“I banchieri del diavolo. I fratelli Bergmeyer” di Vito Bruschini (Newton Compton Editori, 2025): incontro con l’autore e un brano estratto dal libro
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Vito Bruschini Scrittore e giornalista, dirige la «Globalpress Italia», agenzia stampa per gli italiani nel mondo. Con Newton Compton ha pubblicato, tra gli altri, The Father. Il padrino dei padrini; I segreti del club Bilderberg; I cospiratori del Priorato; Rapimento e riscatto; Miserere. Attentato in Vaticano; Il traditore della mafia; La verità sul caso Orlandi. I suoi libri sono tradotti all’estero.
È appena uscito, per Newton Compton, il romanzo I banchieri del diavolo. I fratelli Bergmeyer. Abbiamo chiesto all’autore di parlarcene…
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«Nel 2013 la Newton Compton pubblicava I Segreti del Club Bilderberg», ha detto Vito Bruschini a Letteratitudine, «il primo romanzo di una trilogia dedicata alle élite neoliberiste che negli ultimi tre decenni anni hanno distrutto lo stato sociale del mondo occidentale imponendo la globalizzazione dei mercati. Il Bilderberg è formato da un gruppo di finanzieri, politici, economisti e opinion leader che una volta l’anno si riuniscono in un convegno segreto per decidere le sorti e l’indirizzo politico-economico dei popoli. Nel 2015, quindi dieci anni fa, è stata la volta di I Congiurati del Priorato, il secondo romanzo della trilogia. Con questo thriller portavo a conoscenza del grande pubblico l’esistenza di un gruppo elitario ancora più ristretto. Sono trascorsi dieci anni e dopo I Congiurati ecco che arriva in libreria questo I Banchieri del Diavolo che conclude la mia trilogia sul Grande Reset.
Vorrei puntualizzare che i tre romanzi sono dei thriller, non sono saggi. Sono racconti strutturati come veri e propri gialli, e hanno l’ambizione di rendere consapevoli i lettori delle manovre spesso subdole delle multinazionali mondialiste e della grande finanza.
I Banchieri del Diavolo nasce da un’insolita scoperta. Leggendo L’uomo che ride di Victor Hugo, sono venuto a conoscenza di un fatto che non sapevo: nella prefazione al libro, Hugo annuncia che scriverà una trilogia sulle contraddizioni e le ingiustizie della società francese. Il primo libro, l’Uomo che ride, stigmatizza i vizi degli aristocratici. Il secondo libro, intitolato il Novantatré, riferendosi al 1793, l’anno del Terrore, prende di mira la borghesia. Mentre il terzo libro, che doveva raccontare della monarchia, non venne mai trovato dai suoi biografi.
Ed ecco come nasce un’idea: la mia protagonista, Marion, una scrittrice mediocre i cui libri sono puntualmente rifiutati da tutti gli editori romani, è un’abilissima ricercatrice bibliotecaria. L’ultimo editore che le rifiuta un suo libro le offre l’occasione di aiutare uno famoso scrittore a svolgere delle ricerche sulla Rivoluzione francese.
Marion accetta l’incarico e s’immerge nella mole di documenti dell’Archivio Vaticano alla ricerca di inediti francesi della fine dell’Ottocento. Qui s’imbatte in un manoscritto firmato da Victor Hugo. Scopre che si tratta di un suo testo inedito, probabilmente è proprio l’ultimo della trilogia e s’intitola I Fratelli Bergmeyer.
Il manoscritto di Hugo è un’accusa contro i fratelli Bergmeyer, responsabili di gran parte delle guerre dell’epoca grazie alle quali la dinastia ha accumulato tali ricchezze da essere considerata la famiglia più facoltosa della storia dell’umanità.
Qual era il loro segreto? Semplice: allearsi ogni volta con entrambi i contendenti. Ad esempio, nelle guerre napoleoniche i Bergmeyer del ramo francese finanziarono Napoleone, mentre quelli del ramo inglese investirono su Wellington. Non interessava loro chi vincesse. In un modo o nell’altro i veri vincitori sarebbero risultati sempre loro, i Bergmeyer.
