile entrare nelle case delle persone, devo dire che sono stati tutti davvero molto gentili.
Va detto però che ha fatto un grandissimo lavoro con la nave che porta Carmine e Celestina a New York.
Alcuni interni della nave li ho ricostruiti a Trieste in vecchi palazzi. Il ristorante della prima classe, dove Carmine si affaccia, è in realtà un salone di un palazzo storico di Trieste, mentre la cucina l’abbiamo girata in una pasticceria. La nave vera e propria era a Rijeka, e doveva ancora essere sistemata. Si tratta di una nave da guerra del 1918, più o meno, che serviva per il trasporto delle banane e poi fu armata per la guerra, fu affondata e in seguito Tito ne fece il suo transatlantico.
Fellini dopo essere stato a NY ha scritto che l’avrebbe potuta rappresentare solo nella sua comfort zone e quindi “a Cinecittà, nel Teatro 5, dove qualunque rischio io affronti trovo sempre a proteggermi la rete delle mie radici”. Nel 2024, più in generale, cosa è più sfidante per uno scenografo, lavorare in studio o sul territorio?
Io amo molto attaccarmi al territorio e usare come teatri alcune costruzioni anche abbandonate. Preferisco non buttarmi dentro a un teatro anche se, in questa circostanza, per esempio, siamo stati a Cinecittà per girare i cunicoli della nave, quelli in cui si muove Carmine per andare in giro in cerca di cibo. Girare quelle scene lì in studio, è stato molto comodo però io amo andare alla ricerca del già costruito perché mi dà una base. I muri, le crepe… è chiaro, sennò altrimenti le devo ricostruire.
Come è avvenuto per la casa del personaggio interpretato da Favino?
Sì, l’ho ricostruita all’interno del Porto Vecchio di Trieste, in una meraviglioso palazzo dei primi del 900 che, tra l’altro, ora hanno buttato giù, perché era tutto decadente. È lo stesso luogo in cui abbiamo girato anche altri film con Salvatores, come Comedians. Lì dove abbiamo ricostruito la casa di Domenico Garofalo c’era, durante il periodo del Covid, l’aula di Comedians. Il Porto Vecchio è stato una sorta di Cinecittà, che ora però sta scomparendo perché sta cambiando vita e gli spazi sono maggiormente usati per la città.
Napoli New York ci ricorda che siamo tutti Paisà. Cosa l’ha quindi colpita di più di questa storia?
Sono figlia di genitori che sono emigrati in Brasile nei primi anni del dopoguerra. Mio padre aveva dei parenti che vivevano là e quindi non hanno fatto quel viaggio lì, ma comunque è un tema che mi ha coinvolto, e che credo coinvolga tutti perché milioni di italiani se ne sono andati in quel periodo. E poi i bambini, la loro storia, il coraggio, la solidarietà che trovano in un’America che è un paradiso ai loro occhi. Sono bambini che vengono via da una città bombardata, in cui non hanno più nessuno, neppure una casa dove vivere. E in questo film c’è anche l’avventura proposta da questa partenza, dalla sensazione di andare a scoprire un mondo nuovo, con molte più possibilità di vita, proprio come hanno fatto molti italiani. A Trieste il set di Napoli – New York si è svolto nelle seguenti location: Palazzo Carciotti, Porto Vecchio, Salone degli Incanti, Stazione Marittima, Palazzo Berlam, Piazza S. Giovanni, Chiesa S. Antonio, Caffè San Marco, Palazzo Vivante, Pasticceria Bomboniera, Stock e gli esterni del Savoia Excelsior Palace.
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