«Dai soprusi e dalle intimidazioni la violenza è a un passo, quasi non la vedi arrivare e il rischio è poi di subirla inerme, di assuefarti a quella situazione».
Lo racconta Silvia, nome di fantasia, 38 anni, originaria del Nord Italia, sopravvissuta a un sicuro femminicidio grazie a un centro antiviolenza in Sardegna: «Aiutare anche una sola donna a chiedere aiuto – spiega all’ANSA – prima che sia troppo tardi e si arrivi a un punto di non ritorno, la sudditanza psicologica è già una chiara avvisaglia». Spesso, ricorda, vedeva affissi sui muri della sua città i manifesti antiviolenza «Ho pensato un sacco di volte di chiamare quei numeri, ma non lo ho fatto perché – confessa – avevo paura di perdere i miei figli se avessi deciso di abbandonare quell’inferno chiuso fra le quattro mura domestiche».
Alla fine ha trovato il coraggio di dire basta e ha deciso di andare lontano, nell’Isola. «Sono stata accolta in una casa protetta con i miei bambini – racconta – pian piano, attraverso un percorso difficile, a tratti doloroso ma costruttivo, ho riconquistato la dignità e la libertà». Ora Silvia, rientrata a a casa, ha un lavoro, tanti amici e amiche, tanti interessi, i viaggi, le escursioni in montagna, la scrittura, la fotografia. «Mi sono ripresa la mia vita – dice sicura – Se mi sono salvata devo dire grazie al centro antiviolenza in Sardegna e prima ancora ad una psicologa a cui mi ero rivolta perché ero preoccupata per le conseguenze della situazione che stavo vivendo, per i miei figli. Mi ha detto che in realtà quella in pericolo ero io, convincendomi a rivolgermi a un centro antiviolenza».
Tre figli ancora minorenni, un matrimonio violento alle spalle. «Con mio marito ci siamo conosciuti da ragazzini – rievoca – Avevo sempre tra le dita la sua fotografia, la guardavo con gli occhi dell’amore. Non potevo immaginare che insidia si nascondesse dietro quel sogno romantico. Le avvisaglie c’erano tutte, ma io le sottovalutavo». Silvia racconta di una relazione possessiva, fatta di divieti, imposizioni: «Mi ripeteva ‘devi essere una brava ragazza, non indossare la minigonna, niente scollature, niente uscite con le amiche, e dopo la scuola subito a casa’. Poi è arrivato il matrimonio, i figli, e le violenze, prima psicologiche e poi man mano anche fisiche. Mi aveva isolato da tutti, persino dai miei familiari e non potevo disporre neanche di pochi euro per fare la spesa. Tutto era controllato da lui. Ogni mia piccola insubordinazione veniva punita inizialmente con musi e silenzi. Ero del tutto sottomessa. Ma non mi rendevo conto, mi sembrava la normalità, ogni volta riusciva a convincermi che sarebbe cambiato».
Oggi Silvia è una donna consapevole: «Senza il centro antiviolenza non ce l’avrei mai fatta – ribadisce – Adesso mi sento forte. Ho compreso che le relazioni hanno senso se arricchiscono entrambi e sono alla pari. Ho imparato quanto sia importante leggere i segnali. Se mi guardo indietro mi sembra assurdo che non me ne rendessi conto. Ho potuto verificare sulla mia esperienza che rivolgersi ai centri antiviolenza, con la loro competenza e strumenti adeguati, può dare una svolta a tragici destini e salvare tante vite».
(Unioneonline)
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