Marion è consapevole di avere tra le mani uno straordinario atto d’accusa contro l’alta finanza che, grazie a quella dinastia, ancora oggi condiziona la vita economica del mondo occidentale, stampando moneta che poi presta ai governi condannandoli al debito pubblico perpetuo.
Ma da questo momento la sua vita sarà sconvolta da una serie di omicidi di persone a lei vicine.
L’altra particolarità di questo romanzo è quello di averlo terminato di scrivere nel corso di una residenza letteraria a Praga. La Federazione Unitaria italiana scrittori (fuis) e l’Istituto culturale ceco di Roma mi hanno offerto questa residenza dandomi la possibilità di abitare per un mese nella stessa casa che fu di Franz Kafka. Emozione unica, scrivere davanti alla stessa finestra dove il grande autore ha composto le sue immortali opere. Qui in Repubblica Ceca si conclude il romanzo, e in particolare nel Castello di Houska, che si trova a quaranta chilometri dalla capitale. Il castello aveva al centro del cortile un pozzo che leggende del luogo descrivevano come la porta degli Inferi: un pozzo senza fondo abitato da strani essere alati. Tra l’altro lo stesso Himmler, delfino del Führer e capo della polizia nazista, nel 1935 fece visitare il luogo da una spedizione di scienziati, nell’ambito dell’Operazione Ahnenerbe organizzata per ricercare le origini esoteriche del nazismo. Le cronache raccontano che i nazisti fecero degli scavi all’interno del castello, intorno al pozzo. Poi all’improvviso decisero d’interrompere le ricerche. Uccisero tre dei componenti la spedizione, asfaltarono il pozzo e se ne andarono senza spiegare il motivo di quella decisione. Oggi il pozzo non esiste più, ma se chiedete agli anziani del posto, ne sentirete delle belle.»
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Un brano estratto dal romanzo “I banchieri del diavolo. I fratelli Bergmeyer” di Vito Bruschini (Newton Compton Editori, 2025)
Quella mattina, come tutte le mattine, Marion aprì gli occhi un attimo prima del buzz della sveglia. Istintivamente, ancora assonnata, allungò il braccio verso il comodino e bloccò la suoneria. I ritmi circadiani del suo orologio biologico, sincronizzati all’alternarsi del ciclo luce-buio, funzionavano alla perfezione. Ciò che invece sfuggiva al suo controllo era il tormento indefinito della psiche che ogni mattina le provocava continue vertigini, spesso associate a dolorose e insopportabili emicranie. Rimase ferma a fissare il soffitto, affondando la testa nel cuscino nel vano tentativo di alleviare il fastidio. Invidiava coloro che vivevano un’esistenza normale, anche se con tutte le difficoltà che la vita ti può regalare. “Normale” per lei voleva dire lottare, cadere, per poi rialzarsi e continuare a competere, ma comunque prima o poi riuscire a raggiungere l’obiettivo prefissato. La sua vita invece era come una giostra: girava in continuazione per tornare sempre allo stesso punto, sempre con le stesse problematiche e lo stesso indefinito malessere interno, una sorta di vuoto, che, insieme all’emicrania, non l’abbandonava mai.
Quel giorno aveva un appuntamento che doveva servire ad alleviare il disturbo che, a detta del suo terapeuta, arrivava da un lontano passato.
Marion era perseguitata da un incubo sin da quando era adolescente. Lei, bambina, camminava lungo il corridoio di un’austera dimora principesca, ma tutte le immagini intorno le sembravano incongruenti e surreali, come in un quadro di Dalì: il corridoio di cui non vedeva la fine, come fosse un gioco di specchi; il soffitto che si confondeva con un cielo stellato; le porte di mogano, gigantesche come quelle di Tannhäuser; le grandi specchiere che moltiplicavano la luce delle candele riflettendole all’infinito. Le immagini erano sfocate, come se stesse fluttuando immersa nell’acqua. Un uomo la teneva stretta per mano ed era così alto da non riuscire a vederne la testa, nascosta dalle possenti spalle ricoperte, come un inquietante sipario, da un pesante mantello rosso. Poi una luce accecante le feriva gli occhi. Istintivamente, li serrava. E quando tornava a socchiuderli, si ritrovava distesa su una lastra di marmo e, piegato su di lei, un volto che non aveva niente di umano…
Era questo il momento in cui Marion iniziava a urlare e a dimenarsi, come per liberarsi da catene invisibili.
