di Carlo Baroni
PONTE A EGOLA (Pisa)
La crisi affonda il morso, le filiera della moda è in affanno, e c’è il rischio di uno stillicidio di posti di lavoro. La potenziale ripartenza resta lontana. Mentre la politica dibatte e le imprese attendono risposte. Ne parliamo con Michele Matteoli, presidente del Consorzio Conciatori di Ponte a Egola, una delle realtà che è motore del Comprensorio pisano della pelle, del cuoio e della calzatura dove il comparto conta circa 6mila addetti e vale oltre un miliardo e mezzo di fatturato.
Presidente, quali scenari abbiamo davanti?
“Le difficoltà sono sul tavolo di tutte le imprese, anche di quelle controllate dai grandi brand. Nulla, ad oggi, ci parla di cambiamenti a breve. E’ chiaro che, probabilmente, i numeri di prima non torneranno più”.
Se fosse così, quali possibilità ci sono per traghettare il distretto nel futuro?
“Siamo davanti ad aziende che hanno una buona flessibilità. Questa caratteristica è un’opportunità che dobbiamo sfruttare al massimo, operando su costi e modalità di lavoro, per essere competitivi sui mercati anche con volumi minori”.
I sostegni delle istituzioni restano fondamentali?
“Sì, anche per riorganizzarci. Ora è il momento dell’unità, bisogna essere compatti al di là dei colori politici: c’è da salvare un mondo che ha dimostrato grande valore. Qui, nel distretto, le più prestigiose maison, non solo acquistano pelle e cuoio, ma sono entratie anche nel capitale di alcune imprese o, addirittura, ne hanno preso il totale controllo; perché qui c’è l’alta qualità unità alla sostenibilità. Tutto questo si traghetta nel futuro se tutti remiamo nella stessa direzione”.
Alcune misure sono state varate. Ma c’è polemica. Lei cosa ne pensa?
“La cassa integrazione è stata deliberata, ma si poteva fare di più. Questa congiuntura si annuncia lunga e se le aziende restano scoperte rischiano di dover rinunciare a personale specializzato che è il nostro vero patrimonio. Sul tavolo c’era poi la questione della moratoria sui finanziamenti, rimasta al palo anche per aspetti tecnici di attuazione”.
Il 2024 si chiuderà con perdite importanti. Quale 2025 ci aspetta?
“Le perdite oscilleranno fra il 20 e il 30%. Il 2025 sarà difficile: nulla, per ora, ci parla di lavoro. Le tensioni internazionali non aiutano. A questo vanno aggiunti altri fattori: è cambiato il modo di approcciarsi alla moda e al lusso da parte delle giovani generazioni; l’aumento esasperato dei prezzi da parte delle firme, inoltre, non è andato di pari passi all’esclusività. Poi c’è la partita dell’Oriente, che per alcune aziende vale il 40% del giro d’affari, e che ha attuato politiche di forte protezione della proprie produzioni”.
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