Crisi del clima, gli “alcol zero” e l’incubo dazi di Trump: il vino italiano è sotto attacco?


L’insostenibile pesantezza della bottiglia. Dalla Slow Wine Fair, la manifestazione che ancora per oggi mette in mostra il vino «buono, pulito e giusto» negli spazi di BolognaFiere, arriva un appello a ripensare il packaging del vino. E a ridurre la grammatura del vetro, passando a bottiglie più leggere (ad esempio 420 grammi invece che 600) per ridurre le emissioni di anidride carbonica senza compromettere la qualità. Perché una bottiglia pesante – così come un tappo di sughero – non è per forza sinonimo di eccellenza.

«Chiediamo ai produttori di adottare entro il 2026 bottiglie con una grammatura più ridotta e di inserire in etichetta questo loro accorgimento per rendere consapevoli anche i consumatori» è l’appello lanciato da Slow Wine, che ha aderito al progetto di Porto Protocol «Unpacking Wine», letteralmente «Spacchettando il vino».

In un recente articolo apparso su Wine Searcher si afferma che «il maggior contributo all’impronta ecologica di un vino non deriva dalle tecniche di coltivazione o dalle pratiche in cantina, ma dall’energia usata per produrre e trasportare le bottiglie di vetro, dalla vetreria al consumatore finale». Non ci sono stime precise, la forbice è abbastanza ampia: si va dal 29% al 70% dell’impronta del vino causata dalle bottiglie. «Per questo oggi la scelta della bottiglia deve essere ponderata valutando diversi fattori e non solo il marketing» dice Giancarlo Gariglio, coordinatore della Slow Wine Coalition e curatore della guida Slow Wine.

«Noi abbiamo adottato già da tempo questa filosofia – dicono Fabio e Francesca Marchisio, titolari con il fratello Ivo della cantina Marchisio Family Organic Estate di Castellinaldo -. Utilizziamo bottiglie da 400 grammi e tappi a vite, che rappresentano la soluzione ad oggi più sostenibile, ma anche scotch di carta e imballaggi ridotti. I consumatori sono sempre più attenti e preparati, soprattutto le nuove generazioni che cercano anche vini più puliti e facili da bere».

Basta un giro tra i 1200 espositori della fiera per trovare molte conferme. «Non mi aspettavo un livello così alto tra il pubblico – dice Umberto Bera, produttore a Neviglie -. Anche la giornata di domenica, che era dedicata ai winelovers, è stata molto utile e interessante». Bera espone le sue etichette insieme a un gruppo di produttori di spumante Alta Langa, che hanno scelto Bologna per presentarsi e per rafforzare un legame storico con Slow Food, con la Banca del Vino di Pollenzo e con le tavole accademiche dell’Università di Scienze gastronomiche. «Le nostre bollicine piacciono e incuriosiscono – dice Bera -. In una terra di grandi rossi, la gente si ferma e cerca di capire il nostro progetto, stupendosi di una tradizione ben più lunga e radicata di quanto si sappia».

Tuttavia, i venti di crisi soffiano anche nei padiglioni della Slow Wine Fair. E nessuno lo nasconde. «Il mondo del vino, dopo essere cresciuto in modo pressoché ininterrotto per 40 anni e pur rimanendo un settore trainante della nostra agricoltura, oggi sta attraversando un periodo di ripensamento – sottolinea la presidente di Slow Food Italia, Barbara Nappini -. Una crisi con diversi fattori scatenanti: è sotto attacco, insieme a tutte le bevande alcoliche, per questioni di salute; deve affrontare la crisi climatica, il cambiamento dei consumi e, non ultimo, la spada di Damocle dei dazi americani». Una tempesta perfetta. «Ma le crisi si affrontano e possono diventare lo spunto per una nuova ripartenza. Ci si aspetta che le pratiche agronomiche dei vignaioli siano ancor più integrate con gli ecosistemi, che sempre più l’approccio agro-ecologico permei il settore, che il regime biologico e la viticoltura biodinamica siano sempre più diffusi e politicamente sostenuti, in quanto capaci di guardare al futuro in un’ottica di tutela della biodiversità e della fertilità del suolo». Ecco quindi il messaggio che parte da Slow Wine Fair: «Aiutiamo i produttori a cambiare la narrazione legata al mondo del vino, non lasciamoli soli in questo momento di importante transizione».

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Per Sandro Barosi, titolare di Cascina Corte a Dogliani, «il vino e in difficoltà perché c’è troppa incertezza, ma io non credo si tratti di una crisi di prodotto, quanto di sistema e di comunicazione. Risentiamo tutti di un certo calo, ma non possiamo lamentarci. E dobbiamo ognuno coltivare le nostre peculiarità. Io, ad esempio, vado controcorrente e punto molto sul Dogliani Docg, mentre altri lo tolgono dalle loro carte. Non esiste un vino come il dolcetto e sono convinto che prima o poi ce lo riconosceranno».



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