un futuro da costruire per il Paese dei Cedri


Domenica 23 febbraio una folla oceanica ha dato a Beirut l’ultimo saluto a Hassan Nasrallah, l’ex leader di Hezbollah ucciso dai caccia israeliani lo scorso 27 settembre, insieme ad altri alti funzionari del movimento. Decine di migliaia di persone si sono ritrovate nella piazza della città dello sport nella periferia meridionale della capitale libanese. Intanto, dopo avere bombardato il Sud del Libano, i jet israeliani sorvolavano l’area dove si svolgevano i funerali, cercando di intimidire la popolazione libanese. Ritratti giganti di Nasrallah e del suo successore Hashem Safieddine, anche lui morto in un altro attacco aereo israeliano ancora prima che potesse assumere l’incarico, sono stati affissi sui muri e sui ponti, mentre la folla urlava “Morte a Israele”.

In queste settimane, a Beirut il vento ha però cambiato direzione. Il profilo Instagram della testata libanese L’Orient Le Jour ha mostrato le immagini di decine di passeggeri bloccati a Teheran il 13 febbraio perché l’aeroporto Rafiq Hariri di Beirut ha rifiutato l’atterraggio di un aereo proveniente dall’Iran Uno dei passeggeri grida: «Noi siamo libanesi! Nessuno ci governa, se non il Libano. Di certo non l’America o altri». La notizia è rimbalzata sui media, grazie all’agenzia stampa AFP, a cui un responsabile dell’aeroporto di Beirut ha rivelato che la decisione è stata presa dal Ministero dei Trasporti, senza precisarne i motivi. A essere coinvolta è la compagnia aerea Mahan Air, una società privata iraniana legata alle Guardie rivoluzionarie (i pasdaran) che garantiva i collegamenti tra Beirut e Teheran e ora è fuorilegge in Libano.
L’incidente – si legge sul profilo Instagram del suddetto quotidiano – ha avuto luogo proprio quando Israele ha nuovamente accusato Hezbollah di utilizzare l’aeroporto di Beirut per trasferire armi provenienti dall’Iran. Inoltre, mentre i passeggeri libanesi erano bloccati a Teheran, vi sono state manifestazioni nei pressi dell’aeroporto di Beirut. Un gruppo di ragazzi seguaci di Hezbollah hanno bloccato l’accesso all’aeroporto con bandiere del Partito di Dio e dell’Iran e con qualche copertone di camion dato alle fiamme, con conseguente intervento di esercito e vigili del fuoco. Gli animi si sono scaldati, anche perché il giorno dopo si sarebbero celebrati i vent’anni dell’attentato all’ex premier Rafiq Hariri.

Hezbollah è un gruppo politico e militare musulmano sciita presente in Libano e coinvolto in violenti conflitti con Israele. Gode del sostegno dell’Iran, si oppone al diritto di esistere di Israele, e si pone come obiettivo la creazione di un governo islamico. È considerato organizzazione terroristica da Israele e da numerosi altri Paesi, tra cui il Regno Unito e gli US. Il nome Hezbollah vuol dire, in arabo, “Partito di Dio”. Formalmente, esiste dal 1985, ma le sue origini risalgono all’invasione israeliana del Sud del Libano nel 1982, durante la guerra civile libanese (1975-2000). L’opinione pubblica locale ritiene che i miliziani sciiti siano stati fondamentali affinché il generale Ariel Sharon ritirasse l’IDF (Israeli Defense Force) dal sud del Libano nel giugno del 2000. L’ultimo conflitto tra Hezbollah e Israele risale all’ottobre del 2023, dopo gli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre, quando i miliziani libanesi hanno iniziato a lanciare razzi sulla zona di frontiera, in solidarietà con i palestinesi. Il conflitto si è esacerbato nel settembre 2024, quando le autorità israeliane hanno dichiarato di voler far tornare a casa decine di migliaia di sfollati, costretti a lasciare le loro abitazioni a causa dei razzi di Hezbollah.

