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Alberto Masotti dell’intimo La Perla: «Sharon Stone chiese lingerie verde come i suoi occhi, il bikini arancione di Halle Berry in 007 era nostro e andò sold out» #finsubito prestito immediato


di
Vittoria Melchioni

L’ex presidente del gruppo lanciò l’intimo di lusso: «La generazione Z percepisce i corpi in modo diverso da chi indossava i nostri capi. Gli spot di oggi? Hanno movenze che vorrebbero essere seduttive ma non lo sono»

Con un evento nell’avveniristico quartier generale della Fondazione Fashion Research Italy, in occasione del 70° anniversario di La Perla, a 88 anni Alberto Masotti – ex presidente dell’azienda e attuale presidente della Fondazione – ha presentato il suo libro di memorie, «La nostra Perla», pubblicato da Edizioni Minerva. 

L’opera si propone come un omaggio alla storia e all’eredità di La Perla, marchio iconico della lingerie di lusso italiana, fondata nel 1954 a Bologna da Ada, la madre di Alberto, soprannominata «forbici d’oro» per la sua abilità artigianale. 




















































«Per me era venuto il tempo di comportarmi come l’ostrica, che si apre nelle profondità oscure del mare e lascia intravedere una meraviglia di un bagliore straordinario e dalla forma perfetta: la Perla»  le parole del Cavaliere del lavoro che introducono una narrazione che si apre «come una conchiglia», rivelando un tesoro fatto di storie, aneddoti e ricordi che riportano alle origini di un’impresa nata come un piccolo laboratorio di corsetteria

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Da quell’atelier è partito il sogno che si è trasformato in un’azienda internazionale di lingerie, capace di conquistare un pubblico globale grazie alla raffinatezza e alla qualità dei suoi prodotti. «Quella storia mi stava chiedendo di essere raccontata condivisa da quante più persone possibili» – racconta. Masotti, che nel 2007 cedette il 70% del gruppo al fondo americano di private equity JH Partners per poi vender loro anche il restante 30%, è rimasto un grandissimo osservatore delle tendenze, non solo in fatto di lingerie. Il marchio nel tempio è entrato in una grave crisi aziendale. 

Cavaliere come mai oggi non si dà più tanta importanza alla qualità dell’abbigliamento intimo?
«Stiamo attraversando un periodo molto difficile, dove il potere d’acquisto della classe media è ulteriormente diminuito e quindi si indirizza verso determinati prodotti che non hanno più l’ossessiva qualità artigianale che avevamo noi, per esempio. Questo vale anche per la moda in generale: ci sono i brand di lusso che si avvalgono ancora delle maestranze preparate e abili e poi, subito dopo, c’è il fast fashion. In seconda battuta, bisogna anche tener conto dei cambiamenti sociali che hanno riguardato le donne: la generazione Z percepisce il proprio corpo in modo diverso da come lo facevano le donne che indossavano La Perla».

È cambiato anche lo stile della lingerie: più funzionale e meno elegante.
«Uno dei nostri obiettivi era quello di dare libertà alla donna con capi sì comodi da indossare, ma che fossero anche scintille di seduzione, mai volgari».

A proposito di volgarità, sui social le immagini di dubbio gusto relative all’underwear dilagano ormai.
«Penso solo a come vengono reclamizzati certi collant, con movenze che vorrebbero essere seduttive ma non lo sono, e riguardo ai completi intimi, ai body si vede dallo schermo che sono realizzati con tessuti di scarsa qualità che non durano più di sei, otto mesi a seconda di quanti lavaggi subiscono».

All’evento di presentazione del suo libro c’erano molte ospiti che hanno confessato di avere ancora nel cassetto capi La Perla, belli come il primo giorno in cui li hanno acquistati.
«La resistenza dei capi che abbiamo prodotto anche trenta, quaranta anni fa è frutto della qualità dei tessuti che utilizzavamo e della maestria dei nostri artigiani. Il nostro pizzo era eterno. I nostri elastici non cedevano».

Cosa pensa della lingerie contenitiva che sta facendo la fortuna di celebrità tipo Kim Kardashian?
«Mi devo ripetere: sono prodotti che non hanno lo sguardo artigianale. Sono tutte fibre sintetiche che fanno il loro lavoro di contenimento, ma sicuramente non sono per nulla seducenti».

Tantissime celebrità hanno indossato la sua lingerie. Chi ricorda con maggior piacere?
«Claudia Cardinale, Sophia Loren, Monica Bellucci, Sharon Stone, Victoria Beckham, solo per citarne alcune».

Ci racconta un aneddoto che le riguarda?
«Un giorno, nella nostra boutique a New York, entrò Sharon Stone. Guardò molti capi e ad un certo punto si rivolse alla direttrice del negozio, chiedendo di poter avere una collezione declinata nel colore dei suoi occhi che sono di un particolare punto di verde. Ricevemmo subito in sede la telefonata da New York e ci mettemmo immediatamente all’opera per realizzare i capi richiesti dalla diva di Basic Istinct. Una volta consegnati, rimase affascinata dalla piccola collezione e ci fece recapitare un’enorme camelia bianca contenuta in un prezioso vaso».

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Non solo donne, anche 007, Daniel Craig ha indossato Grigio Perla, la linea maschile che producevate.
«Assolutamente sì. Nel 2006 in Casino Royale ha indossato un costume da bagno Grigio Perla che venne poi battuto all’asta da Christie’s nel 2012 per 44,450 sterline. Sempre parlando di 007 anche il famoso bikini arancione indossato da Halle Berry in “La morte può attendere” l’avevamo realizzato noi, andò sold out in tutti i nostri negozi».

Cosa pensa del concetto di «body positivity»?
«Noi abbiamo sempre fatto i nostri capi per soddisfare ogni tipo di fisicità. Ogni donna con ogni tipo di fisico aveva il diritto di sentirsi seducente e a suo agio con la nostra lingerie».

Nel 1994 lancia il reggiseno Sculpture, di lycra.
«Fu un successo enorme, ne vendemmo più di un milione di pezzi. Era un prodotto perfetto che bilanciava seduzione, comfort e tecnologia. Poi un brand americano, che non cito, copiò la nostra idea realizzandola con un materiale meno nobile del nostro».

Dopo la cessione dell’azienda, si sta dedicando alla Fondazione. Cosa state preparando?
«Da un anno stiamo preparando un evento molto importante in favore della nostra Garisenda. La sua drammatica situazione mi ha spinto a documentarmi. Ho approfondito la storia di Bologna dal Villanoviano al Medioevo, con uno studio particolare all’epoca in cui la città era la capitale della seta senza eguali in Europa. Stiamo organizzando una mostra proprio sulla Bologna della seta, che aprirà i battenti nel 2025 e parte del ricavato andrà a favore del restauro e consolidamento della nostra amata torre».

25 novembre 2024

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