CREMONA – Pace fatta tra l’ex raffineria Tamoil, la canottieri Flora da un lato, il Dopolavoro ferroviario dall’altro. L’una e l’altro rinunceranno alle cause in corso. I motivi degli accordi sono differenti. Flora. A maggio di quest’anno, la Corte d’appello di Brescia aveva dato ragione a Tamoil, ribaltando la sentenza del Tribunale di Cremona di condanna del colosso libico a risarcire la canottieri Flora con 67mila euro: la differenza delle maggiori spese sostenute dalla società in riva al Po per l’acqua pubblica attinta dall’acquedotto tra il 2007 e il 2009. Per attingere e utilizzare l’acqua pubblica ci vuole, infatti, la concessione.
Ma in giudizio, Flora non aveva prodotto il provvedimento, ma la domanda per ottenere la concessione, inoltrata nel 1993 a Regione Lombardia. Non è bastato. E senza la prova della concessione, il risarcimento era stato azzerato. Canottieri e raffineria hanno rinunciato a ricorrere in Cassazione. Questione chiusa, definitivamente. Ha sotterrato l’ascia anche il Dopolavoro ferroviario non più interessato a chiedere risarcimenti, grazie a un accordo raggiunto con Tamoil sulla strada di accesso al Dlf di proprietà della raffineria.
Nel civile, restano invece aperti altri due fronti: le battaglie sui risarcimenti chiesti per un verso dalla canottieri Bissolati, per un altro dal ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (Mase). Bissolati. Convinta del «mal funzionamento» della barriera idraulica, la canottieri ha portato davanti al giudice Tamoil per ottenere il risarcimento dei danni «subiti in questi anni, che sta ancora subendo e che continuerà a subire fintantoché il passaggio delle sostanze inquinanti provenienti da Tamoil continuerà e l’area della Bissolati non verrà ripulita dagli idrocarburi presenti nel sottosuolo e nella falda».
A luglio scorso, la Cassazione aveva dato ragione alla Bissolati, respingendo il ricorso promosso da Tamoil Italia e Tamoil Raffinazione, secondo cui competente era il giudice amministrativo.
Mase. Una causa per chiedere il risarcimento danni a Tamoil ora l’ha intentata il ministero, rimasto ‘sordo’ negli ultimi 12 anni: dal 2012, quando a Cremona, davanti al gup, Guido Salvini, cominciò il processo penale (in abbreviato) sul disastro ambientale causato dall’ex raffineria con la rete fognaria ‘gruviera’. All’epoca, il Mase fu sollecitato a costituirsi parte civile.
Silenzio, anche negli anni successivi: inascoltate le interrogazioni parlamentari dell’allora deputato dei Radicali, Maurizio Turco, la richiesta avanzata, a marzo 2016, dall’ex assessore all’Ambiente Alessia Manfredini, e la nota inviata al ministero, a giugno del 2022, dal sindaco Gianluca Galimberti per sollecitare l’avvio di un’azione civile finalizzata al risarcimento del danno ambientale. Nel processo penale, il Comune (giunta Perri) non si costituì parte civile.
In prima battuta, lo fece il cittadino – esponente dei Radicali Gino Ruggeri, poi sostituito, in appello e in Cassazione, dal Comune (giunta Galimberti). Tamoil fu condannata a risarcire l’ente con una provvisionale (immediatamente esecutiva) di 1 milione per il danno di immagine e per i costi sostenuti nel procedimento amministrativo. Nella causa civile, a dicembre 2023, è stato raggiunto l’accordo sul risarcimento totale: 1,4 milioni versati da Tamoil al Comune, accordo perfezionato davanti al giudice, che aveva formalmente invitato le parti a valutare l’opportunità di conciliare la controversia, proponendo, egli stesso, la somma di 1,4 milioni.
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