Fonte: World Bank

Per decenni, gli Hezbollah sono stati considerati tra i miliziani più armati al mondo. Secondo il Center for Strategic and International Studies, prima di quest’ultimo conflitto vantavano tra i 120.000 razzi e missili in grado di penetrare in territorio israeliano. Nel 2021 i vertici di Hezbollah dicevano di avere 100.000 miliziani, ma secondo alcune stime si sarebbe trattato di 20-50.000 combattenti. Quest’ultimo conflitto, iniziato l’8 ottobre 2023, ha indebolito Hezbollah, per molteplici motivi. Nell’ultimo anno e mezzo molte delle infrastrutture sono state distrutte e il suo arsenale si è consumato. Centinaia di combattenti sono stati uccisi dall’operazione dell’intelligence israeliana che aveva venduto i cercapersone con le cariche esplosive, esplosi simultaneamente il 18 settembre. I missili made in the USA in dotazione all’IDF hanno permesso di penetrare in profondità nei bunker e quindi di uccidere lo scorso settembre Hasan Nasrallah, capo di Hezbollah dal 1992, sostituito dal suo vice Naim Qassem. A causa della guerra contro Israele, in Libano i morti sono stati circa 4.000 e gli sfollati oltre un milione. Un ulteriore colpo a Hezbollah è stato il rovesciamento del regime di Bashar al-Assad nella vicina Siria, indispensabile per il passaggio e lo stoccaggio di armi provenienti dall’alleato iraniano.
Detto questo, per gli Hezbollah e per i libanesi non si è trattato di una sconfitta militare ma di resistenza, come dimostrano le manifestazioni di piazza nel momento in cui il cessate il fuoco era stato annunciato lo scorso 27 novembre, anche se questa volta il prezzo da pagare è stato molto alto. Già prima di questa ennesima guerra, il Paese dei Cedri era lacerato dalla gravissima crisi economica, dalla corruzione dilagante e dalla mancanza di un esecutivo dopo le elezioni del 2022. In questo contesto, e nonostante le perdite subite, Hezbollah continuerà ad avere un peso politico in Libano – anche tra coloro che non si identificano nell’Islam sciita – perché rappresenta una forza di resistenza di fronte alle violenze di Israele, nonché per i servizi sociali – sanitari ed educativi – forniti dall’organizzazione.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

In politica, dopo due anni di vuoto, a gennaio 2025 è stato finalmente nominato un nuovo presidente. Appoggiato da Francia, Arabia Saudita e Stati Uniti, Joseph Aoun era a capo dell’esercito libanese ed è stato scelto sebbene Hezbollah abbia espresso preferenza per un altro candidato. Facendo riferimento ai miliziani sciiti, Aoun ha dichiarato che «soltanto le forze armate libanesi avranno diritto alle armi». E, in seguito alle pressioni del nuovo inviato per il Medio Oriente Morgan Ortagus, nel nuovo esecutivo libanese il premier Nawaf Salam ha escluso gli Hezbollah. Restano però le consuete divisioni tra i diversi gruppi religiosi e agli sciiti di Amal (un’organizzazione paramilitare e partito politico libanese fondato dall’Imam Musa al-Sadr nel 1974) è stato concesso nominare quattro ministri. Di fatto, gli sciiti continueranno a contare.
In questo quadro complesso, i cristiani maroniti rappresentano un caso a sé. Sono la confessione cristiana più numerosa del Libano e, sebbene siano una minoranza, spetta a loro nominare il presidente del Paese dei Cedri, il capo delle forze armate e ben 50 deputati. Ora, i maroniti rischiano l’accusa di tradimento da parte dei loro concittadini a causa della loro neutralità e del loro sforzo con le diplomazie occidentali, interpretati come vicinanza al nemico israeliano. Ma anche perché Samir Geagea, a capo del più ampio blocco maronita in Parlamento, ha invitato a eleggere il presidente libanese escludendo gli sciiti, ovvero la comunità demograficamente più numerosa nel Paese, a cui spetta eleggere il portavoce del Parlamento.

Fonte: World Bank

Il problema principale resta però la gravissima crisi economica. Secondo la Banca Mondiale a causa della guerra nel 2024 il PIL del Libano è sceso del 6.6%. Facendo i conti dal 2019, il calo è stato di oltre il 38%. Una contrazione che riflette le distruzioni, l’abbandono di intere aree densamente popolate, la riduzione nei consumi. A offrirsi di ricostruire il Libano sono in tanti. In primis i Paesi del Golfo. E forse pure la Turchia, erede dell’Impero ottomano che per secoli controllava anche la Siria. Ma Israele non è d’accordo e accusa Ankara di aiutare Teheran a contrabbandare armi e denari destinati agli Hezbollah libanesi.
Il Libano, uno dei paesi più travagliati ma anche una delle rare democrazie del Medio Oriente, si trova dunque ancora una volta di fronte a un bivio critico e permangono molti ostacoli sulla sua strada per uscire dalla crisi, specialmente in questo confuso periodo storico.

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