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Stellantis non è l’unica in crisi, da Ford a Volkswagen, tutti i tagli dell’automotive #finsubito prestito immediato


Il mercato dellautomotive sta vivendo un periodo molto difficile in Europa. Una serie di fattori ha portato a repentini cali nelle vendite delle automobili, soprattutto di quelle elettriche. Questa crisi ha costretto le grandi case automobilistiche europee a ripensare una parte del proprio modello di business, cercando nel risparmio e nei tagli alle spese il mancato profitto dovuto ai minori margini che i Bev garantiscono rispetto alle loro controparti a benzina.

La prima a cedere e a chiudere uno stabilimento è stata Volkswagen, che sembra pronta a continuare sulla strada della razionalizzazione del gruppo, che assomiglia sempre più a una ristrutturazione aziendale. Anche Ford e Mercedes hanno però annunciato grandi licenziamenti e tagli al personale in tutto il continente. Stellantis per il momento non ha ancora licenziato nessun dipendente, ma il ricorso alla cassa integrazione è stato importante in Italia. E la crisi ha già reclamato la sua prima vittima: Northvolt.

Le ragioni e le conseguenze della crisi dell’auto in Europa

Fin dall’inizio del 2024 il mercato delle automobili in Europa è in difficoltà. L’esordio della crisi combacia con la fine dei grandi incentivi che avevano spinto l’acquisto di auto, non solo elettriche, per il 2022 e il 2023. Molti governi si aspettavano che, dopo gli aiuti iniziali, i consumatori avrebbero risposto alle offerte delle aziende produttrici dando il via alla transizione ecologica verso l’ibrido e l’elettrico. Le vendite sono però rimaste ferme inizialmente, per poi cominciare a calare.

Inflazione, insicurezze sulle performance delle auto elettriche e sulla copertura delle reti di rifornimento e la concorrenza cinese sono stati tra i fattori centrali di questa crisi, che riguarda però anche da vicino i grandi gruppi automobilistici. Pressati dalle regole molto stringenti dell’Ue, i colossi dell’auto europea non sono stati in grado di creare prodotti che riuscissero a competere, il prezzo o in appeal, con quelli delle case cinesi o di Tesla. Il mercato si è così fermato e le aziende hanno cominciato a tagliare per rientrare delle perdite.

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I grandi tagli di Volkswagen

La prima grande azienda automobilistica ad agire in maniera decisa è stata Volkswagen. A farne le spese è stato l’impianto di Bruxelles, dove si producevano modelli di Audi, chiuso definitivamente a partire da febbraio del 2025. Ma si trattava solo del primo passo: l’obiettivo è quello di risparmiare 5 miliardi di euro e non si escludono né licenziamenti né chiusure di impianti anche in Germania.

Il problema centrale secondo la dirigenza sarebbe il costo del lavoro. Anche se il gruppo ha fatto calare il peso di questa voce di spesa dal 18.2% al 15,4% del fatturato in un solo anno tra il 2022 e il 2023, il dato rimane molto più alto rispetto al quelli dei competitor, che non superano l’11%. I licenziamenti quindi incombono, ma i sindacati tedeschi si stanno muovendo per evitarli. I lavoratori di Volkswagen vorrebbero infatti presentare un piano alla dirigenza di riduzione degli stipendi volontaria per salvare le fabbriche in Germania.

Licenziamenti per Ford e Mercedes

La crisi del mercato dell’auto in Europa ha colpito anche aziende straniere, come Ford. Il colosso americano, che non sta riuscendo a competere con Tesla sulle auto elettriche negli Usa, ha annunciato un taglio di 4mila posti di lavoro nei suoi stabilimenti in Germania e Regno Unito. Nell’annunciare la decisione ha anche rimproverato a Londra e Bruxelles di non avere un vero e proprio piano a lungo termine per la mobilità sostenibile e che questo sta compromettendo l’industria dell’auto.

La crisi resta in Germania, perché anche Mercedes ha annunciato pesanti tagli alla spesa per rientrare dei mancati introiti recenti. La comunicazione del colosso tedesco è stata piuttosto vaga, ma si parla di diversi miliardi all’anno di riduzioni delle uscite, un’espressione che fa temere ai sindacati che si possa arrivare a licenziamenti di massa simili a quelli annunciati da Ford o addirittura alla chiusura di alcuni stabilimenti.

La situazione di Stellantis

Tra le grandi aziende europee, Stellanti sta tenendo un atteggiamento diverso. Non ha, per il momento, mai criticato il piano europeo di transizione ecologica. Al contrario, l’amministratore delegato Carlos Tavares ha sempre affermato che la società rispetterà gli obblighi imposti da Bruxelles. L’unico appunto è diretto ai governi dei singole Stati membri, per la mancanza di incentivi all’acquisto delle auto elettriche. Anche per quanto riguarda i tagli alle spese, Stellantis sta seguendo una strada diversa.

L’azienda non ha annunciato piani di ristrutturazione in Europa e sta invece tentando di mantenere aperti i suoi impianti specialmente nei Paesi da cui hanno origine i propri marchi più famosi, Italia e Francia. Le difficoltà però rimangono, come testimonia un anno di cassa integrazione e orari ridotti quasi continuo a Mirafiori e la recente decisione di chiedere una settimana di cassa integrazione aggiuntiva a dicembre per lo stabilimento di Termoli.

La prima vittima: Northvolt

La crisi del settore automotive ha già però fatto la sua prima vittima. L’azienda svedese, con sede anche negli Usa, Northvolt ha infatti chiesto il Chapter 11, l’amministrazione straordinaria per le imprese in grande difficoltà ad appianare i propri debiti in vigore negli Stati Uniti. Northvolt era rimasta con meno di 30 milioni di euro di liquidità a fronte di oltre 5 miliardi di debiti. Da mesi cercava di ottenere un finanziamento che però non è arrivato né dal governo svedese né dalle grandi aziende automobilistiche, che erano i suoi principali investitori.

Northvolt era infatti considerata la grande speranze dell’elettrico europeo. Avrebbe dovuto competere con Tesla e con le aziende cinesi sul fronte delle batterie al litio che alimentano le auto elettriche. Molti grandi gruppi europei avevano creduto nel progetto, guidato proprio da due ex manager di Tesla, che aveva creato la sua prima fabbrica in Svezia, poco lontano dal Circolo Polare Artico. Il crollo del mercato ha però reso impossibile la realizzazione dei piani iniziali.

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L’idea di vendere batterie alle grandi aziende dell’automotive europea è saltata quando è diventato palese che le vendite di Bev, veicoli esclusivamente a batteria, non avrebbero ripreso volumi per tutto il 2024. Strozzate dalla crisi, le stesse società che avevano investito in Northvolt si sono rifiutate di mettere a disposizione altro denaro per tenerla a galla. Costretta a interrompere la fase di ricerca e sviluppo, l’azienda svedese ha provato a concentrarsi sulla produzione, ma senza successo.





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