Tribunale di Prato, 25.01.2025, n. 51
Contratto di deposito – Responsabilità contrattuale – Responsabilità extra-contrattuale – Perdita dell’animale d’affezione – Danno non patrimoniale – Diritto inviolabile della persona – Risarcimento.
[1] In un contratto di deposito, il depositante che lamenta i danni subìti dalla cosa depositata ha l’onere di provare l’avvenuta consegna e la sussistenza dei danni. Spetta invece al depositario dimostrare che i danni sono attribuibili a circostanze esterne o alla natura stessa del bene.
CASO
La pronuncia in commento trae origine dal decesso di una cagnolina affidata dai proprietari ad una pensione per animali, per qualche giorno. A seguito di un malore, per il quale non era stata curata adeguatamente, la cagnolina decedeva. Quando i proprietari apprendevano la notizia, comunicata non dalla struttura ma dalla Polizia locale, emergeva che il cane, morto da alcuni giorni e già in stato di decomposizione, era stato male qualche giorno prima.
Emergeva, inoltre, che il custode della pensione, pur avendo visto la cagnolina accasciarsi a terra, non aveva avvisato i proprietari né richiesto cure veterinarie, omettendo di garantire un’adeguata assistenza e tentando di occultare l’accaduto.
I proprietari della cagnolina promuovevano un’azione legale, onde ottenere la risoluzione del contratto di deposito per grave inadempimento ed il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, sostenendo che la perdita dell’animale d’affezione costituisce violazione del diritto inviolabile ex art. 2 Cost. al rapporto uomo/animale, attività realizzatrice della persona umana, oltreché del diritto di proprietà ex art. 42 Cost.
La struttura convenuta, oltre alle eccezioni di rito ed alla contestazione della propria responsabilità, sosteneva che la perdita dell’animale di affezione non determinasse un danno risarcibile, richiamando l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che si è affermato con le sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione dell’11/11/2008 (nn. 26972, 26973, 26974, 26975), secondo cui tale pregiudizio non sarebbe qualificabile come danno esistenziale consequenziale alla lesione di un interesse della persona umana alla conservazione di una sfera di integrità affettiva costituzionalmente tutelata, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione di un danno in re ipsa, con il generico riferimento alla perdita della qualità della vita.
SOLUZIONE
Il Tribunale di Prato con la sentenza in commento aderisce all’orientamento giurisprudenziale più recente, secondo cui il fatto illecito che cagiona la morte di un animale da compagnia costituisce un “fatto produttivo di danni morali nei confronti di chi ne aveva cura, in ragione del coinvolgimento in termini affettivi che la relazione tra l’uomo e l’animale domestico comporta, dell’efficacia di completamento e arricchimento della personalità dell’uomo e quindi dei sentimenti di privazione e sofferenza psichica indotti dal comportamento illecito” Trib. Venezia, 17.12.2020, n. 1936).
Lo stato di angoscia derivante dalla morte del proprio animale domestico costituisce un danno biologico da porsi a carico del soggetto responsabile.
QUESTIONI
La pronuncia in esame ripropone il tema, assai discusso, della risarcibilità del danno non patrimoniale da perdita o ferimento dell’animale d’affezione.
Tuttavia, prima di approfondire tale tema, il Tribunale di Prato esamina la natura della responsabilità in capo alla pensione per animali, qualificabile come contrattuale ed extra-contrattuale.
In primo luogo, il giudice di merito qualifica il contratto in essere tra le parti come contratto di deposito ex art. 1766 c.c., con l’obbligo per il depositario di usare la diligenza del buon padre di famiglia. Obbligo rispetto al quale la pensione si è resa gravemente inadempiente, avendo omesso di prestare assistenza alla cagnolina malata ed avendo omesso di comunicarne ai proprietari lo stato di salute.
In base alla regola probatoria tipica della causalità civile del «più probabile che non», il Tribunale ha ritenuto provato il nesso causale tra la condotta del depositario ed il danno: infatti, la depositante “padrona” della cagnolina aveva provato la consegna e che la morte fosse avvenuta durante il periodo di custodia dell’animale nella pensione; inoltre, pur operando una presunzione semplice, l’attrice aveva anche provato che l’animale godeva di un buono stato di salute al momento della consegna alla pensione.
Ciò posto, il custode, per andare esente da responsabilità, avrebbe dovuto fornire la prova del fatto che gli eventi avversi verificatisi fossero allo stesso non imputabili. Prova che, tuttavia, non aveva fornito (né avrebbe potuto fornire).
Al contrario, il convenuto si era accorto che la cagnolina fosse visibilmente sofferente, per cui si poteva presumere che un tempestivo intervento, con adeguate cure veterinarie, ne avrebbe evitato la morte, avvenuta, presumibilmente, per disidratazione.
Oltre alla suddetta responsabilità contrattuale, sussiste poi una responsabilità extra-contrattuale della pensione, che trova fondamento nel dovere di vigilanza gravante sulla medesima. Responsabilità correlata all’omissione delle cautele necessarie, suggerite dall’ordinaria prudenza, in relazione alle specifiche circostanze di tempo e di luogo, affinché fosse salvaguardata l’incolumità dell’animale (Cass. civ., 3081/2015).
Infatti, il custode, appurato che l’animale stava molto male, non si era attivato per curarla, né aveva chiesto l’intervento di un veterinario. Al contrario, se ne era disinteressato, allontanandosi dalla pensione, trovando al suo rientro il cane già morto.
E veniamo al risarcimento del danno non patrimoniale.