«Riesci a vedere chi c’è vicino a te?», la voce dal tono suadente sembrava arrivare dalle profondità dell’universo.
«È un uomo mostruoso… ho paura. Mandalo via!». «Intorno vedi altre persone?»
«Non lo so. Non voglio aprire gli occhi».
«Non temere. Quell’uomo non ti può fare del male…
ricordi? Sei al sicuro nel tuo giardino incantato», le suggerì la voce sempre con tono accattivante. «Prova a socchiuderli. Aprili, coraggio».
«No! Basta… sto male… ti prego, basta, basta!», pregò accorata continuando a serrare le palpebre.
«Va bene… Allora esci dal giardino e fai ritorno a casa… tre… due… uno».
Quando il dottor Nicolas Perrin disse “uno”, Marion aprì gli occhi. Si guardò intorno. Vicino a lei c’era il dottore, un ometto con i baffi folti, il papillon al posto della cravatta e l’eterno ciuffo sugli occhi che toglieva con un gesto che era diventato più un condizionamento riflesso, simile a un tic, che una vera e propria necessità di liberare la vista dai capelli. Era una figura rassicurante come il tono della sua voce e Marion si lasciava manipolare volentieri da lui. Per tutto il tempo dell’ipnosi aveva la consapevolezza di trovarsi al sicuro nel suo studio, ma malgrado ciò viveva l’esperienza regressiva come fosse realtà.
«Rimani sdraiata e continua a mantenere muscoli e mente rilassati», la esortò il terapeuta.
Marion provò a riordinare i pensieri e a tentare di ricollegare le immagini di poco prima con gli eventi della sua vita passata. «Anche questa volta non ho avuto il coraggio di guardare il mostro».
«Sei stata comunque coraggiosa. L’ipnosi regressiva non ci costringe a fare azioni contro la nostra volontà», le spiegò. «Quando sarai pronta, sarai tu stessa a prendere l’iniziativa. Saranno necessarie altre sedute, ma ci stiamo avvicinando alla fase finale. Oggi sei riuscita a entrare nel salone del palazzo e a vedere l’uomo dalla faccia da mostro che ti minacciava. Hai fatto un bel progresso».
«Perché è successo proprio a me», si lamentò lei. «Non mi meritavo una cosa del genere».
«No Marion, questo non lo devi più pensare. Ormai è accaduto e non ci possiamo fare niente. Questa fase l’abbiamo già affrontata e superata, non dobbiamo tornare indietro. Hai già accettato ciò che è avvenuto».
«Ma ogni volta è spaventoso. Mi sento male».
«Lo so. E sarà così finché non riuscirai a vedere ciò che ha creato il trauma. Quando il tuo inconscio sarà tornato a galla, solo allora potrai sconfiggere i tuoi fantasmi e riappropriarti della tua vita».
«Se non mi dovrà rinchiudere prima in manicomio», commentò ironicamente Marion.
«Non dire sciocchezze. Sei giovane e perfettamente sana. Di rado è una nostra scelta diventare delle vittime, ma lo è sempre smettere di esserlo, non lo dimenticare. E abbiamo deciso insieme che tu non vuoi più essere una vittima, è vero? Ripetimelo».
«Non voglio più essere una vittima», ripeté poco convinta Marion.
«Ricorda le fasi del nostro lavoro: innanzitutto dobbiamo accettarlo, e tu l’hai fatto. Poi dobbiamo riconoscerlo e infine elaborarlo per superarlo. Vedrai che ce la faremo».
«Mi fido ciecamente di lei, dottore».
«Bene. Allora ci rivediamo giovedì prossimo alle cinque. Mi raccomando non saltare l’appuntamento».
Ogni volta che usciva dallo studio del dottor Perrin era come rinascere. Una vaga sensazione di benessere la pervadeva. Emicrania, stati d’ansia e improvvisi sbandamenti, compagni di vita, diventavano un vago ricordo. Ma poi, dopo qualche ora, passato l’effetto placebo dell’ipnotista, tornavano a fare capolino come malefici diavoletti.
Salì sulla sua vecchia Opel Corsa e stava per muoversi, quando la portiera si aprì e, con sua grande sorpresa, salì Nora, sua sorella.
«Non mi avevi detto che mi avresti aspettata», disse Marion.
«Infatti stavo per andarmene. Ma ho disdetto l’appuntamento e ho deciso di rimanere. Ero preoccupata per te. Prima, quando sei entrata nel portone del dottore, sembravi un fantasma ubriaco… Allora? Com’è andata? Ti ha guarita, quello stronzo?». Il tono era beffardo. Nora non riconosceva alcuna validità scientifica alle pratiche del dottor Perrin.
«Nora, sono stanca. Non mi va di discutere. Ho la nausea e non vorrei rovinare il tuo bel vestitino primaverile di Zara», rispose Marion con voce affaticata. Le succedeva sempre, dopo un’ora di ipnosi.
«Ho capito. Anche stavolta non avete combinato un cazzo».
«Ti prego. Piantala di torturarmi».
«Sei una stronza. Perché ti devi fare del male? Con lui non risolvi il tuo problema. Sai cosa devi fare?»
«Buttarmi da un ponte?»
«Non essere sempre melodrammatica, cazzo! Invece, prova a scrivere la tua biografia. Lo fanno tutti, oggi. Scrivi sui tuoi dolori, sulle tue sofferenze. Dicono che scrivere sia terapeutico, altro che l’ipnosi di quel coglione bravo soltanto a spillarti quattrini».
«Ma dimentichi che un libro l’ho già scritto! Solo che non è stato ancora pubblicato».
«Evidentemente lo hai presentato a editori coglioni. Sono tutti uguali, sanno andare soltanto sul sicuro, pubblicano solo scrittori affermati anche se i loro libri sono merdate e si lasciano sfuggire giovani talenti come te».
«Mi piace creare storie, inventare personaggi, giocare con le parole. Sin da ragazzina è stata la mia passione… ma tu non lo puoi sapere, te ne sei andata prima».
«Purtroppo non si vive di passioni e per scrivere non devi avere problemi economici», affermò sconsolata Nora.
«In più io ho questo blocco», disse Marion colpendosi le tempie con i pugni, «che non mi dà pace. È come un muro che non riesco a sfondare. Per questo vado dal dottor Perrin».
«Ma lascia perdere quel ciarlatano, dai retta a me».
«Nicolas Perrin è tra i più bravi ipnoterapeuti di Roma… Senti, Nora, una volta tanto non potresti essere meno sboccata?»
«Che dico di male?»
«Ti riporto a casa», tagliò corto Marion.
(Riproduzione riservata)
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La scheda del libro: “I banchieri del diavolo. I fratelli Bergmeyer” di Vito Bruschini (Newton Compton Editori, 2025)
Un manoscritto perduto,
un omicidio rituale e un segreto che potrebbe cambiare la storia La giovane Marion, un’aspirante scrittrice con un particolare talento come ricercatrice di fonti storiche, viene incaricata dal celebre scrittore Michel Constantin di effettuare per lui delle ricerche sulla Rivoluzione francese per un saggio che sta scrivendo. Ottenuta l’autorizzazione a entrare nell’Archivio vaticano, durante il lavoro Marion si imbatte in un manoscritto in tedesco, firmato nientemeno che da Victor Hugo.
Il romanzo, di cui nessuno conosceva l’esistenza, parla dell’ascesa della famiglia Bergmeyer, degli importanti banchieri di fine Ottocento. Tuttavia, l’entusiasmo di Marion per la straordinaria scoperta viene presto oscurato da un evento tragico: tornata a casa di Constantin per aggiornarlo sulla sua ricerca, trova lo scrittore assassinato con un’ascia bipenne. Quella di Constantin è solo la prima delle morti che cominciano a funestare la vita di Marion, una serie di brutali omicidi che paiono avere un carattere rituale e che sembrano in qualche modo legati al romanzo perduto di Hugo… e anche a un torbido segreto nascosto nel passato della stessa Marion. Il segreto di una dinastia che potrebbe cambiare la storia.
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