Il Tribunale di Prato, aderendo all’orientamento della giurisprudenza di merito più recente, si discosta dalla giurisprudenza di legittimità, che aveva negato (e tutt’ora nega) rilevanza costituzionale al rapporto tra gli animali d’affezione ed i loro padroni, sulla scorta delle sentenze di San Martino del 2008, secondo cui, in forza di lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., il danno non patrimoniale è risarcibile solo qualora la condotta lesiva configuri un reato, ovvero in presenza di espressa previsione di legge o in presenza della lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato, laddove nel caso di morte di un animale ad essere leso sarebbe “un rapporto tra l’uomo e l’animale, privo, nell’attuale ordinamento, di copertura costituzionale” (Cass. civ., SS.UU., 11.11.2008 nn. 26972,26973,26974,26975).
L’arresto delle Sezioni Unite, tuttavia, non è bastato a dirimere i contrasti, tant’è che i giudici di merito continuano ad essere divisi sulla risarcibilità ex art. 2059 c.c. del danno non patrimoniale derivante dalla perdita o lesione dell’animale d’affezione.
Alcuni Tribunali sono, pertanto, contrari alla risarcibilità, mancando la lesione di un diritto inviolabile (Trib. Milano, 01.07.2014, Trib. Catanzaro, 05.05.2011); altri favorevoli, stante la compromissione di un diritto a presidio del rapporto tra “proprietario” e animale d’affezione, il cui riferimento normativo va individuato nell’art. 2 Cost. (Trib. Pavia 17.09.2016, n. 1266, Trib. Vicenza n. 24/2017).
Secondo quest’ultimo orientamento della giurisprudenza di merito, le conclusioni delle Sezioni Unite del 2008 non sono rispondenti ad “una lettura contemporanea delle abitudini sociali e dei relativi valori”, la quale non permette più di considerare “futile” la perdita dell’animale d’affezione, che invece è un evento tale da integrare una lesione dell’interesse della persona alla conservazione della propria sfera relazionale-affettiva.
In questa prospettiva, il rapporto tra padrone ed animale d’affezione è stato ricostruito come “espressione di una relazione che costituisce occasione di completamento e sviluppo della personalità individuale e, quindi, come vero e proprio bene della persona, tutelato dall’ art. 2 della Costituzione” (App. Torino, 29.10.2012, n. 6296; Trib. Rovereto, 18.10.2009, n. 499; Trib. Parma, 02.05.2018, n. 605).
La sentenza in commento si inserisce in tale ultimo filone favorevole alla risarcibilità ex art. 2059 c.c. del pregiudizio conseguente alla morte o lesione dell’animale, posto che nell’evoluzione del costume l’animale è ora visto come integrato nell’ambito familiare e parte del contesto affettivo.
Pertanto, laddove allegato e provato anche nei necessari requisiti di gravità, il danno non patrimoniale da perdita o lesione dell’animale d’affezione può e deve essere risarcito.
Il danno, quindi, deve essere grave, cioè non limitato a fastidi o disagi, ma effettivamente legato alla sofferenza patita dal proprietario. È innegabile, infatti, che, in date circostanze, il legame tra animale e “padrone” è tale che la sua recisione (per morte dell’animale) determini un importante sconvolgimento nella vita della persona (si consideri, ad esempio, il caso della persona, spesso anziana, che rimanga improvvisamente priva dell’unico centro di affetti, rappresentato dall’animale).
Il “padrone” dell’animale ha l’onere di provare l’effettivo pregiudizio subìto (non potendo assumersi la sussistenza del danno in re ipsa: Cass. civ., 2203/2024, Cass. civ., 29206/2019), anche tramite elementi indiziari, come presunzioni gravi e concordanti.
Nel caso concreto, l’onere probatorio era stato assolto.
Infatti, dall’istruttoria era emerso che la cagnolina veniva considerata un membro della famiglia: dormiva nel letto degli attori e dei loro figli, giocava con i bambini degli attori, seguiva i padroni ovunque, veniva festeggiata nel giorno del compleanno (come risultante dalle fotografie della torta e delle candeline per il primo e terzo compleanno della cagnolina).
L’esistenza di questo legame affettivo e le circostanze del decesso della cagnolina fanno presumere che da tale evento siano derivati, a carico degli attori e dei loro figli, una forte sofferenza ed un profondo patema d’animo, equiparabili a quelli che si provano per la perdita di un essere umano.
Anche le circostanze in cui la cagnolina è deceduta e le iniziative assunte dagli attori, dopo la scoperta della morte (presentazione di una denuncia-querela a fini penali), provano l’attaccamento degli stessi all’animale e l’intenso dolore sofferto in conseguenza della relativa perdita.
Ai fini della quantificazione del danno, il giudice di merito ha tenuto in considerazione l’età della cagnolina al momento del prematuro decesso (circa 5 anni e 10 mesi rispetto alla notoria vita media dei cani di 10/15 anni), nonché l’età ed il legame con il cane da parte di ciascun attore (i due genitori ed i loro figli dagli stessi rappresentati).
In conclusione, quindi, il nodo centrale della sentenza del Tribunale di Prato, che si distacca dal filone giurisprudenziale maggioritario riconducibile alle Sentenze del 2008, sta nell’evoluzione della coscienza sociale sul rapporto con gli animali d’affezione domestici. Proprio tale diverso rapporto è alla base del cambiamento di orientamento presso i Tribunali e giustifica il risarcimento del danno per la perdita dell’animale domestico o d’affezione, la cui morte derivi da responsabilità di un terzo.
A fronte dell’apertura della giurisprudenza di merito nel senso della risarcibilità del danno non patrimoniale, nel caso di perdita dell’animale domestico, in ragione del riconoscimento del valore del rapporto tra l’uomo e il proprio animale, è auspicabile una inversione di tendenza nella giurisprudenza di legittimità, volta al riconoscimento di tale rapporto.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link